1 - Nella pergamena n.99 conservata presso l'archivio storico del Comune di Amelia, è riportato il rogito del Notaio Elias Andree di Spoleto, in data 1 Febbraio 1333, stipulato nella Curia di Montefiascone, mediante il quale Stefano Lasconte, Canonico della Chiesa di S. Maria Maggiore, Tesoriere generale del Patrimonio Beati Petri in Tuscia, "cum consensu, presentia et voluntate" del Capitano generale del Patrimonio Pietro de Artisio, concesse a Celestino di Maestro Angelo, Sindaco e procuratore del Comune di Amelia, nonché ad Orso Vati ed ad altre persone di Amelia, l'assoluzione e la cassazione del processo intentato per l'assassinio di Lucio di Pietro (Geraldini), Marco (Mandosi) ed altri cittadini amerini, avvenuto nel corso di "tumultum, rumorem et seditionem in dicta Civitate et hec et alia fecerunt et commiserunt", nel corso dei quali disordini gli amerini si resero colpevoli anche "combustionis Castri Focis" dell'incendio di Foce.
Il rappresentante del Patrimonio, con lo stesso atto, dà quietanza del pagamento di milleduecento fiorini d'oro effettuato al citato Tesoriere da parte dei suddetti colpevoli, a titolo di remissione delle colpe e delle pene per i reati sopra esposti. (2004)
1 - Il 1° Febbraio 1477, nelle riformanze si legge la seguente perorazione:
"Supplicase humelmente innanti alle V.M.S., misser lu potestà, Signuri Antiani et consiglio de Amelia per parte del vostro fidelissimo vechio misero et poverissima persona Christophoro dicto Tentellone de Amelia dicente et exponente se non possedere altro che certi ferruzi per da fare basti et chel cavaliero et li officiali de Amelia el molestano per farli pagare le dative incorse, con ciò sia cosa che già circha sexanta anni (or sono) adbandonò la propria ciptà de Tode per vivere et morire in questa vostra ciptà. Et mò con le lagrime all'ochie senza portare niente li è besognato de assentarse de qui povero et mennico (mendico) per non marcirse et morire in prescione perché deve pagare, (ma) non ha niuna facultà. Et pertanto colle ginochia nude con le braccia in croce et colla bocha in terra et con el viso et pecto bagnato de lagrime se digne (si degnino) le dicte M.S.V. le quale sempre sonno state misericordiose et pietose al poveri vechiarelli farli gratia de tucte le dative imposte et incurse fino in nel presente dì et per lo advenire de quelle (che) se havessero ad imponere, accio che quelli pochi dì (che) li restano ad vivere possa venire et stare in questa vostra m(agnifica) ciptà ad exercitare la articella sua in servitio desse (di loro). Et questo per lo amore de dio et pro intuitu (a titolo) de pietà et de misericordia se supplica alle vostre M.S. le quale dio conservi in bono et felice stato".
Nel consiglio generale del giorno seguente, al povero Tentellone si concede quanto richiesto. (2007)
1 - Il 1° Febbraio 1390, il Vicario di Amelia Francesco dà incarico a Paolo Petruccioli “publico preconj et bannitori dicti communis” pubblico banditore del Comune, affinché “vadat per loca publica et consueta dicte Civitatis Amelie ubj solitum est bannire” vada nei luoghi pubblici e consueti della Città, dove solitamente si leggono i bandi “et ibidem publice palam et alta voce sono tube premisso” ed ivi, pubblicamente, palesemente ed a voce alta, premesso uno squillo di tromba, “bandiat et bandire debeat quod quicumque volens fieri facere in Alma Urbe ludum testaciorum, prout est more” faccia bandimento che chiunque volesse far fare in Roma il gioco del Testaccio, com’è d’uso, “vadat coram me dicto domino Vicario vel coram cancellario dicti communis ad offerendum”, si rechi dinanzi allo stesso Vicario od al cancelliere comunale ad effettuare la sua offerta; “pro minori pretio offerenti dabitur et conceditur fieri facere dictum ludum” a colui che effettuerà la migliore offerta al ribasso, verrà aggiudicato l’appalto del detto gioco.
Eseguito il bando, il dì seguente si presentano, dinanzi al cancelliere e notaio comunale Ugolino, l’amerino Giacomo Guadagni, che fa l’offerta di 8 fiorini d’oro, il narnese Calandrello Glorioli, che ne offre 7 e Pietro di Mastro Nicolaj, che ribassa l’offerta a 6 fiorini e un quarto. Si riapre l’asta il giorno successivo con l’offerta di Calandrello di 6 fiorini, cui segue quella di Giacomo Guadagni di 5 e mezzo. L’asta si chiude con l’ultima offerta di 5 fiorini fatta da Calandrello, che resta aggiudicatario dell’appalto. (2008)
1 - Il 1° Febbraio 1495 nell’udienza anzianale si discute di un’offerta di aiuto effettuata, alla Comunità amerina, da parte di Vittorio di Canale, il quale, con lettere ed ambasciatori, fa presente “se fore et esse paratus capere impresam contra dominos de Alviano et eos pro posse debellare et ipsorum castra expugnare” che lui è pronto a compiere l’impresa contro i signori di Alviano e, secondo le sue possibilità, sconfiggerli ed espugnare i loro castelli, “dummodo Communitas provideat sibi de opportunis pecunijs pro inveniendis gentibus armigeris et stipendiarijs” purché -e qui casca l’asino!- la Comunità lo provveda dei fondi necessari per trovare ed assumere le relative soldatesche, “cumque speret si providebitur de quantitate pecunie qua ipse quesivit” e comunque ha buone speranze, che, se sarà fornito del denaro richiesto, “in brevi” entro breve tempo, sarà in grado di ridurre “castra Alviani et Atiglianj” i castelli di Alviano ed Attigliano sotto il potere di Amelia. La proposta sembra molto allettante e viene perorata dai più bei nomi dell’aristocrazia amerina, fra cui: “insigni equite d.no Berardino de Geraldinis, eximio legum doctori d.no Evangeliste De Rachanischis, nobili viro Ludovico Caroli De Boccharinis, facundo viro Ser Ugolino Nicolay, docto viro Ser Manno Manosio, spectato viro Fabio Ascanij” l’insigne cavaliere Berardino Geraldini, l’esimio dottore in legge Evangelista Racani, il nobiluomo Ludovico di Carlo Boccarini, l’eloquente uomo Ser Ugolino Nicolai, il dotto Ser Manno Mandosi, lo spettabile uomo Fabio Ascani “et nonnullis alijs Civibus dicti Magnifici Cetus” nonché da numerosi altri cittadini, appartenenti al medesimo magnifico ceto; tant’è, che la proposta viene approvata all’unanimità, “nullo in contrarium sentiente” senza nessun dissenziente. Si decide, quindi, “quod partitus et oblatio facta per eundem dominum Victorium De Canali ex nunc acceptetur et detur modus inveniendi nunc quingentos ducatos de carlenis qui solvantur et dentur prefato domino Victorino pro prima solutione quibus possit soldare milites et pedites” che la proposta e l’offerta effettuate da Vittorio di Canale venga immediatamente accettata e sia cercato -e possibilmente trovato!- il sistema per rinvenire subito (!) 500 ducati di carlini, quale primo contributo, mediante il quale Vittorio possa assoldare le necessarie genti armate.
Ma l’entusiasmo degli Amerini, a distanza di poco più di tre settimane, è destinato a subire una doccia fredda: nelle riformanze del 25 dello stesso mese, è data notizia che Vittorio di Canale, stipendiario di Amelia, “invita dicta Communitate, discessit de castris Amerinis contra Alvianum, non sine magna eius nota ac non sine magno dicte Communitatis dampno et jactura” contro la volontà della Comunità, si allontanò dal campo amerino promosso contro Alviano, non senza sua grande infamia e danno e perdita per la detta Comunità. E i 500 ducati che fine hanno fatta? (2010)
1 - Il sabato 1° Febbraio 1539 entra in esercizio, quale Cancelliere “Alme Amerie Urbis”, Tolomeo di Marinangelo de Cuppis di Montefalco, “pro uno anno jncipiendo die dicta et feliciter domino favente terminando” per un anno, da iniziare in detto giorno e, con l’aiuto di Dio, da terminare felicemente dopo aver compiuto detto periodo, “cum salario quatuor ducatorum pro mense quolibet mihi a Cammerario persolvendorum absque aliqua retentione preterquam taxarum et dominorum Secretariorum solutionem de bimestri in bimestri” con il salario di quattro ducati al mese, da corrispondergli dal Camerario di bimestre in bimestre, senz’altra trattenuta che quella del pagamento della tassa dovuta ai Signori Segretari (gravante anche a carico del podestà di nuova nomina). Il neo-eletto Cancelliere dichiara, inoltre: “Juravi corporaliter manu tactis libris in manibus probi et elegantis viri domini Hieronymi Hieraldinj dicte excelse urbis Amerie Civis” di aver prestato giuramento, toccando corporalmente con la mano i libri (sacri), portigli dal probo ed elegante (!) uomo Gerolamo Geraldini, cittadino dell’eccelsa (!) Città di Amelia, all’uopo incaricato dagli Anziani, “de bene, fideliter ac studiose exercendum dicti Cancellarie officium” di esercitare rettamete, fedelmente e con ogni cura il suo ufficio di Cancelliere, “ad laudem et gloriam dei optimi et omnipotentis, Marie semper Virginis, Beatorumque Martirum Fermine ac Olympiadis defensorum advocatorum et protectorum prememorate Alme Amerie Urbis suique districtus” a lode e gloria di Dio ottimo ed onnipotente, di Maria sempre Vergine e dei Beati Martiri Fermina ed Olimpiade, difensori, patrocinatori e protettori della prenominata alma Città di Amelia e del suo distretto.
Lo stesso giorno, Pier Luigi Farnese (figlio –‘malo’ more solito- di papa Paolo III), Duca di Castro, Governatore e Capitano Generale di S.ta Chiesa, trasmette da Valentano il seguente grazioso messaggio:
“Havemo ordinato a Paolpietro Guidi nostro servidore che debba far condurre alcune munitioni che sono in Spoleti, a Civita Castellana. Però commandiamo a tucte le communità de li luoghi, che sono in quei contordi (sic) et che da lui seranno rechieste, debbano senza replica alcuna portarle sin dove esso ordinarà, che tanto torna in servigio di N. S. Et non (vi) sia chi ardisca di fare il contrario, sotto pena dela disgratia di Sua S.tà et nostra, et altre pene che da esso loro saranno jmposte. Dato in Valentano, il dì primo di Febraio del XXXIX (senza far precedere ‘MD’)”.
Ma avverrà mai che sia ordinato qualcosa che tornasse “in servigio” dei poveri Amerini? (2012)
1 - Il 1° Febbraio 1497 Placenzio di Paolo Bartolucci, d’Amelia, prese in moglie Giovanna di Angelo Manni Simoncelli, cui il padre assegnò cento fiorini di dote. Ma poiché -verosimilmente- non disponeva dell’intero importo, si convenne che il padre della sposa, a mezzo di suo fratello Placenzio, detto “Caritade” depositasse -o. meglio, figurasse di depositare- i cento fiorini presso il pubblico mercante Terenzio di Paolo di Giovan Paolo, di Amelia, con patto che allo sposo venissero pagati in tre rate uguali, di cui la prima entro la prossima ottava di Pasqua, la seconda entro la prima quindicina di Settembre e l’ultima a Pasqua del venturo anno 1498.
E così la credibilità finanziaria di Angelo Manni fu salva. (2014)
1 - Il 1° Febbraio 1535, Donna Leonina Boccarina del fu Gerolamo di Ser Manno dona tutto il suo patrimonio al Vescovo Giovan Domenico Moriconi, da destinare “ad pias causas” per scopi benefici ed il presule assegna quei beni alla Cappella di S. Biagio in Cattedrale, con l’onere di celebrarvi una messa settimanale “pro anima” della benefattrice. (2015)
1 - Il 1° Febbraio 1559, con atto del notaio Tommaso Taddei, il Signor Angelo Petrignani, quale procuratore dei Frati dell’Annunziata, vende una casa sita in contrada della Valle alla Compagnia di Gesù, rappresentata dal suo procuratore Padre Giorgio Passino, sardo, a confine con proprietà della medesima, per il prezzo di ventiquattro ducati.
Dopo pochi mesi, il successivo 20 Novembre, la “Societas boni Jesu” (la Compagnia di Gesù), esistente nella Chiesa di S. Angelo “de Valle”, acquista un’altra casa di tre stanze, semidiruta, sita nella stessa contrada della Valle. (2015)
2 - Nel Consiglio Speciale del 2 Febbraio 1409, si discute circa la richiesta del Magnifico Signore il Conte Angelo da Capranica, presentata con lettera credenziale da un di lui familiare, in cui si espone che "a Senatore Urbis" cioè dal Senatore di Roma, detto Conte ha ottenuto diritto di rappresaglia contro il Comune di Amelia a causa di una truffa avente per oggetto alcuni maiali vendutigli nella nostra Città.
Nel Consiglio Generale del giorno successivo, si decide che "ad hoc ut iuri et honestati locus detur" affinché prevalgano il diritto e l'onestà, "quicumque in hoc defectum commiserit, ut iura volunt puniatur et puniri debeat" chiunque abbia in ciò agito contro la legge, venga punito secondo il diritto e che, se il Conte Angelo vorrà accettare di sottoporre le sue ragioni al Consiglio, quest'ultimo s'impegna "adeo quod omnes expense que dicta occasione occurrerent" in modo che ogni spesa occorsa in tale occasione, (compreso eventuale indennizzo) venga sostenuta da chi commise l'illecito. (E se non si potesse reperire il colpevole? C'è da giurare che a pagare sarà lo stesso Comune!) (2006)
2 - Nelle riformanze risulta trascritta una lettera inviata dagli Anziani e dai tre cittadini eletti per la bisogna, sotto la data del 2 Febbraio 1434, a Gualtiero de Zanfoneris, Luogotenente di Nicolò di Fortebraccio, mediante la quale i suddetti, a nome della Collettività amerina, s’impegnavano a corrispondere allo stesso la somma di 600 fiorini d’oro “pro castro Focis quod nostre condonat Communitati”, cioè per la riconsegna ad Amelia del Castello di Foce, che le si era ribellato. Detta somma doveva pagarsi, quanto a 200 fiorini, l’indomani, altri 200 il successivo giorno 6 e, da lì, dopo altri dieci giorni, i residui 200.
Lo stesso giorno, gli Anziani inviavano allo stesso Gualtiero altra lettera del seguente tenore:
“Mandamo el nobili homini Archangelo de Pellegrino et Ser Arthimisci de Ser Benedecto ad pigliare la possessione del castello de Foce per parte de questa comunità, cum autorità et commissione de guastarlo et farne quanto loro vorranno disponere, pertanto ve pregamo che ad loro lo debiate consegnare secondo che li pacti sonno (sono) fra Vui et nui”. (2009)
2 - Il 2 Febbraio 1479, nel maggior consiglio, occorre decidere in merito a svariati argomenti presentati il giorno innanzi nel consiglio decemvirale, il primo -e più urgente- dei quali riguarda la necessità di incassare, da parte del Comune, le numerose pene pecuniarie inflitte dalle magistrature cittadine e non ancora riscosse, con grave danno del pubblico erario. Per ovviare a tale inconveniente, si propone -secondo le più consolidate consuetudini- “ut concedatur de illis aliqua pars officialibus facientibus de illis executionem” di assegnare una parte di quanto verrà effettivamente riscosso di tali pendenze agli ufficiali che procederanno alla loro esecuzione forzata. Nel successivo maggior consiglio si approva la proposta che, per sollecitare la massima solerzia da parte degli ufficiali dell’esecuzione, essi “habeant et habere debeant solidum unum pro qualibet libra” abbiano a ricevere un soldo per ogni libra che andranno effettivamente a riscuotere di tutti i procedimenti penali e delle sentenze passate in giudicato; è come dire il 5% del valore.
Si procede, quindi, ad esaminare le numerose suppliche presentate nel medesimo consiglio dei X.
La prima è quella prodotta da “la poverissima persona Andrea de paulo da gructolj habitante nel castello de Fornole elquale dice et expone como per lo potesta proximo passato li fo formato elprocesso per una saxata dal collo ingio (in giù) senza sangue che dette a Juliano da narni habitante in fornole et per lo presente miser lo potesta et sua corte è stato condennato in ducati quindece, admissilj li beneficij de la confexione et dela pace et foli (gli fu) duplicata la pena per labsentia del potesta quale era de fora a foce per la peste. Et non havendo havuta (non essendogli stata considerata) la pace né sbactuta (diminuita) la quarta parte per la confexione, veniva condennato in ducati trenta. Et per questo resta condennato in ducati xv per laqual cosa humelmente recorre a V. M. S. se degneno intuito de pieta et de misericordia remecterlj che (considerando come se) loffitio del potesta non vacasse como è sutto (stato). Et de quello resto che deve pagare offerisce de pagare doi centonara (centinaia) de tavole per lo tetto del palazzo. Lo resto domanda se doni alli figli quali non li po substentare ne governare per la sua povertà et per la infirmità quale ha havuta longo tempo”. Gli viene concessa la riduzione ad un quarto dell’originale pena, “sine aliqua duplicatione proper absentiam potestatis” senza considerare il suo raddoppio, dovuto all’assenza del podestà (e, quindi, non imputabile al povero Andrea).
La seconda supplica è presentata dalla “veduva et vechia domina Vannuccia moglie che fo de Jacobone damelia, laquale dice et expone como essa veduva è de età de annj lxxv o circa et non habia modo alcuno de posser vivare ne governarse si non de quanto guadagnia afilare la lana et ha necessità de comparare lopane de dì jn dì, como è noto a tucti li soj vicinj et de continuo è fastidiata de pagare le dative (che) se inpongono per lo commune de amelia, alle quale non pò resistere ne è possibile de pagarle per necessità de pane, per laqualcosa humilemente se reccomanda alle V. M. S. se degneno intuito de pietà et de misericordia et per amore de dio farli gratia de tucte et singole dative et gravezze se imporranno per questa Magnifica communità per ladvenire et delle imposte per lo passato fino nel presente dì et questo quantonca sia justo et de ragione nientedemeno lo receverà a gratia singolarissima da le V. M. S. quale dio conserve et exalti jn felice stato”. Le si concede.
La successiva è presentata “per parte del povero homo Baptista lombardo dicente et exponente che attento che luj ha pigliata donna in questa cipta vostra con intentione de vivere et morire figliolo et servitore de ipsa communità. Et essendolj poi succeduto elcaso de mastro antonio pure lombardo gia defuncto per lo quale caso fo sbandito et condennato per la corte dela communità damelia in certa grave summa et quantità de denarj secondo nelli libri dele condennationi pienamente deve apparere alle quale jn omnibus et per omnia se referisce. Et perche dicta summa che in ipsa condemnaxione se contene non seria possibile alle so faculta pagarle, glie stato necessario stare de fore si longo tempo et con spesa et desagio et perche luj como è decto dexidera tornare nella dicta cipta damelia, la quale quanto in esso è (per quel che lo riguarda) ha pigliata per sua patria et in essa dexidera vivere et morire, supplica se degneno V. S. de la dicta pena et condemnaxione farli gratia liberale o vero redurla a qualche cosa tollerabile et maxime chello (che lui) habia adare qualche opera del suo magisterio al novo palazzo de essa Magnifica Communità, quale de novo se hedifica et starà contento atucto quello V. S. delibereranno”. Non si conosce a cosa si riferisca il “caso de mastro antonio” occorso a Battista; si decide, comunque, che quest’ultimo paghi 10 ducati “aut jnpecunijs aut in mactonibus aut in calcina et cantonibus aut jn operibus dandis jn communi tempore deputando” o in denaro o in materiale da costruzione o in manodopera a favore del Comune, in spazi di tempo da convenire dagli Anziani.
Altra supplica viene presentata “per parte del vostro devotissimo servitore Gilio de ciolle dicente et exponente che luj è stato condennato al tempo del potestà proximo passato in la summa et quantita de octo libre de denarj perche haveva tracta larme cio è una coltella più presto (piuttosto) per defenderse che per offendere Berardino dangelo de margaresse et al tempo del presente potesta ha pagato bolognini sedece per la bollecta fatta per lonotario deli malificij credendose da dece libre jngio (in giù) selli (gli si) admettessero li beneficij, per laqualcosa humilmente supplicando recorre alle vostre Magnifiche S. se degneno farlj gratia et remissione de lo resto dela dicta condennatione havendo luj pagata la quarta parte dela pena et farlj cassare la dicta condennaxione, la quale cosa lo riceveria de le V. M. S. agratia singularissima”. Se la cava col pagamento di 16 baiocchi.
La successiva supplica viene presentata da parte di tal Rodomuccio (?) di Valdimiro schiavone di Sambucetole, che espone di essere stato condannato in contumacia al tempo del podestà Dolce di Giovanni da Spoleto (1477) “occasione cuiusdam risse” a causa di una rissa “cum luca petri de castro focis” avuta con Luca di Pietro di Foce, per la quale venne condannato a pagare 15 ducati e 100 libre di denari ed esso non è in grado di provvedere, essendo persona poverissima e sia sotto la potestà paterna. Dichiara di aver avuto buona pace con il detto Luca e, se fosse necessario pagare detta somma, “potius jncarceribus se macerarj opporteret quam dictam penam solvere posset” sarebbe per lui necessario marcire in carcere, non potendo farvi fronte. In fine, si dichiara disposto a pagare due fiorini. Gli si concede di pagare quattro ducati al cameraio del Comune, nel termine da fissarsi dagli Anziani; per il residuo, gli si faccia grazia. (2010)
3 - Dinanzi al Consiglio Speciale, il 3 Febbraio 1615 viene denunziata una situazione ritenuta lesiva del prestigio e dell’autorità della magistratura della comunità amerina, per la scarsa considerazione di cui essa sembra godere da parte del clero di S. Fermina, non venendo avvisata in tempo utile circa gli orari delle messe e delle sacre funzioni, di modo che “o bisogna aspetti ivi assai innanzi che si cominci la messa, o altra fontione, overo si trovano esser cominciate”. “Parimente, nel dare dell’incenso alli signori del Magistrato, lo dànno una volta sola sì come fanno ad ogni altro particolare” (cioè a qualsiasi altra persona). “Così anco nel giorno di hieri” (la Candelora) “le candele date agli Antiani” erano “più piccole assai di quelle date alli signori Canonici, cosa che non par conveniente”, tanto che essi Anziani “tornarono a sedere alli luoghi loro con quel dispiacere che ciascuno può immaginarsi, per essere stati trattati in quella maniera”(!)
Si propone quindi di eleggere quattro “gentilhuomini”, per trattare la questione con il Vicario ed i Canonici ed, in caso di mancata soddisfazione, di scrivere al Vescovo.
Almeno in passato, non si può certo dire che i rappresentanti di Amelia mancassero di sensibilità! (1998)
2 - Per poter dare una corretta interpretazione ad alcuni capitoli della legge che punisce il danneggiamento alle colture, occorre procedere al chiarimento di qualche norma statutaria. Innanzi tutto, si rende necessario formare una commissione di persone ritenute esperte in tale materia e il 2 Febbraio 1541 gli Anziani, “unanimiter et concorditer”, con assenso unanime, ne chiamano a far parte Niccolò Racani, Dardano Sandri, Vincenzo Crisolini e Piergiovanni Papa, i quali, riunitisi seduta stante, vengono interpellati dall’Anziano Vespasiano (?) il quale, con il consenso dei colleghi, formula la seguente proposta: “Quomodo jntelligatur particula statutorum sub rublica ‘de pena damnorum datorum in horto existente jn Casale’, videlicet quot arbores et quales requirantur ad hoc ut jntelligatur Casale. Secundo, quomodo jntelligatur Capitulum in damnis datis loquens de sodo” come si debba interpretare quella norma dello statuto che parla delle pene previste per danneggiamenti ad un coltivo esistente in un casale, nonché quale sia la retta definizione del terreno sodivo, sempre al fine di punire i danni che vi venissero inferti.
Prende la parola Niccolò Racani “eximius utriusque juris doctor et Amator Patrie”, il quale, “Divino prius jnvocato suffragio” dopo aver doverosamente invocato l’ausilio divino, “temporum varietates animadvertens, multorumque civium querelis obviandis” considerando i cambiamenti interpretativi dovuti al trascorrere del tempo ed al fine di evitare le lamentele di molti cittadini, ritiene “quod Casale jntelligatur ubi sunt novem arbores diversarum generum” che, per giusta definizione di casale, s’intenda il terreno in cui vi siano nove piante di specie diverse; e, proseguendo, “quod sodum in Casale existens non jntelligatur nisi dictum Casale per tres annos continuos incultum remanserit, quo tempore elabso (sic) et dicto Casale non laborato, quod tunc jntelligatur sodum in quo non possint officiales damnorum datorum procedere” che, in un casale, non possa intendersi esistere terreno a sodo, se non dopo che siano passati tre anni di seguito, senza che vi siano state fatte delle coltivazioni e solo allora sia da ritenersi tale e, nello stesso, gli ufficiali procedenti contro i danneggiamenti non siano più autorizzati a entrare per i relativi rilievi. “Juxta formam dictj Capituli jn libro D. Antonij Savinij de Malliano jn sabinis tunc temporis Cancellarij Civitatis Amerie” Il tutto con riferimento a quanto previsto nello statuto a suo tempo trascritto da Antonio di Savinio di Magliano in Sabina, allora Cancelliere del Comune di Amelia.
“Que declarationes placuerunt omnibus et viva voce confirmaverunt eas” Quanto esposto dal Racani viene condiviso da tutti ed approvato a viva voce. (2012)
2 - Damiano Jacobuzzi di Amelia fu “hostiliter” come nemico catturato in territorio di Todi da Silvestro Calonici e compagni, di Attigliano, e gettato in prigione nella Rocca di detto Castello, “tempore vigentis guerre inter Commune Amelie, Commune Castri Atigliani et dominum dicti Castri” al tempo della guerra in atto fra il Comune di Amelia, il Comune del Castello di Attigliano ed il Signore di detto Castello. Per il riscatto di Damiano, Silvestro Calonici e soci richiedono centodieci fiorini, di cui otto già presi da Silvestro al momento della cattura di Damiano. L’atto di riscatto viene stipulato dal notaio Paolo Paoluzzi il 2 Febbraio 1439, nella Chiesa di S. Croce, in Amelia, alla presenza di tre testimoni. (2014)
3 - In data 3 Febbraio 1447, i Priori del Popolo e i Dieci di Balìa di Todi inviano agli Anziani di Amelia la seguente lettera:
“Havemo novamente inteso la innovatione et guerra (che) havete mossa contra lo Castello de Foce nostro raccomandato, dela quale cosa ce maravigliamo puro assai (che) siate li primi ad movar guerra per la morte de N. S. (il papa Eugenio IV) et maxime contra de noi sapendo ja più tempo havemo elli tenuto et messo officiale per lo nostro comune. Et mo deveno mandare da noi per defendarse contra linostri inimici. Pensamo non fossete informati (che) se erano dati a noi, de la qual cosa per non pretendere ignorantia ve ne advisiamo, confortandove vogliate desistere da tale incepto perché continuando nel vostro principio ad noi siria necessità fare quanto simo obligati per defensione deli nostri luochi et provedere con remedij opportuni. Pregamo vogliate conservare la bona vicinità et amicitia et non darne cascione (di) fare quello (che) se poterà et devesse fare”.
La soggezione di Foce a Todi non poteva essere accettata dagli Amerini; sicché, a “giro di posta”, il giorno dopo gli Anziani rispondono agli “amatissimi” fratelli:
“Havemo al presente receputa vostra lettera et veduto che noi habiamo rocta guerra contra Foce etc. Respondemo (che) al presente non posserve respondere particularmente ala vostra lettera ma subito mandarimo da la S.tà de N.S. (il papa) che, per grazia de dio, non è ancora morto (morirà il 23 febbraio successivo) et dalli Rev. S.ri Cardinali a pigliare consiglio sopra di ciò. Se da loro haverimo in comandamento, ve respondarimo apieno. Ben ce dolemo et maravigliamo per (l’) amore (che) avemo portato a testa Magnifica Città che una tale lettera et de simele tenore sia uscita da testa Magnifica Città”. (2000)
3 - Nella pergamena n.41, conservata presso l'Archivio storico del nostro Comune, è riportata copia dello strumento rogato dal Notaio Pastruello del quondam Bonaventura, originario di Deruta, il 3 Febbraio 1319, sotto il pontificato di Giovanni XXII, "in Ecclesia S. Agustini de Amelia", alla presenza dei testimoni Angelo di Andrea, Manno Larrigucci, Tiralarco Benvenuti e Marco di Andrea. Con detto atto, Incolus Martocci (di probabili origini contadine) si impegnava, nei confronti del Comune di Amelia, in persona del Sindaco Tamburello precone, stranamente delegato alla stipula, di "facere ludum Testacii in Urbe pro commune Amelie tribus annis, cum equis, banderiis" ecc. cioè di partecipare, per tre anni, ai giochi del Testaccio, in Roma, con cavalli, bandiere e quant'altro necessario e richiesto, per il corrispettivo di 21 fiorini d'oro, ripartiti come segue: 9 fiorini per il primo anno e sei per ciascuno dei due anni successivi. Era contemplata l'ipotesi che, se detto Incolus si fosse recato a Roma "et dicti ludi non fierent" e i ludi non avessero avuto luogo, non gli si sarebbe dovuto pagare il convenuto compenso, ma soltanto una sorta di rimborso spese, quantificato in tre gigliati ("tres Gilglatos") al giorno.
Il gigliato era una bella moneta d'argento, emessa dagli Angioini di Napoli nel 1303, sostituendo, nel verso del carlino, l'immagine dell'Annunciazione con quella di una croce gigliata, che diede il nome alla moneta, il cui peso era di 4 grammi e, probabilmente, valeva, come il carlino, un decimo di fiorino.
L'atto sopra citato potrebbe costituire una riprova che, nel notevole pluralismo monetario che si riscontra in Amelia per quel periodo, circolassero anche i gigliati di Napoli o, per lo meno, che venissero usati nella pratica contrattuale. (2004)
3 - Gli Anziani, dovendo provvedere, nel pubblico interesse, "ad reperiendum preceptorem grammatice" a trovare un nuovo precettore o maestro di scuola, inviarono Prospero Cansacchi, Cecco Petrucci e Girolamo Garofino al reperimento del docente. Il 3 Febbraio 1572, gl'inviati riferiscono che la ricerca del nuovo maestro per il futuro anno scolastico si è rivelata vana. Quindi, "unanimiter et concorditer" propongono che il precedente maestro Giovanni Scuffoni di Montefalco, che ritengono "idoneum et habilem, aptum ad docendum ac bonis moribus ornatum" cioè idoneo all'insegnamento e dotato di severi costumi, venga riconfermato nell'incarico. Il che regolarmente avviene nel consiglio del dì seguente, ed, altrettanto regolarmente, il giorno successivo il Maetsro Scuffoni accetta la riconferma nell'insegnamento. (2005)
3 - Nel consiglio decemvirale del 3 Febbraio 1327, fra l'altro, si deliberò che lo stesso consiglio e gli Anziani del popolo, a loro giudizio e richiesta, "possint mictere spias et nunctios" possano mandare spie e nunzi per il tempo che riterranno necessario, spendendo fino a 50 soldi al giorno, "dummodo tota expensa facienda per eos non transeat summam x. librarum" purché il totale delle spese da farsi in tale occasione non superi le 10 libre.
Nello stesso consiglio si deliberò circa la richiesta fatta "per Magistrum Andream de Cantone petentem nomine suo et nomine Magistri Ghirardi Jannotij" da mastro Andrea di Cantone, anche a nome di mastro Gherardo Giannotii "de xij. libr. sibi debite a d.co communi Amelie" della somma di 12 libre dovutegli dal Comune di Amelia "pro quoddam muro constructo per eum" per un muro da esso costruito. (2007)
3 - Il 3 Febbraio 1518 il consiglio decemvirale deve occuparsi di due argomenti molto diversi fra loro.
Il primo riguarda un invito a nozze fatto alla Comunità di Amelia da parte di Don Galeazzo Farnese “qui uxorem ducere parat” che si accinge a prender moglie. Nel maggior consiglio riunitosi lo stesso giorno, si propone “acceptetur et mittantur oratores cum duabus pateris argenteis que donentur domino Galeatio facta debita escusatione” di accettare l’invito e che si inviino oratori con un donativo, da porgere a Galeazzo, di due tazze d’argento, con le dovute scuse (forse per la modestia del regalo?).
La seconda questione da trattare, è di tutt’altro contenuto. Ha scritto agli Anziani il Vicario del Castello di Porchiano la seguente lettera:
“Heri che foron li doj de febraro circa le xx hore fugì qui in palazo Bernardina moglie de Bertone e sorella de Johanni et Spontone de Primo Spina cacciata da dicti fratelli con animo, como stimammo pur presto, de farli (più) male che bene; essendo in palazo li Consiglieri, non li lassaro far dispiacere, io non era in palazo in quellora. Dicti fratelli molto insistevano che la volevano in mano: Noi dubitando non li facessero dispiacere li restituemmo con securtà (promessa) che non lhavrebbono ammazata per tre dì (bontà loro!); havemo facto quel pocho (troppo poco!) che havem possuto; quando a V. S. parrà farce altra provisione bene: ve ne damo adviso ad ciò provedano parendoli. Et bene valete”. Nel consiglio generale si decide “quod illa Bernardina conducatur huc; deinde fratres cogantur ad fideiubendum de non offendendo et non interficiendo dictam Bernardinam” che la povera Bernardina sia condotta in Amelia e che quindi si costringano i fratelli a dar garanzia che non l’avrebbero né offesa, né -tantomeno- uccisa. Ma ci sarà stato da fidarsi di una semplice promessa? E cosa avrà combinato mai Bernardina per scatenare la furia omicida dei suoi fratelli?
Il successivo 8 Febbraio, nelle riformanze risulta annotata la notizia che all’oratore da inviare alle nozze di Galeazzo Farnese con le due tazze in regalo, venissero dati 12 carlini “pro expensis oratoris et equi et famuli” per le spese di viaggio, compresi la cavalcatura ed il servitore.
Chissà cosa accadde della povera Bernardina? (2009)
3 - Si teme che Virgilio Orsini, che avanza da Todi con le sue truppe, voglia invadere il territorio di Amelia. Il 3 Febbraio 1496 il Cardinale de Lunate scrive agli Anziani la seguente lettera:
“Magnifici Amici nostri Charissimi, havemo recevuta la vostra et inteso el suspecto che havete del S.re Virginio, accostandose lui a Tode con le Gente darme Et secundo lo adviso che havete da vostri amici dubitate de le cose vostre. Nui non credemo anzi simo certi chel S.re Virginio se trova hocgi (oggi) in tali termini (condizioni) che habbia tanto da pensare de le cose proprie che non sia per offendere vuy altri né lo stato dela Ecclesia, né credemo etiam che volesse che stando vui bene uniti insieme coi Teranani et Rheatini et altre Terre Amice (sic) ve possa offendere, perché non ha re vera (in effetti) quello modo né quelle forze che se dice; si che (sicché) state de bona voglia (tranquilli) et secundo havemo scripto al nostro Locotenente che voglia advisare tucte le Comunità de nostro Guberno ad intenderse insieme, cossì fazate con effecto, perché non dubitamo che trovandose bene uniti et dandove causa il S.re Virginio de novità alcuna (cioè volendo farvi oggetto di qualche aggressione) saressimo apti (pronti) non solo ad defenderve, ma ad offendere lui et cussì de novo ve confortamo et ve facimo animo che non vogliate dubitare de niente. Bene valete. Roma iij februarij 1496”.
A distanza di soli quattro anni, gli Amerini, sollecitati dal Cardinale Legato per la Provincia di Perugia a firmare la pace con Todi, avevano inviato colà quali ambasciatori plenipotenziari Cristoforo Cansacchi e Melibeo Crisostomi, i quali, il 3 Febbraio 1500, relazionando in merito (“de gestis in dicta pace”) davanti al maggior consiglio riunito nella “sala magna” del palazzo anzianale, alla presenza del podestà, degli Anziani e dei Capitani delle contrade, e, quindi, con la massima solennità, preceduta dal suono delle campane e dalla voce del banditore (“sonum campane vocemque preconis”), “retulerunt pacem esse confectam inter Communitatem Amerinam et Communitatem Civitatis Tuderti, per manus predicti R.mi domini Cardinalis Gurcensis perusie Legati” riferirono che la pace venne stipulata e sottoscritta fra le due Comunità, con l’intervento diretto dello stesso Cardinale Legato e, “cum maximo honore et gloria Civitatis Amerie” con il più alto onore ed a maggior gloria della Città di Amelia, venne letto il relativo documento dal Cancelliere comunale Giovanni Mazarono di Montemonaco, dal quale vennero “lecta et vulgarizata omnia et singula istrumenta, conditiones, pacta et capitula supra dicta pace confecta” resi pubblici e commentati tutti i relativi documenti, condizioni, patti e capitoli del trattato di pace, “que postea recondita fuerunt in Archivio communis in Cathedralis Ecclesie Sancte Firmine”, che vennero successivamente depositati nell’archivio comunale, esistente presso la Cattedrale di S. Fermina.
Poiché fra i patti di pace conclusi con Todi era compresa la restituzione “machine sive bummarde tudertine” di una bombarda di proprietà di Todi, il giorno 5 si delibera circa la sua restituzione, mediante consegna al Cardinale Legato, “consigneturque statim Pergentili de Perusia, sue R.me D. Commissario” e, quindi, a Piergentile da Perugia, suo Commissario e familiare, con discarico da ogni responsabilità da parte del precedente affidatario Tranquillo Ascani, che la Comunità Amerina s’impegna a sollevare da ogni responsabilità o danno al riguardo (“absque damno et jactura conservare”). (2010)
4 - Giuseppe Venturelli, arcidiacono della Chiesa Cattedrale di Amelia e Protonotario Apostolico, curò l’erezione dell’attuale chiesuola dedicata a S. Lorenzo e sorta in località “Le Colonne”, nella quale, dopo la sua morte avvenuta il 4 Febbraio 1712, si fece seppellire e, come recita la lapide sepolcrale sul piancito della detta cappella,
NOVISSIMORUM NOVISSIMUM
HIC EXPECTAT
cioè attende l’ultimo degli ultimi (giorni). (1997)
4 - Nella notte fra il 3 ed il 4 Febbraio 1501, “infelix et inoppinatus casus evenit”; un infausto quanto inatteso evento si verificò:
“Antiqua et eminentia moenia viridarii Episcopatus amerine civitatis”, cioè le antiche mura sovrastanti il verziere (orto) del vescovado amerino, scalzate da radici di piante, “cum magna ruina cecidit”: rovinarono sulle sottostanti abitazioni di Battista Carnevalle e di Mattia Michelangeli. Il bilancio fu pesante: “inter viros et mulieres, majores et minores”: tra maschi e femmine, grandi e piccoli, ben dieci persone “suffocate sunt” e nessun uomo o animale esistente nelle dette case si salvo. (2000)
4 - Il 4 Febbraio 1330, dagli Anziani e dal consiglio decemvirale viene conferita al Cancelliere del Comune facoltà di poter apportare correzioni alle risultanze catastali ("possit corrigere catastum dicti comunis") nei seguenti casi: "quando possessio aliqua esset alicui persone bis scripta" quando una proprietà fosse segnata due volte alla stessa persona "et etiam quando aliqua possessio esset in catastu alicui scripta, quam ipse non habet" ed anche quando una proprietà fosse segnata in catasto a chi non la possiede. Naturalmente ciò varrà anche nel caso opposto. Il Cancelliere, in tali e simili evenienze, "recepta fide probationis" accertata la verità, "legaliter possit ipsos errores corrigere" possa legalmente correggere detti errori "et ipsas terras cassare et ad veram et iustam summam reducere" cancellando le terre a chi non le possiede (ed ugualmente assegnandole ai reali possessori), riportando, in tal modo, le risultanze catastali a vera e giusta attribuzione.
Nell'Archivio storico del nostro Comune è, fra gli altri, conservato un importante catasto pergamenaceo composto da cinque volumi, relativo agli anni dal 1371 al 1375. (2007)
4 - Era sorta controversia fra i canonici don Giacomo Girardocci e don Pietro Paolo Marchesini per l’occupazione dello stallo nel coro della Cattedrale. Secondo quanto riferito da Mons. Angelo Di Tommaso, “si era perfino venuti fra loro alle mani e si era passati ad insulti e contumelie e percosse sanguinose a mano armata (!)”. Il 4 Febbraio 1514 erano addivenuti alla pacificazione, “Amore Dei et D.ni N.ri Jesu Christi” per l’amore di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo, nella considerazione che “in cruce pendens propter humani generis remissionem, crucefigentibus se pepercit et pro eis Patrem rogavit” mentre pendeva dalla croce per la redenzione del genere umano, aveva perdonato ai suoi crocefissori e pregato per essi. Magari avrebbero fatto meglio a fare questa considerazione prima di metter mano alle armi! (2014)
5 - La pace fra Todi ed Amelia è stata firmata dagli ambasciatori plenipotenziari amerini Cristoforo Cansacco e Melibeo Crisostomi. Ma un’ulteriore formalità resta da compiere: la restituzione a Todi di una bombarda, che gli ambasciatori si sono impegnati a far effettuare.
Il 5 Febbraio 1500, il Consiglio Generale delibera, con voti 53 favorevoli e 2 contrari, “restitutio bumarde tudertine”. (2000)
5 - Il 5 Febbraio 1913, con avviso alla cittadinanza di Amelia, viene reso noto quanto segue:
"I sottoscritti proprietari delle Stazioni di Monta equina e somarina situate in Amelia nelle località qui appresso indicate, portano a conoscenza di chi può averne interesse che hanno iniziata la stagione, ognuno per proprio conto.
STAZIONI DI MONTA
Farrattini Conte Bartolomeo - Località Le Cinque, detentore Tito Succhiarelli: N.2 asini (manto morello - manto sardino).
Perotti Felice fu Camillo - Vocabolo Passo di Giove (sulla strada di Via Piana): N.1 Cavallo di razza meticcio inglese (Fabio). N.1 Asino manto sardino.
Grisci David d.o Cappelletta - Vocabolo Trullo (sulla strada di Via Piana): N.2 Cavalli di razza bimeticcio inglese (Giglio - Tripoli). N.1 Somaro manto morello.
I prezzi della monta sono i seguenti:
Cavalla a Cavallo £.8 - Cavalla a Asino £.8 - Asina a Cavallo £.8 - Asina a Asino £.4. Senza assicurazione per la gravidanza.
Volendosi l'assicurazione della gravidanza i suddetti prezzi vengono raddoppiati.
Il pagamento deve farsi all'atto della monta". (2001)
5 - Nel Consiglio Nobile dei Dieci del 5 Febbraio 1746, si espone che, “avendo fatto instanza il Padre Candiotti, Guardiano (del Convento) di S. Francesco per li soliti scudi due l’anno, conforme era solito a pagarsi per il moderatore dell’orologgio, ed essendo obligato farlo sonare, e mantenerlo a sfera, e perciò se pare darle li soliti scudi due”.
Il Conte Carlo Bartolomeo Vulpio, uno dei Dieci, alzandosi in piedi, lapalissianamente “ita sensijt” (così giudicò): “Ogni qual volta suoni l’orologgio le si dij scudi due l’anno, non sonando, non si dia cosa alcuna, e detti Padri debbono mantenere l’orologgio, e la sfera principiando, nel principio del presente anno, a pagare detti scudi due”. (2008)
5 - Il 5 Febbraio 1528 viene sancito l’ “ordo ne quis eat larvatus de nocte” l’ordine che nessuno, di notte, giri mascherato: “ex decreto Magnifici domini Potestatis, magnificorumque dominorum Antianorum” per decreto del Podestà e degli Anziani e vengono, quindi, “emissa bannimenta per solita et consueta loca civitatis Amerie per publicos precones eiusdem civitatis” emanati i bandi nei luoghi soliti e consueti della Città di Amelia, a mezzo dei banditori comunali, “quod ad bonum esse et ad quietum vivere prelibate civitatis nemo cuiuscumque gradus et conditionis” che, per il buono e quieto vivere della suddetta Città, nessuno, di qualunque stato e condizione sia, “eat larvatus de nocte et faciat mascharas de nocte” possa andarsene, per la città, nottetempo, col viso coperto da maschera, ovvero camuffato, “sub pena centum ducatorum et decem jctorum funis pro quolibet contrafaciente”, sotto la pena di cento ducati e di dieci tratti di corda per ognuno che contravverrà.
Il giorno successivo 6 il consiglio deve interessarsi di un caso di sussistenza di truppe che -c’è da augurarselo!- siano preposte alla difesa cittadina: si tratta “quod victualie ad capitaneum Luchantonium mictantur” di inviare le necessarie vettovaglie al Capitano Lucantonio ed “electi et nominati fuerunt deputati ad providendum victualias nomine communis” vennero eletti e deputati alla bisogna “Bernardinus alias cartha et Bartalomeus Antonatij” Bernardino detto Carta e Bartolomeo di Antonaccio.
Il seguente 7 Febbraio si dà atto che Giovan Battista Archileggi, depositario delle offerte provenienti dalle elemosine fatte per S. Rocco -protettore dalla peste, del quale era stata commissionata un’immagine al pittore Gian Francesco (Perini) nella Chiesa di S. Agostino- versò dette offerte al nuovo depositario Giovanni Antonio Racani, “exceptis quinquaginta carlenis solutis per eum Jo. Francisco Pictori, pro residuo picture S. Rocchi” ad eccezione di 50 carlini da lui pagati al detto pittore, a saldo del corrispettivo per la pittura dell’immagine di detto Santo, da lui eseguita. Fra le offerte per S. Rocco -fra cui “julij novanta septe et boligninj septe” offerti “ da li heredi de Jo. de Zaffino per mano di Simon Pietro suo figliolo”- figura anche quanto segue: “Et più hebe dicto Jo. Antonio depositario predicto da Nicola de Per Johanne per s.to roccho ducati sei de oro larghi, quali li dette un spagniolo in sua mano che li havesse a despendere per san roccho de S.to Augustino”. Quest’ultima annotazione ci fa presente che, fra i devoti di S. Rocco, v’era anche un soldato spagnolo dell’esercito imperiale di Carlo V, che aveva donato la bella cifra di sei ducati d’oro. Una volta tanto erano venuti per dare e non per prendere! (2011)
5 - Il consiglio decemvirale del 5 Febbraio 1542 risulta particolarmente ricco di argomenti da trattare.
Innanzi tutto, occorre provvedere alla nomina di colui che deve assumere l’appalto della riscossione dei Danni Dati, recentemente bandito, in quanto “nemo inventus sit qui illud emere voluerit” non si è trovato nessuno che se ne volesse prendere l’incarico. Nel consiglio generale riunitosi lo stesso giorno, Grifeo Cerichelli –“accuratus vir”- propone che “Domini Antiani auctoritate presentis Consilij electionem faciant de aliquo officiale forense qui veniat ad dictum officium exercendum, cum medietate poenarum in Communi pervenientium” gli Anziani, con l’autorità derivata loro dal Consiglio, procedano ad eleggere un officiale forestiero, che venga ad esercitare detto ufficio, incamerando, a proprio vantaggio, la metà delle pene pecuniarie che perverranno nelle casse comunali. E forse, in tal modo, l’appalto sarà reso più appetibile!
E’, altresì, necessario prendere provvedimenti “ne continue Procuratores contra Communitatem habeant procurare, in maximum vilipendium ac damnum dicte Communis” affinché gli avvocati non assumano –come di continuo sono usi fare- le difese di coloro che agiscono contro gl’interessi della Comunità, con grave danno ed in vilipendio della stessa. Qui prende la parola Vincenzo Crisolini –“solertissimus vir et Amator Patrie”- il quale, “animadvertens quamplurima communitas patiatur damna ob continua procuratorum litigia, cavillationes ac subterfugia, nulla communis utilitate pensata” considerando quanto danno la Comunità debba sopportare a causa di continue liti, cavilli e sotterfugi posti in essere dagli avvocati, senza alcun riguardo verso la pubblica utilità, propone “quod nulla persona possit modo aliquo procurare contra communitatem Amerie in quacumque causa et causis ad dictam communitatem spectantibus absque licentia Magnificorum D. Antianorum et Consilij decem” che nessuno possa muovere causa contro la Comunità di Amelia in qualsiasi giudizio interessante la stessa, senza la preventiva licenza degli Anziani e del Consiglio dei X, alla pena, da applicarsi ipso facto, di venticinque scudi da devolversi a beneficio della medesima Comunità. La proposta viene approvata con 19 voti favorevoli e 13 contrari, dimostrando, con ciò, una notevole disparità di opinioni.
Vi sono anche da esaminare numerose suppliche.
Una è presentata da Prete Mario di Ceccarello, il quale “petit sibi concedi aliquod de terris Communis in Contrada Macchie” chiede –verosimilmente per il proprio sostentamento- che gli venga assegnato un pezzo di terreno del Comune in agro del Castello di Macchie. Gli si concede, “dummodo non sit preiudicium dicti Communis” purché non sia pregiudizievole per gl’interessi del Comune.
Anche gli uomini di Collicello hanno da presentare la loro supplica: “petunt possint reficere residentiam vicarij in dicto castro de pecunijs de bonis communis” chiedono di poter restaurare la residenza del Vicario del detto Castello, utilizzando denari da ricavare dai beni di proprietà comunale. Il responso è positivo: “fiat ut petitur per ipsos” sia come da essi richiesto.
Altra supplica è presentata dal macchianese Niccolò Antonioli, “condemnatus et scriptus in libro speculj pro duobus florenis” condannato nel libro degli “Specchi” per due fiorini, il quale “petit gratiam” chiede gli venga fatta grazia del debito. Il consigliere Grifeo Cerichelli propone che Niccolò, “soluto Hedo Dominis Antianis, de reliquo absolvatur” offra un capretto per la mensa degli Anziani e, del residuo, gli si faccia remissione; così resteranno tutti soddisfatti, Anziani compresi!
Altre suppliche sono presentate da un tal Viturchio, da Nicola di Menico Studiosi, da Cristoforo di Piedicolle alias Cochio, tutti condannati a pagare una somma di denaro, nonché da Caterina Cruschia, quest’ultima “pauperrima persona”, che chiede l’esenzione dalle tasse del Podestà: ai primi due, si riduce la pena a 30 bolognini ciascuno, a Cochio di Piedicolle il debito viene ridotto ad un terzo ed alla povera Caterina si concede l’esenzione soltanto per un quadriennio e forse è quella che ha ottenuto di meno ed avrebbe meritato di più!
A distanza di ben 319 anni, nel “Bullettino delle vacanze e rimpiazzi delle condotte mediche e chirurgiche” n. 4, del 5 Febbraio 1861 -poco più di un mese prima della proclamazione dell’Unità d’Italia- fra le “Condotte Vacanti”, si legge, a firma del Sindaco di Amelia, Conte Giovanni Farrattini, quanto segue:
“Trovasi vacante in questa città una delle condotte mediche comprimarie per rinunzia emessa dall’ecc.mo sig. dott. Paolo Emilio Appollonj, alla quale è aperto il concorso. L’annuo appuntamento (stipendio) del medico sarà di lire 1872,64, delle quali lire 1659,84 saranno pagate in rate bimestrali posticipate e lire 212,80 saranno date al finire di ciascun anno, dopo che il servizio sanitario prestato pendente l’anno medesimo nella cura d’infermi abitanti in campagna sarà stato giudicato diligente e commendevole da un consiglio apposito e da tenersi di dodici in dodici mesi decorribili dal giorno in cui il medico prenderà possesso della condotta, come meglio emerge dal capitolato esistente in questa segreteria. Gli aspiranti dovranno far giungere a questo Municipio, franchi di posta, i loro requisiti in originale, o in copia autentica, prima del giorno 16 del corrente mese. Li requisiti devono indispensabilmente essere corredati: 1. Della fede di mascita. 2. Delli documenti posteriori al 16 p. p. gennaro comprovanti la lodevole condotta morale, civile, la buona fisica costituzione, lo stato personale, se conjugato, cioè o vedovo, ed il numero della figliuolanza. 3. Delli diplomi di laurea e di libero esercizio. La mancanza anche di un solo delli richiesti documenti farà perdere agli aspiranti il diritto di essere ammessi al concorso ... L’esercizio medico in questa città dovrà assumersi entro un mese dalla partecipazione della elezione e, mancando, il Municipio potrà dichiarare essere decaduto il fisico da ogni diritto e venire a nuovo concorso. ... Il servizio del medico sarà promiscuo coll’altro comprimario. Dovrà prestarsi ad ogni chiamata nella campagna e territorio con l’obbligo ai richiedenti di somministrare gratuitamente la cavalcatura e dare per ciascuna visita una retribuzione in danaro a termini del capitolato di cui sarà data copia all’eletto, nell’avvertirlo della nomina. Il fisico sarà strettamente tenuto all’osservanza delle superiori disposizioni Governative relative al servizio sanitario. Dovrà pure prestarsi gratuitamente alla innoculazione del pus-vaccino, alla cura dei militari, dei carcerati”. (2012)
5 - Nel consiglio decemvirale del 5 Febbraio 1329 viene autorizzato il Camerario del Comune “expendere usque in iijCl libris et ab inde infra de introitibus condempnationum latarum contra Cagnum Magistri Symonis, lutium Zappe, luzzettum Barnitij, Symonis (sic) Massei, Bartholomei Jannotij, Nutij Cole et Zoli Jacobelli, condempnatorum per Bartholellum de Tuderto, potestatem Civitatis Amelie, ad voluntatem et beneplacitum dominorum Antianorum et prout eis videbitur” a spendere fino a trecentocinquanta libre (e non oltre) dei denari derivanti dalle condanne pronunziate contro Cagno di Mastro Simone, Luzio Zappe, Luzzetto Barnizzi, Simone Massei, Bartolomeo Giannozzi, Nuzio Cole e Zolo Jacobelli, condannati da Bartolello di Todi, podestà di Amelia, secondo quanto sarà stabilito dagli Anziani ed a loro beneplacito. Non sappiamo a qual titolo vennero condannati a pene pecuniarie i sopra citati nominativi. Conosciamo però che Cagno di Mastro Simone il precedente 27 Gennaio aveva presentato una supplica, in qualità di suocero di Angelello del fu Comparato, condannato alla decapitazione, insieme a Ceccarello Jacobelli (parente di Zolo?), per aver commesso violenze nei confronti di alcune suore del monastero di S. Magno. (v. Almanacco del 1999). A rischio di esser tacciati di pignoleria, v’è da rilevare che il Cancelliere verbalizzante, ad un certo punto (da Luzzetto Barnizi in poi) usa il genitivo, anziché l’accusativo. (2014)
6 - Le monache del Monastero di S. Caterina hanno presentato una memoria alla Sacra Consulta, “nella quale dimandano la facoltà di tumulare nel sepolcro della loro chiesa li cadaveri delle religiose e di disumare il cadavere della monaca M., tumulata nella chiesa de PP. Riformati”.
Gli Anziani della città di Amelia, in data 6 Febbraio 1818, chiamati ad esprimere il loro parere in merito, ritengono potersi permettere alle religiose del detto Monastero di seguitare a tumulare le monache in esso decedute, “fintantoché non si costruisce il Cemeterio a termini delle Superiori disposizioni, giacché il Monastero si trova in elevazione e, per il poco numero delle religiose, non ha luogo la spessa apertura del sepolcro”.
Non sembra invece loro lecito esprimere parere favorevole all’esumazione della monaca tumulata nella chiesa dei PP. Riformati, perché contraria alle leggi sanitarie. (1999)
6 - Il 6 Febbraio 1434 nella Chiesa di S. Agostino ha luogo, in “publica generali et universali Arrengha”, l’adunanza generale degli uomini di Amelia “a quatuordecim annis supra” dai 14 anni in su, per discutere e deliberare su di un argomento della massima importanza: “cum hec comunitas necessitate urgetur eligere novum dominum” poiché la Comunità di Amelia è astretta dalla necessità di eleggersi un suo nuovo signore (e padrone) “habita consideratione ad benivolentiam quam Illustris dominus Comes Franciscus Sfortia affert huic comunitati” considerata la benevolenza mostrata verso questa Comunità dal Conte Francesco Sforza ed in relazione al grande prestigio derivante dalla sua condizione di figlio e genero del Duca di Milano ed essendosi egli stesso -come hanno riferito gli ambasciatori inviatigli- disposto ad accettare la volontà di questa Comunità di Amelia, che “velit esse sub eius dominio” desidera assoggettarsi alla sua signoria, “auctoritate presentis arrenghe et omni modo via iure et forma quibus magis et melius potest” per l’autorità derivante dalla presente assemblea generale, in ogni miglior modo e forma possibile, si stabilisce che la Città di Amelia -e suo contado e distretto- “liberaliter et plenissime detur et concedatur ipsi Comiti Francisco Sfortie” liberamente ed incondizionatamente si affidi e si conceda allo stesso Conte Francesco Sforza.
Il giorno 14 successivo, “Vir Nobilis Paulinus de Exculo Locumtenens civitatis Amelie et Francisci comparuit coram prefatis dominis Antianis” il Nobiluomo Paolino da Ascoli, Luogotenente della Città di Amelia e di Francesco (Sforza), comparve dinanzi agli Anziani “et portavit litteram sue commissionis sigillatam sigillo prefati Illustris domini nostri” ed esibì la lettera della sua nomina, sigillata con il sigillo del predetto illustre nuovo padrone degli Amerini. Inizia, in tal modo, la soggezione di Amelia allo Sforza.
La stessa non durò più di 14 mesi, cioè fino all’11 Aprile 1435, quando gli Amerini, con nuova decisione plebiscitaria, tornarono sotto il dominio della Chiesa. (2009)
6 - Con atto rogato dal notaio amerino Vincenzo Artinisi il 6 Febbraio 1524, a Canino, Pier Luigi Farnese promette di dar in sposa la sua cameriera Mensola di Riccalbagni di Pitigliano a Gian Antonio Giorgi di Valentano, con una dote di duecento ducati ed il mobilio che la sua Signora Gerolama Orsini vorrà assegnarle. La stessa Gerolama, il successivo 14 Aprile, vende dieci bufalini indomiti per cento fiorini, da cinquanta bajocchi al fiorino.
Pier Luigi, figlio del futuro Paolo III, avrebbe, nel giro di non più di quindici anni, avuto assegnati dal padre il ducato di Castro e le città di Parma e Piacenza. (2014)
7 - Il Priore e gli ufficiali della Fraternita di S.Maria “sub regimine Laycorum de Amelia”, il 7 Febbraio 1428 espongono al Consiglio Speciale che, nel decorso mese di gennaio, “duo pauperes peregrini sive romipedes venerunt Ameliam et hospitati fuerunt in domo dicte fraternitatis”, cioè che due poveri pellegrini romei vennero in Amelia e furono ospitati nella Fraternita. Dipoi, “vino superati ebrii effecti amentes et insimul rissati sunt et alter ipsorum alterum vulneravit”; cioè, sopraffatti dal vino e usciti di senno per l’ebbrezza, vennero alle mani, ferendosi reciprocamente.
Poiché furono arrestati ed incarcerati, i rappresentanti della Fraternita intercedono per loro, perché siano liberati, in quanto poveri viandanti venuti da lontano e già in carcere da un mese. Fanno, quindi, appello agli Anziani, per un trattamento di clemenza, “intuitu pietatis et amore Dei”.
La petizione viene accolta. (1998)
7 - Il Rettore del Patrimonio, il 7 Febbraio 1422, scrive agli Anziani e podestà di Amelia la seguente letterina:
“Amici carissimi, per questa ve avisiamo che el Tartaglia, come è piaciuto a dio è stato morto da Sforza. Et per questa cascione N.ro Signore (il papa Martino V) ha mandato heri qua Lodovico Colonna et Orlanno (De Orlandis) con commessione ad nuy providiamo (che) le terre (che) tenìa il Tartaglia non vengano ad altrui mani. Pertanto ogi al nome de dio andamo al campo a Toscanella, con quella gente (che) avemo potuta adunare per la Provincia Patrimonij; (vi preghiamo) che, per stato de Nostro Signore, mandate presto quella quantitate de homini (che) potete et de questo N.S. lavarà ad grato”.
Per quanto agli Amerini potesse far piacere di apprendere la notizia della morte di un dispotico capitano di ventura come Tartaglia di Lavello, certamente per essi le cose non sarebbero cambiate in meglio: ne è riprova l’ordine di non consegnare a nessuno le terre da lui possedute e la richiesta fatta con la stessa lettera di inviare uomini per difendere gl’interessi della Chiesa al campo di Toscanella. (1999)
7 - Il 7 Febbraio 1411 risulta trascritta nelle riformanze una lettera inviata dagli Anziani al papa (antipapa) Giovanni XXIII, nella quale, "post oscula beatorum pedum" dopo il bacio dei beati piedi (!), espongono che Michele Cossa, nipote del papa, da Viterbo ove si trovava, ebbe notizia che Amelia "per gentes extraneas pessundari" veniva mandata in rovina da gente forestiera, quindi, "magna pietate commotus", mossosi a pietà, il giorno 3 appena decorso venne in Amelia e constatò che il Riformatore Bartolomeo Vescovo di Cremona aveva mandato, nottetempo, a chiamare in sua difesa genti armate trovantesi nelle vicinanze "contra dictum dominum Micchaelem et Civitatem sub spoliatione commictere" per agire contro lo stesso Cossa e porre a sacco la città. Dopo che l'intera cittadinanza si rese conto di quanto stava per accadere "que postquam nostro toto populo visa et audita fuerunt" il Riformatore venne catturato "et traditus in manibus dicti domini Micchaelis" e consegnato al Cossa, il quale, riconosciuto "salus nostra et defensio in tanto ingenti periculo" che la salvezza e la nostra difesa fossero in tanto grande pericolo, dall'intero popolo, convocato in generale arengo, "fuit unanimi voce omnium vocatus in nostro Gubernatore" fu nominato con voti unanimi Governatore della Città, "ad V. S. beneplacitum" con il beneplacito del papa, che in proposito ne viene richiesto. Nella lettera si accenna in modo generico che "multa sint narranda tirampnice gesta per dictum dominum Bartholomeum" vi sarebbero tante cose da dire circa gli atti di tirannia compiuti dal Riformatore Bartolomeo, ma che "prolissitate verborum et honestatis causa obmittimus" a causa delle troppe parole che occorrerebbero e, per un senso di onestà, si tacciono.
La lettera viene fatta pervenire al papa tramite "fratrem Johannem alias Fraticello" fra Giovanni, detto Fraticello, con un compenso di 10 vecchi bolognini al giorno e che, per un evidente errore di scrittura, viene fatto partire il 7 e ritornare... il 5!
Dalle parole sopra riportate -soprattutto quando si accenna ad "honestatis causa"- sembra trasparire la scarsa convinzione degli Amerini circa gli atti di tirannia perpetrati dal Riformatore Bartolomeo, accolto trionfalmente all'atto della sua nomina (v. 9 Giugno 1410), mossi, come tutti i deboli, da istinto di servile adulazione verso il Cossa, anche perché nepote del papa. Anche quest'ultimo, con una lettera del 18 Febbraio, rispondendo agli Anziani, mostra di non credere alle accuse mosse a Bartolomeo ed intima loro di restituirlo "sue pristine libertati" alla sua pristina libertà e di scortarlo a Viterbo, dove sarà ascoltato e giudicato. (2006)
7 - Nel consiglio decemvirale del 7 Febbraio 1473 viene letta la supplica di donna Pacifica figlia di Biasio di Fantaccino da Porchiano, la quale espone “come morendo dicto Biasio suo patre, remase lei piccola con quattro fratelli et ad quelli lassò omne sua heredità quale era pochissima con obbligatione che devessero maritare dicta donna Pacifica de la dicta heredità et de po (dopo poco) tempo dicti fratelli partiero (divisero) dicta heredità et obligaronse che al tempo che dicta donna Pacifica se maritasse omneuno fosse obligato per la quarta parte de la dicta dote et mobile. Et essendo de po (poi) dicta donna Pacifica maritata ognuno de dicti fratelli se obligò pro rata de la dicta dote che fo ducati vinticinque ... Et essendo de po morto Bernardino suo fratello uno de dicti quattro che miserabilmente se affuochò (affogò)... et non trovandose de li beni de dicto Bernardino altro che una casa et uno pezo de terra dicta donna per la quarta parte de la sua dote et mobile se mise in possessione de essa casa sopra la quale (per causa della quale) è stata de poi molestata per li Signori Antiani precedenti per cascione de una condennatione de ipso Bernardino ... et facta bandire (mettere all’asta) ... et perché non serria iusto che lei fosse privata de la sua dote, piacerà a V. S. dicta casa et pezo de terra liberarli ad ipsa supplicante”. Si concede quanto richiesto da donna Pacifica, dietro pagamento di otto ducati.
Altra supplica viene presentata da Berardo di Piccio, il quale espone che “ipse per aliquos annos vixit extra civitatem Amelie vagabundus prout alij juvenes et vagabundi solent facere” egli, per alcuni anni, visse fuori Città vagabondo, come altri giovani sogliono vivere e, nel detto periodo, molte dative gli sono state applicate, con continue molestie da parte degli esattori, a detta di suo padre Piccio. Poiché “multis civibus Amerinis qui similiter vagabundi iverunt” a molti altri cittadini di Amelia che, come lui andarono vagabondando fuori città “gratia concessa fuerit” fu concessa la grazia dalle dative, chiede simile trattamento anche nei suoi riguardi. Gli viene concesso. (2008)
8 - “Attesa la caduta del ponte di Narni, gl’Ill.mi Sig.ri Anziani, conosciuta la ragionevolezza del direttore delle poste delle lettere, implorante qualche aumento pel corriere, che dovendo passar per Montoro e Stifone, è costretto far doppio viaggio”, nella seduta consiliare dell’8 Febbraio 1805 “aumentarono, coll’intelligenza del Sig. Governatore, scudi quattro l’anno provvisoriamente, e per fino (che) non potrà ripassarsi sul ponte solito, o altro, che permetta l’uso dell’antica strada”.
Segue un’annotazione: “Per li 15 Marzo 1805 fu ripristinato il sudd. Ponte, secondo la sicura notizia ricevuta”. (2000)
8 - L’8 Febbraio 1466 in consiglio viene letta una supplica presentata “per parte del vostro fidelissimo servitore Donato Lombardo muratore ... che con ciosia cosa luj hagia lassiata la sua propria patria per venire habitare et stare in questa vostra m.ca Ciptà de Amelia alla quale venne povero nudo de denarj senza casa senza campi né vigna, lo quale solo è visso (vissuto) de suo sudore et fatiga et appena ha potuto supplire alle cose necessarie per vivere lui et la sua fameglia et quando li fosse necessario pagare le dative et colte (che) se impongono per li tempi in questa M.ca ciptà, non vede né cognosce con sue industrie et fatighe potere supplire ad guadagnare tanto (che) possa supplire alle cose necessarie della vita de sé et sua fameglia. El predetto supplicante se recommanda divotamente alle V. M. S. li voglia piacere fare alluj et suoi figli exemptione et immunità de tucte dative et colte da imponerse in questa M.ca Ciptà per xviij o vero xvj anni proximi ad venire, mediante per essa possa sostentare sé et sua fameglia et non gli bisogni cercare altrimenti mendicare ... Et queste cose el predicto supplicante domanda alle V. M. S. de gratia singulare, le quali laltissimo dio conservi con questa M.ca Ciptà in felice stato”.
Nel maggior consiglio del giorno seguente, al povero Donato lombardo si accorda l’esenzione da tutte le imposte per dieci anni, “ut consuetum est alijs forensibus” come è d’uso fare per gli altri forestieri. (2009)
8 - Alessandro VI vuole sia fatto bandire in tutti i luoghi soggetti alla Chiesa -e, quindi, anche in Amelia- il seguente proclama, che porta la data dell’8 Febbraio 1496:
“Desiderando la S.tà de N. S. como optimo pastore et patre universale provedere con tucte le vie possibele ad lapace et quiete de tucti et reducere italia, maxime lecose del Reame de Napoli, alla pristina tranquilità et essere, ordina et commanda che neuno subdito de sua S.tà et Sancta Ecclesia possa directe vel indirecte o socto quale sevoglia color, condurse ali stipendij deli franciosi et de qualuncha persona de qualsevoglia conditione, dignità et stato, laquale sia ad liservitij de Re de francia, né ad queste dare recepto né favore, né adiuto in alcuno modo, socto pena de rebellione et de confiscatione deli beni soi, et demolitione de case, laquale pena sua S.tà comanda et vole che se exequischa effectualemente come se convenerà ad la malignità et errore deli inhobedienti et perché questi tali delinquenti non habiano alcuna justificatione al peccato et intendano la optima mente et dispositione de N. S. verso tucti li subditi soy, la sua S.tà offere dare conveniente stipendio, secundo la qualità dele persone et recerca li soldati subditi soy et de sancta ecclesia, quali se trovassiro alli servitij de quilli quali sonno coi franciosi, che, socto la medesima pena de confiscatione, rebellione et demolitione de case, debiano infra sei dì, deli quali doy per lo primo, doy per lu secundo, doy per lu terzo et ultimo peremptorio termene et ultima molitione (ammonizione) se assegnano, partirse da tali servitij et presentarse ad Mons. Governatore et farli intendere la obbidientia loro et declarli (chiedere) se vogliono stipendio et quanto et como, perché li serrà risposto con effecti boni et subditi (bene e prontamente) et volendo andare ad Roma ad tollere soldo (a venire assoldati) et patricare (praticare) serrà grato ad N. S. per posserlo più presto expedirlo.
“Jtem ordina et comanda la S.tà de N. S. che niuna persona, de qual se voglia conditione o stato, possa imprestare né vendere arme de qual se voglia sorte, in qual se voglia loco de quisto Guberno, senza expresso bullectino (ricevuta) de Mons. Governatore o de chi serrà deputato per S. S. et semelmente se intenda de monitione (munizioni), artigliaria et de ogne spetie darmature da homini et da cavalli et ne anche possa alcuno vendere cavalli de ogni sorta et ogni altra cosa, spectante alla guerra et ministero de larme, senza licentia del prefato Governatore ho (o) deputato per sua S. et contra faciendo ad quisto commandamento, cada in la pena de ducati xxv doro et dece tracti de corda, in la quale pena sia condempnato equalemente lo compratore et luvenditore et de epsa pena pecuniaria ne pervenga un terzo ala Camera apostolica, laltro ad Monsegnore Governatore o deputato per sua S. et elterzo ad lu dennuntiatore delerrore (del reato).
“Jtem ordina et commanda la S.tà de N. S. che sotto la medesima pena, da essere facte et execute (da applicarsi ed eseguirsi) come è dicto de sopra, neuno, sinza (sic) expressa licentia del prefato Monsegnore Governatore, possa cavare fora (far uscire) da neuno loco del Governo cavalli, arme, artigliarie o munitione de qual se voglia sorte”. (2010)
8 - Nel “Liber Criminalium” del Comune di Giove, sotto la data dell’8 Febbraio 1595, è riportato l’interrogatorio, eseguito dal Podestà e Giudice, di un tal Egidio Franciotti di Giove, circa un suo casuale incontro con certo Consalvo di Terni, “capitaliter bannitum”, cioè sbandito, condannato alla pena capitale. Richiesto se avesse mai conosciuto, veduto o parlato con detto Consalvo, risponde:
“Faranno due anni questo Maggio che viene se ben mi raccordo (ricordo), che trovandomi io su alla selva bandita del Signore (Farnese) nel tornar che faceva verso casa, m’affrontai in tre armati di archibugi, ch’io non li conobbi all’hora, et uno di essi giovinotto che all’hora cominciava à metter barba, che per quanto mi fu poi divisato da altri, era Consalvo da Terni bandito capitalmente, mi dimandò di chi erano li porci che pascolavano lì vicino et io li dissi che io li teneva in soccita con Antognolo, et esso replicò ‘alli porci di Antognolo li faccio la beretta (forse intendendo dire che li avrebbe rispettati)’ et aviandomi tuttavia verso casa, detto Consalvo mi richiamò con dirmi ‘fà che sie huomo da bene’, et così me ne venne à casa pieno di paura”. Ulteriormente interrogato perché non avesse denunziato alla Curia del Podestà l’incontro fatto con tali genti armate, “iuxta dispositionem banni, et decreti ... publicati de anno 1592” secondo le prescrizioni del bando e del decreto pubblicato nel 1592, risponde: “Jo non andai a darne notitia alla Corte, perché non sappeva che ci fosse tal decreto”. All’affermazione, da parte dell’interrogante, che non fosse verosimile che non gli fosse giunta notizia di tale decreto, che venne pubblicato con proclama “adeo quod ad omnium notitiam devenit” per farne giungere notizia a tutti, Egidio risponde: “Jo per me non ho mai sapputo niente”. Dopo di che, “ego notarius et Potestas” l’interrogante Notaio-Podestà “aliis impeditus negocijs” preso da altre incombenze, sospende l’interrogatorio e manda il povero Egidio “in carcerem detinendi et exinde non relaxari donec etc.” ad essere detenuto in carcere ed a restarvi fin quando non sarà stata chiarita la sua posizione.
E’ questa. purtroppo, un’ulteriore dimostrazione che “ignorantia legis non excusat!”. (2012)
8 - Il chierico amerino Don Bellisario Geraldini l’8 Feabbraio 1557 richiede al notaio Fazio Piccioli di verbalizzare di aver ricevuto cento scudi dal parente Don Ascanio Geraldini, Vescovo di Catanzaro, quale pensione devolutagli sulla mensa di quella città, per mandato apostolico.
Oltre due secoli e mezzo dopo, l’8 Febbraio 1798, nelle riformanze risulta annotato quanto segue:
“Si legge da me Segretario alle S.rie Loro Ill.me un pro Memoria dell’Ill.mi Sig.ri Antonio Bufalari e Giovanni Vannicelli, Deputati da questo Ill.mo Publico (Comunità) ad effetto di trasferirsi alla Città di Terni, per presentarsi e complimentare il Commissario dell’Armata Francese d’Italia Davre, in occasione del passaggio delle suddette Truppe ... del seguente tenore:
“Pro memoria = Due furono gli oggetti che mossero il Maggistrato e Consiglio della Comunità d’Amelia a spedire una deputazione al Cittadino Commissario dell’Armata Francese in Italia ed al di cui disimpegno elessero Giovanni Vannicelli e Antonio Bufalari. Il primo fu quello di tributare sensi di ossequio e rispetto alla sempre invitta nazione Francese; il secondo, di cercare un tempo più discreto (congruo) per l’intiera trasmissione di tutte quelle sussistenze che le circostanze del momento e della Città avessero impedito di trasmettere con quella rapidità ed esattezza che richiedeva il lodato Commissario ... “ e le “sussistenze” non erano cosa da poco, come si legge in appresso: “col mezzo di commoventi preghiere e di patetiche descrizioni dell’infelici circostanze della Città, ottennero finalmente dall’Animo sempre magnanimo e grande del Commissario” di dover predisporre -soltanto!- “10mila Razioni di Carne ... ed una responsione” di razioni “sì di pane, che di vino, liberando così questo Publico da una nuova Imposizione al momento ... Per ottener però tutto questo non giovò poco ai Deputati la circostanza di intendere e parlare la lingua Francese con Persone che non intendevano affatto la nostra Italiana”. Segue una lettera del Commissario Davre, che dà quietanza dei generi ricevuti dagli Amerini. Se ne riporta la traduzione di qualche brano, come risulta trascritta nelle riformanze:
“Libertà = Eguaglianza = A Terni 18 Piovoso Anno sesto della Republica Francese è una (sic) indivisibile = Armata d’Italia - Divisione - Davre Commissario di Guerra - Ai S.ri di Maggistrato della Commune d’Amelia. Io ho veduto i S.ri Giovanni Vannicelli e Antonio Bufalari Deputati della vostra Commune per la fornitura a far le sussistenze. Io vi prevengo che essi hanno rimesso nei nostri Magazzeni: Sette Mila Razioni di Vino - Sette Mila Razioni di Pane e trentasette Bovi, che formano dieci mila razioni di Carne”.
Il Consiglio Generale che segue si sente in dovere di tributare un ringraziamento ufficiale ai Delegati, per come hanno condotto le operazioni:
“Stante le sopracitate cose, il presente General Consiglio, commendando l’operato delli detti S.ri Deputati Antonio Bufalari e Giovanni Vannicelli, a vantaggio di questo Publico e la di loro puntualità ed esattezza, tutti a viva voce ringraziarono i medesimi di tanta gentilezza usata ed incomodo preso a favore della detta Città. E così, rese grazie al Signore, fu dimesso il sudetto Consiglio”.
E meno male che Vannicelli e Bufalari conoscevano la lingua francese! (2014)
9 - Con rogito del Notaio Paulus Jacobutij di Amelia, in data 9 Febbraio 1385 viene stipulato un atto di rinunzia ad enfiteusi su di una casa sita in Contrada Burgi, presente, in rappresentanza del Collegio dei Canonici della Cattedrale, parte interessata in detto atto, soltanto il presbitero Angelo Stefanelli, canonico anziano della chiesa di S. Fermina, restato solo “ad regimen dicte ecclesie propter guerras nunc in provincia et in civitate Amelia permanentes” al governo di detta chiesa, a causa dei conflitti esistenti in Città a provincia.
In un atto simile al precedente, rogato circa un anno e mezzo più tardi (il 10 Agosto 1386), da parte del medesimo presbitero Stefanelli, si rinnova la dichiarazione resa in precedenza, aggiungendo, a giustificazione della mancanza di colleghi, “propter mortalitatem que olim fuit in dicta civitate et in Provincia Patrinonij moratur” a causa della mortalità verificatasi un tempo in città e tuttora presente nella Provincia del Patrimonio.
Se ne deve dedutte che guerre, malattie e disordini non avevano consentito il rinnovo del Capitolo Canonicale. (2000)
9 - Nelle riformanze risulta trascritta una lettera inviata da Roma agli Anziani da parte del Cardinale Colonna, recante la data del 9 Febbraio 1504, con la quale esorta gli Amerini a voler liberare il nipote dell’Abate Bernardino di Alviano, tenuto prigioniero in Amelia, accludendo un impegno che il Colonna è riuscito a fargli sottoscrivere il giorno 6 dello stesso mese, con il quale l’Abate si dichiarava pronto ad accettare le condizioni convenute con gli Amerini, restituendo taglie pagate da questi ultimi e campane sottratte loro. Se ne riporta gran parte dei rispettivi testi:
“Magnifici Viri ed Amici nostri Amantissimi salute. Più volte ve havemo facto intendare quanto havessemo ad caro la liberatione del nepote del S.re Abbate de alviano sforzandoce anchora non pocho de indurre el decto Abbate in quello che più sia stato vostro favore ... et cussì ... lo havemo reducto al presente ad fare questa obligatione de sua mano quale potrite vedere per la inclusa copia che ve mandamo, exortandove et pregandove assai vogliate questa cosa intra noy maturamente discutare. Et contentandove de quanto ipso promette et darite subito adviso perché ordenarimo con ipso (che) ponga in effecto quel tanto (che) promette, tanto de le taglie pagate quanto etiam de le Campane, acciò che de poi voi habiate ad satisfare pro parte vostra in relassare decto suo nepote. Et de questo ce ne farete cosa assai grata et piacere acceptissimo. Nec alia (Non c’é altro) bene valete (state bene) Rome die viiij februarij 1504”.
Ed ecco la dichiarazione dell’Abate:
“Jo ber(nardino) Abbate de Alviano per vigore de la presente scripta de mia mano me obligo et so contento et prometto pagare ad omne petitione che Monsignore R.mo Cardinale de colonna vorrà tucti li denari pagati per Joanni Casciolo de Ameria quando se liberò de laprescione et mano (dalle mani) de li bagliuni (Baglioni) et omne altra taglia de prisciuni per liquali jo fosse obligato per li Capitoli facti fra me et Amerini de po (dopo) la presa de porchiano, quali (capitoli) sieno per Amerini et tudini acceptati et caso che non sieno stati acceptati, pagare quelle taglie che ipsi o loro homini havessaro pagati per loro captivi in la ultima guerra facta ad loro dal S.re Bartolomeo, standose ad fede (secondo le testimonianze) de homini fededigni che proverando (proveranno) tale taglia. Et più me obligo restituire una campana de Ameria che è in alviano unaltra che è in orte unaltra che ha Biasino da tode et cedare le mie rasciuni de una (che) ne fo (fu) per li nostri portata ad lugnano ... et quelle altre campane rocte o sane che per nisuno tempo se troverando (troveranno) in potere (mano) de li miei o de tudini perosini (perugini) o ortani o notitia vera ce sia (si sappia) che per modo alcuno le habbiano haute (avute) o conservate in loro usu et in altri lochi fossaro et questo fo et voglio fare quando ipsi Amerini me manderanno et haverando (avranno) renduto Jacomo mio nepote et palmesciano de Alviano retenuti per Amerini”. (2011)
9 - Fra le molte proposte discusse nel consiglio decemvirale del 9 Febbraio 1550, v’è quella concernente una richiesta di finanziamento da parte “fratruum S.ti Francisci, qui vellent instaurare chorum” dei frati di San Francesco, che intenderebbero procedere alla costruzione di un coro, utilizzando anche alcune somme delle quali gli stessi si dichiarano creditori nei confronti della Comunità, verosimilmente per elemosine non ancora corrisposte loro da quest’ultima. Nel consiglio generale che segue nello stesso giorno, il “Nobilis et prudens Vir” Evangelista Nacci propone “quod D. Antiani, cum quatuor Civibus eligendis habeant authoritatem eque ac tamquam presens Consilium providendi de aliqua summa pro dictis fratribus” che gli Anziani, insieme a quattro cittadini da eleggersi, abbiano autorità pari a quella dello stesso Consiglio di provvedere al reperimento del denaro necessario a soddisfare la richiesta dei frati di S. Francesco. La proposta viene approvata con 43 voti favorevoli e soltanto tre contrari. Per quanto riguarda l’indagine da fare circa le somme delle quali gli stessi frati si dichiarano creditori, lo stesso Nacci “suum continuando sermonem”, continuando la sua arringa, “dixit quod communitas debeat satisfacere fratribus S.ti Francisci de parte eorum crediti” che la Comunità debba soddisfare alla richiesta dei frati, impiegando i denari di cui essi si dichiarano creditori “et quatuor Cives eligendi” ed i quattro cittadini da eleggere “habeant facultatem inveniendi modum et curam distribuendi dictas pecunias in constructionem Chori et non ad alios usus” abbiano ogni potere di impiegare i denari ricavati in seguito alla loro indagine esclusivamente nella costruzione del detto coro e non in altre opere. Seguono i nominativi dei quattro cittadini eletti: Paolo Carleni, Simonpietro Farrattini, Gerolamo di Angelantonio ed Evangelista Nacci. (2012)
9 - Con atto del notaio Paolo Paulelli del 9 Febbraio 1409 Tommaso di Leonardo di Amelia consegna, in soccida, a Renzio Castriconi ed a Giacomo di Ser Angelo, del Castello di Penna, cinque bestie bovine, cioè: due buoi domati, uno di pelame rosso con le corna arcuate, due vacche ed una vitella non ancora domate, per la durata di tre anni, con l’apprezzo di trenta ducati d’oro. I soccidari Renzo e Giacomo si obbligano, in solido, di “bene et legaliter custodire, pasculare et guardare omnibus eorum sumptibus et expensis et illam diligentiam habere quam quilibet pater familias habet de suis” custodire, pascolare e sorvegliare le bestie secondo le norme di legge ed a loro spese, usando tutta la diligenza di un buon padre di famiglia, quindi “non vendere vel alienare” dette bestie “et si casus fieret, quod deus cesset, quod dicte bestie vel aliqua earum perirent propter malam custodiam vel culpa et defectu predictorum Rentij et Jacobi, vel alicuius eorum” e nel caso che -Dio ci scampi!- una o tutte delle dette bestie perissero a causa di cattiva custodia o colpa e difetto dei detti Renzo e Giacomo, “quod damnum totum et periculum spectet ad utramque partem” che tutto il danno ed il rischio sia sopportato da entrambe le parti.
Ma che Tommaso di Leonardo portasse scritto in fronte “Giocondo”? (2014)
9 - Il 9 Febbraio 1521 il nob. Lodovico Pepi de’ Naccis dà in gestione a Mastro Giacomino di Pietro, di Domodossola, una “quadam” certa fabbrica all’Annunziata, di non meglio precisata natura, per il corrispettivo di trenta ducati, che il Nacci devolve in elemosina al Convento. (2015)
10 - In calce al verbale redatto dal Notaio Mutius Pennicchius Reatinus, in data 10 Febbraio 1602, è riportato, more solito, il sigillo notarile. E' singolare però la circostanza che, al di sotto del sigillo, leggasi, in esergo, il motto "nec spe, nec metu"; cioè: né con speranza, né con timore. L'origine di tale impresa è da attribuirsi ad Isabella d'Este, Marchesana di Mantova, da lei ideata intorno all'anno 1504. (2004)
10 - Il 10 Febbraio 1327 viene presentata agli Anziani ed ai consigli cittadini una supplica da parte dell'amerino Angeluccio Fattuzi, il quale riferisce che, nel decorso mese di gennaio, "per vim et violentiam noctis tempore furtive et malo modo" durante la notte, ha subito la violenza di venirgli sottratte furtivamente ben 180 pecore "per homines de castro Canapine" da parte degli uomini del castello di Canepina "nomine quorum ipse ignorat" dei quali non conosce il nome, "accepte et sublate de tenimento orti", a lui sottratte dalla tenuta di Orte, nella quale le faceva custodire "ad pasturandum" e che detti uomini "duxerunt quo voluerunt" portarono dove vollero. Poiché, contro gli stessi, il podestà, i consigli e gli altri ufficiali del Comune di Amelia fecero richiesta alle corrispondenti autorità del detto Castello, affinché le pecore sottratte ad Angeluccio gli venissero restituite, ma le dette autorità "minime facere curaverunt" non se ne dettero per intesa, "sed potius in derisum habentes" ma con tono piuttosto canzonatorio, dissero che il furto era stato opera di briganti, al povero Angeluccio non resta che chiedere alle magistrature amerine che gli venga concesso "ius reprehendendi" il diritto di rappresaglia "contra personas et res hominum dicti castri in avere et personis ac rebus" contro uomini e beni del detto Castello e quanto riuscirà a prendere, possa "in suam propriam utilitatem convertere" convertire a propria utilità "usque ad plenam satisfactionem" finché non sarà stato totalmente risarcito del danno subito, quantificato in 260 libre, oltre quanto avrà dovuto sborsare per le relative spese "factarum et faciendarum" fatte e da farsi.
Analoga petizione viene presentata da Samperino di Ugolino, pure di Amelia, il quale espone che, mentre "cum suis mercatantijs et rebus" con le sue mercanzie e le altre robe, transitava "per districtum d.ni Napoleonis de filijs ursi, videlicet per territorium castri Sutriani" per il territorio del Castello di Sutri, di pertinenza di Napoleone Orsini, "nequiter et malo modo fuerit per homines terre ipsius d. Napoleonis ipsis rebus totaliter spoliatus" venne dagli umini di detta terra totalmente ed in malo modo spogliato di tutte le sue cose, che puntualmente enumera: un asino, tre sacchi di lana, cinque teli di lana filata, otto sacchette di canapato grosso, una coperta da soma di panno di lana e due lucerne di ferro. Chiede, anch'egli diritto di rappresaglia contro persone e beni del Castello di Sutri.
Viene, infine, presentata altra supplica, collettivamente da parte di Marco Stracce, Pietruccio Ningoli, Angelello Fratezzoli, Ventura Nucci, Biagio Lelli e Bartolomeo Guiducci, popolani di Amelia, con cui gli stessi, espongono di essere stati derubati, nel decorso gennaio, "in districtu et territorio Civitecastellane, in plano Jaganti" nella pianura detta di Giagante, in territorio di Civita Castellana "de rebus et denarijs secum portantibus" dei denari e delle cose che portavano seco, del rispettivo valore, fra beni e liquidi, di 86 libre e due soldi Marco, 90 libre e 4 soldi Pietruccio, 85 libre e 12 soldi Angelello, 14 libre e 13 soldi Ventura, 20 libre e 4 soldi Biagio ed, infine, 29 libre e 16 soldi Bartolomeo. Anch'essi sollecitano la concessione del diritto di rappresanglia contro gli uomini di Civita Castellana.
A quei tempi, sembra fosse poco igienico per gli amerini trovarsi in territorio viterbese!
La rappresaglia, che, all'epoca, era un vero e proprio istituto giuridico, dava, a chi veniva concessa, il diritto di aggredire impunemente e depredare cittadini appartenenti al territorio nel quale il richiedente aveva subito un ingiusto danno, fino a completa soddisfazione delle sue pretese. (2007)
10 - Il 10 Febbraio 1525, durante la seduta consiliare, prendono la parola due oratori. Il primo è “vir pietate ac devotione insignis Petrus Paulus Cyrichellus” Pietro Paolo Cerichelli, uomo insigne per bontà e devozione, il quale, “Dej optimi maximi favore petito” invocato il favore della Divinità, considerando “precipua debere esse cura illorum qui Rempublicam gubernant providere ad sanitatem” che principale cura di chi è a capo della cosa pubblica sia di provvedere alla salute, per la qual cosa propone “ut exequatur votum, videlicet quod continuetur illa Maiestas S.ti Rochj ad S.tum Petrum” che venga eseguito il voto (fatto dalla Società di S. Rocco fin dal 28 Agosto 1523 e per il quale il 6 Marzo 1524 erano stati stanzaiti 25 carlini “ad depignendam imaginem S.ti Rochi, ut nos a peste defendat”), di continuare la pittura della maestà di S. Rocco in S. Pietro, per la esecuzione della quale venga impiegato, del ricavo della gabella del macello, “illud plus quod superest de salario physici” quanto sopravanzerà dal pagamento del salario del medico fisico.
Il secondo oratore è il “vir piissimus Aurelius Boccharinus” Aurelio Boccarini, uomo di grande devozione, il quale, “animadvertens ullo meliori modo posse averti iram Dej quam precibus Beate Marie Virginis”, facendo presente che non vi possa essere nessun miglior modo di scongiurare l’ira divina (che era ritenuta la causa delle epidemie) delle preghiere della Beata Vergine Maria, “consuluit ut promitterentur fabrice Beate Marie Pusterole decem ducati aurei de gabella vini” propose di destinare alla fabbrica (della chiesa) di S. Maria in Posterola dieci ducati d’oro, da ricavare dalla gabella del vino.
Queste proposte, intitolate nelle riformanze “provisiones ad sanitatem”, cioè provvedimenti per la salute pubblica, lasciano trapelare che, per il mantenimento di quest’ultima, si nutriva più fiducia nella protezione dei Santi, che nell’opera di medici e medicine. (2008)
10 - Il 10 Febbraio 1522 gli Anziani, insieme ai quattro soprastanti alla sicurezza della Città, in esecuzione di quanto deliberato il 30 Gennaio ed il 1 Febbraio precedenti, prendono in affitto da Anselmo Cascioli una bottega sita in contrada “Platee”, a confine con beni dello stesso e di Cristoforo Cascioli da un lato e con via pubblica per altri due, per la durata di dieci anni, da destinare a Mastro Biasino, armaiolo lombardo, che dovrà costruire “scopletti” per la difesa di Amelia; l’affitto, che sarà a carico della Comunità, è fissato in 14 carlini l’anno. Lo stesso giorno, i medesimi Signori prendono in affitto una casa da Cipriano Impacci, posta in Contrada Colle, a confine con proprietà di Stefano Vatelli e di Tiburzio e con via pubblica, da servire da abitazione allo stesso Mastro Biasino, per il canone annuo di dieci carlini, dei quali 6 a carico della Comunità e 4 di Mastro Biasino; della qual casa, il proprietario Cipriano si riserva per sé una cantina ed una stalla, con accesso dalla proprietà del confinante Tiburzio. La parte del canone a carico della Comunità verrà prelevata dalla gabella del pascolo. (2009)
10 - Il 10 Febbraio 1538 nel consiglio dei X ed in quello generale immediatamente seguente, vengono trattati alcuni argomenti, fra i quali si rileva la richiesta “jmponenda pena contra proicientibus turpitudinem aut quomodolibet facientibus per convicinos putei Piaiole” che venga imposta una pena nei confronti di coloro che gettano immondizie nel pozzo della Piaggiola o che, abitando nelle sue vicinanze, in qualsiasi altro modo inquinino il detto pozzo. Laurelio Laureli “vir maxima probitate”, propone che si faccia avviso “omnibus habentibus cloacas prope dictum puteum ne fiat per eos aliqua turpitudo sub pena unius carleni” a tutti coloro che possiedono uno scarico fognario vicino al suddetto pozzo, che, da parte loro, non vi si accumulino immondizie, alla pena di un carlino “et similiter qui fecerit vel proiecerit jmmunditias ibidem jncidat in dicta pena, habita jnformatione a superstitibus dicti putei” ed alla stessa pena soggiaccia chiunque le produca e le getti nel pozzo, dietro denunzia da parte degl’incaricati della sorveglianza dello stesso. La proposta viene approvata con 32 voti favorevoli e 2 contrari (probabilmente quelli di un paio di sporcaccioni!).
Si deve, inoltre, nominare un nuovo medico e lo stesso Laureli “dixit quod Domini Antiani, cum quatuor civibus eligendis cum auctoritate presentis consilij, habeant providere” propone che gli Anziani, insieme a quattro cittadini da eleggere dal consiglio, provvedano a farne ricerca. Altro consigliere, Dardano Sandri, aggiunge che il nuovo medico abbia “salario Magistri Jacobi Sachi, videlicet scutos 115 centumquindecim” lo stesso corrispettivo del Maestro Giacomo Sacchi, (evidentemente il medico uscente), vale a dire centoquindici scudi.
V’è anche da pensare a come soddisfare un credito vantato verso la Comunità da parte di Benedetto Assettati, che esibisce una carta di credito (“bullectam”) di cui però non viene indicato né l’importo, né la causale del credito. Il consigliere Laureli propone che “quolibet Antianatu solvantur Carlenj decem in gabella Platee” per ciascun Anzianato (la cui durata era di due mesi), venga corrisposto all’Assettati un acconto di dieci carlini, da prelevare dagl’introiti della gabella di Piazza: c’è da augurarsi che il credito dell’Assettati fosse di modesto importo, altrimenti chissà per quanto tempo avrebbe dovuto tirare il collo prima di vederne il saldo!
Vi sono da esaminare anche alcune suppliche: una è presentata da tal Martino di Pergola, probabilmente giunto di recente in Amelia da quel centro delle Marche, che chiede di venir esentato dalle imposte, secondo quanto si usa concedere ai nuovi immigrati: gli viene concesso, con 32 voti favorevoli e 2 contrari. Altra supplica è presentata da un tal Brunello, il quale risulta condannato a pagare una pena pecuniaria per qualche reato da lui commesso, secondo quanto risulta annotato nel relativo libro “mallefitiorum” dei processi penali: si delibera, con 28 “palluctas albas” voti favorevoli “non obstantibus sex nigris” e sei contrari, che, “solutis carlenis duobus, de reliquo fiat sibi gratiam” paghi due carlini e, del residuo della pena (che non si conosce), gli venga fatta grazia. (2012)
10 - Il 10 Febbraio 1476 il “Maestro di Organi” (organaro) fra Leonardo di Alamania, agostiniano, per l’organo costruito e fabbricato in Cattedrale e per sua mercede, riceve dai Canonici quattordici ducati, in ragione di settantadue bolognini per ducato. Questo denaro il Capitolo -che ha le casse vuote- dovette procurarselo con la vendita di un terreno già lasciato alla Chiesa di S. Fermina “pro fabrica”. L’acquirente è Evangelista di Giuliano, fratello del Priore. Così tutto resta “in famiglia”! (2014)
10 - Il 10 Febbraio 1520, con atto del notaio Francesco di Cristoforo, i fratelli Gian Battista e Gian Nicolò Moriconi si obbligano a restituire al Vescovo Giustiniano, loro fratello, millecinquecento ducati d’oro, da lui guadagnati mentre era Castellano di Forlì e spesi per la famiglia e per dotare le sorelle, nonché altri novecentocinquanta ducati, quali suo stipendio per l’opera prestata a Forlì per la Sede Apostolica e da questa fattagli pagare tramite il Comune di Amelia. (2014)
11 - Nel Castello di Lacuscello, da alcuni spoletini, venne rubato un cavallo “pilaminis lucidi”, dal pelo lucido, a Giovanni di Roberto, cittadino di Amelia. Costui fa pervenire un reclamo ai rettori di Spoleto, a mezzo del nunzio giurato del Comune di Amelia, Nicola de Castaldi. Per tutta risposta, i rettori spoletini “fecerunt crudeliter” battere ed imprigionare il nunzio.
A questo punto, l’11 Febbraio 1326, Giovanni rivolge una supplica agli Anziani, per avere licenza “per se et suos consanguineos et amicos” ad esercitare diritto di rappresaglia sui beni e sulle persone di Spoletini, “usque ad plenam satisfactionem” sia del valore del cavallo, che delle spese incontrate e da incontrare per il recupero del suo credito, quantificato in ben 40 fiorini d’oro.
Il diritto di rappresaglia era previsto e tutelato dagli statuti, nei quali era anche sancito (V. Statuto 1330, L.VI, rub.3) che chi si recava in qualche luogo, dove fossero state bandite rappresaglie contro Amelia, ci sarebbe andato “ad suum risicum” a suo rischio. (1999)
11 - L'11 Febbraio 1330, gli Anziani Marco Angeli, Maestro Bartolomeo Buzi, Maestro Angelo Massarucoli, Maestro Celestino di M.r Angelo, Ceccuzio Fattucci e Ceccuzio Beralli "concesserunt licentiam nobili viro Nino de Mevania potestate dicte Civitatis" diedero facoltà al nuovo podestà cittadino Nino di Bevagna "tormentandi et torquendi pro mallefitijs inveniendis et excessibus et delictis" di sottoporre a tormenti e torture, al fine di accertare crimini e delitti "omnes homines et personas quas ipse potestas torquere posset de licentia Antianorum populi dicte Civitatis ita quod in dictis casibus non expediat ab ipsis Antianis licentiam impetrare" tutte le persone che il podestà vorrà assoggettare a legittima tortura, di modo che, nelle dette circostanze, non sia necessario ottenere ulteriore licenza dai medesimi Anziani "qua licentia valere voluerunt toto tempore Antianatus eorum". L'autorizzazione si intendeva valida per tutto il periodo dell'Anzianato in carica.
Come fosse stata rilasciata una normale “licenza di caccia”! (2007)
11 - Fra Bernardino di Perugia, dell’Ordine dei Minori dell’Osservanza, Guardiano di S. Giovanni e commissario papale, l’11 Febbraio 1481 emette un’assoluzione per il delitto di casuale soffocazione d’infanti nel letto ed un’altra per la scomunica a causa di invasione di beni privati, che era stata comminata dal Vescovo di Amelia.
Dopo circa cinquant’anni, poiché il chierico amerino Antonio di Ser Francesco-Giacomo de’ Vatellis era stato ferito da Marchesino di Giacomo Farrattino, l’11 Febbraio 1530, con atto del notaio Francesco Fariselli, si firma, fra i due, atto di concordia, “pacis osculo”, con lo scambio del bacio della pace. (2014)
12 - Dopo i tre bandimenti di rito, fatti eseguire dal Podestà al pubblico araldo Biccola, nei luoghi consueti "palam et alta voce sono tube premisso" cioè a voce alta e preceduti da squilli di tromba, viene fatto conoscere che chiunque "volens comparere nomine communis Amelie", voglia comparire a nome del Comune di Amelia per partecipare, a Roma, nella ricorrenza di "Carnis privio", cioè l'ultimo giorno di Carnevale "ludum testacij" al gioco di Testaccio, è invitato a comparire dinanzi al Cancelliere del Comune "ad offerendum" per fare la sua offerta nella gara che si svolge "pro minori pretio", cioè al ribasso.
Fra gli altri, il giorno 12 Febbraio 1392 "comparuit frater Ambroxinus ordinis S. Agostini et optulit se velle Romam accedere" si presentò fra' Ambrosino agostiniano e si offrì di andare a Roma e "dictum ludum facere" per 6 fiorini e 40 soldi, restando aggiudicatario della gara, per aver tal Petrella offerto 7 fiorini e Giacomo Guadagni, detto Bovidonio, 6 fiorini e mezzo. (2005)
12 - Il 12 Febbraio 1735 viene presentata agli Anziani la seguente supplica:
“Li poveri, e miserabili Contadini d’Amelia, descritti nell’annesso foglio colle annotationi de loro gravami, umilissimi Oratori delle Sig.rie Loro Ill.me, con tutto l’ossequio glie rappresentano havere in occasione del presente passaggio delle truppe Spagnole contribuito à tutto ciò che per parte del Sig.re Governatore, et alcuni Sig.ri Deputati di questa Città gli è stato richiesto, non avendo l’Oratori havuto riguardo né a loro medemi, né alla loro povera fameglia, che nella corrente rigidissima staggione gli è convenuto, e gli conviene tuttavia languire di freddo, per essersi privati di ciò che ne avevano estrema necessità, a fine di rendersi obedienti, e non contradire alli ordini de medemi Sig.ri Governatore e Deputati. Ciò premesso in occasione d’altra contributione d’Animali, che dovevano mandarsi in Narni, per la quale anche obedienti si dichiaravano l’Oratori, conforme co’ fatti l’hanno denotato (dimostrato), ma perché a chi non era noto l’editto, a chi poco doppo l’intimatione è comparso, et a chi il giumento o Cavallo non serviva per il fine richiesto sì per la vecchiaia, sì per la debolezza, hanno li poveri Oratori esperimentato il sommo del rigore, e con pegni, e con carceri, anche secrete, e per ultimo con pagamenti alla povera loro conditione molto esorbitanti, e quel che è peggio, esatti contro la dispositione di tutte le leggi, senza le debite necessarie difese, che anche a’ più famosi banditi e crassatori si accordano. Pertanto, se li poveri Oratori prima per mostrarsi obedienti volontariamente si spogliorno, ora per non potersi mostrare obedienti per le cause sopra accennate e di ignoranza, e di tarda comparsa, e di inabilità del giumento, hanno severamente sopportato quei rigori che mai si sarebbero sogniati, vedendosi privati delle loro tenue sostanze, che sono il secodo sangue del huomo. Non havendo pertanto a chi in tante angustie ricorrere li poveri oratori, alle SS.rie V.re Ill.me come degnissimi et onorevoli membri e publici rappresentanti della Città ricorrono, e con le lagrime agl’occhi, le pregano a risguardare con occhio pietoso li sudori, che spargono e le miserie che l’opprimono, et ad assumere, che giustamente li compete, il titolo di difensori de poveri, con ricorrere e rappresentare al Santissimo e Pietosissimo Sommo Pontefice, le miserie e vessationi sofferte e supplicarlo di rimedio e reintegratione à danni patiti, il che sperano dal benignissimo cuore di N.ro Sig.re e della somma vigilanza e carità delle S.rie V.re Ill.me”.
Alla supplica, risulta allegato un elenco con ben ventisei nomi di persone, con a fianco di ciascuna annotati la multa pagata ed il carcere subito.
Il passaggio di truppe a cui fa riferimento la suddetta supplica era certamente da attribuirsi alla guerra di successione polacca, durante la quale, come riferisce Claudio Rendina nel suo libro “I Papi”, “le terre pontificie furono corse e devastate dagli eserciti belligeranti”. (2008)
12 - E’ necessario procedere ad approvare alcune spese straordinarie e, prima di provvedere al loro pagamento, necessita il “placet” da parte del consiglio cittadino. Il 12 Febbraio 1435, se ne fa un elenco, nel quale figurano anche le seguenti:
“pro munere misso ex parte communis eiusdem ad dominum Michaelem de Actendolis Capitaneum etc. dum in diebus proximis preteritis castramentabatur contra Lugnanum” per un donativo inviato da parte dello stesso Comune al Capitano Michele de Attendolis, mentre, nei giorni passati, poneva il campo contro Lugnano (ma il relativo importo non risulta evidenziato).
“Domine Centie Ser Benedicti pro decem et dimidio petictis vinj moscatellj ad rationem octo soldorum pro peticto libras quatuor soldos quatuor” A donna Cenzia di Ser Benedetto per dieci petitti e mezzo di vino moscato, in ragione di otto soldi a petitto, 4 libre e 4 soldi. (Si ricorda che il petitto equivaleva a circa litri 2,2 e sicuramente il “moscatello” acquistato non sarebbe servito ad addolcire la bocca degli Amerini, che ne dovevano soltanto pagare l’acquisto!).
“Conventui fratruum ordinis S.ci Francisci pro una scala perdita in campo contra Lugnanum, libras tres denariorum” Al Convento dei frati francescani, in risarcimento di una scala perduta nell’assedio contro Lugnano, tre libre di denari.
E via di seguito, per un totale di 120 libre, 7 soldi e 5 denari. (2009)
12 - Ludovico il Bavaro, in aperto contrasto con il papa Giovanni XXII, era sceso in Italia per prendere possesso dei territori imperiali ed essere incoronato imperatore. Era giunto a Roma il 7 Gennaio 1328 e grande era la confusione che regnava. Occorrendo rinforzare le difese cittadine, in Amelia erano stati nominati 43 uomini fra le cinque contrade “super statu et conservatione status pacifici” per la conservazione dello stato pacifico della Città. Il 12 Febbraio dello stesso anno 1328 si deliberò “quod per dominos Antianos eligantur et ponantur custodes ad soldum ad portas Busolinam Gilionj Vallis et Pusterule” che gli Anziani nominassero i custodi delle quattro porte cittadine, cioè Busolina, Leone, Valle e Posterola, al soldo della Comunità, ai quali si impose di “non permictere intrare aliquem forensem sine licentia speciali” vietare l’ingresso in Città a tutti i forestieri non forniti di speciale permesso. (2010)
12 - Il nobile Antonio dei Chiaravallesi aveva disposto dei suoi beni “pro Deo et anima sua”, cioè a favore della Chiesa ed a suffragio della sua anima. Ma gli esecutori testamentari omisero di rispettare la sua volontà. Quando, finalmente, il Vescovo Filippo Venturelli venne in possesso di una parte dell’eredità di Antonio, con atto notarile del 12 Febbraio 1440 vendette un “casaleno” in Lacuscello ad alcuni membri della stessa Casata dei Chiaravalle. L’atto venne stipulato “in sala inferiori Episcopatus Ameliensis, iuxta Ecclesiam Cathedralem” nella sala inferiore dell’Episcopato, che, al pari di oggi, si trovava nei pressi della Chiesa Cattedrale.
Il Monastero di S. Caterina, dell’Ordine di S. Benedetto, era stato fondato e dotato dalla venerabile memoria di donna Riccadonna, come da suo testamento rogato dal Notaio ser Bartolomeo di Buccio il 18 Giugno del 1345 e, “a primeva ipsius creatione” dalla sua fondazione, era soggetto all’obbedienza ed alla correzione dei Canonici e del Capitolo della Chiesa Amerina. Il 12 Febbraio 1522, “dum minus consulte eius aguntur negocia” poiché la sua gestione è condotta con minor diligenza, i Canonici ed il Capitolo Amerino, radunatisi presso il Monastero, convocatevi le monache -otto con la Badessa- “in virtute sancte obedientie” in virtù della santa obbedienza, “iuxta eiusdem domine testatricis fundatricis et dotatricis voluntatem et dispositionem” secondo la volontà della stessa fondatrice, “perpetuis temporibus ponant et admittant in eodem Monasterio moniales sicut ipsis Canonicis et Capitulo visum fuerit et cum ipsorum Canonicorum et Capituli interventu, consilio et assensu ac expressa licentia dotes sive elemosinas pro admissione eiusdem recipiant” per sempre, in avvenire, facciano entrare le monacande secondo quanto stabilito dai Canonici e dal Capitolo e con il loro consenso e ricevano le doti o elemosine con l’espressa licenza degli stessi Canonici e Capitolo “et non aliter vel alio modo” e non altrimenti. Un vero e proprio richiamo all’ordine! (2014)
12 - Il 12 Febbraio 1530 il Vescovo Giovan Domenico Moriconi, essendo a conoscenza dei reati di cui prete Nicolò Celle di Amelia si era reso colpevole, per i quali era stato arrestato e detenuto “in compedibus” ai ceppi, volendolo liberare dal carcere, lo priva giuridicamente del Beneficio di S. Maria dell’Olmo, di cui era titolare, lo sospende per un anno dalla celebrazione della messa e, per lo stesso tempo, lo condanna all’esilio, conferendo, quindi, la parrocchia a prete Tolomeo de’ Vulpi di Lugnano. (2015)
13 - L’inventario dei “beni” lasciati da Antonio Licuzii, redatto dal notaio Paolo Paolelli il 13 Febbraio 1429, merita menzione per la “sobrietà” delle masserizie appartenute al “povero” Antonio:
“Sex vegetes (botti) de ligno capacitatis 20 sal.(salme); 1 tinella capacis 2 sal. et unum par (paio) bigonsorum et 1 barilectum de ligno; 1 par torcularium (torchi) sive vaschiarum de ligno estim. 1 flor. auri; 3 soppedanea de ligno usitata (usate) et 1 archa acta ad faciendum panem, usitata; 2 cultrices (coperte) de lecto usitate; 1 materatium; 3 capiczalia (cuscini) de lecto usitata, 5 linteamina (lenzuoli), 3 cultres et 1 copertorium pannilane, 4 petia panni canapis et 2 petie grandi; 6 salme grani, 2 bidentes, 1 zappa, 1 zappone et 1 zappatella de ferro, 1 gomeria (vomere) et 1 spat(ola) de ferro; 1 ronchone et 1 ronchola de ferro, 1 vanga et 1 pala de ferro, 1 caldarea raminis (di rame) capacitatis 2 broccharum, 1 caldarocchium capacitatis 1 brocche, 1 tiella et 1 caldarellum raminis, 1 catena de ferro et 1 mortarium prete (cioè di pietra)”. (2000)
13 - Dal periodico AMERIA del 13 Febbraio 1898 si riporta la seguente notizia intitolata : “Ferrovia Todi-Amelia-Orte”:
“Sono stati sopra luogo gl’Ingegneri Cav. Laurenzi e Vignaroli per prendere difinitivi (sic) accordi col Municipio e col loro collega Sig. Ciatti; hanno percorso tutta la linea e già sono cominciati i lavori di campagna per il progetto di massima che sarà presentato quanto prima possibile”.
A giudicare dalla mancata realizzazione del tratto ferroviario, se ne deduce che gli accordi erano tutt’altro che “difinitivi”! (2009)
13 - Il 13 Febbraio 1479 vengono presentate nel consiglio dei X alcune suppliche.
Una -piuttosto farraginosa- è quella prodotta da Giacomo di Cecco di Angelello, da Angelo suo figlio e da Fratone di Vitale, tutti di Amelia, “dicenti ed exponenti che conciosia cosa che ipsi supplicanti sonno stati condennati jn contumatia jn libre trecento de denari intucto tre e jn libre cento per ciascuno al tempo de Miser polydoro da Sancta Victoria podestà o vero vice podestà dela decta cipta et per luj et per la sua corte, secondo appare nelli acti et processi contra loro formati, alli qualj se referiscono et questo per caxione de certa accusa de turbata possessione contra loro facta per Johanfrancesco de freduccio o vero altro procuratore jn nome de donna Berardina figliola de Angelo de matheo alias el fietta, nepote del dicto Johanfrancesco, perche havendo el dicto Jacomo gran tempo litigato como marito et con francha persona et procuratore de donna polisena sua moglie et sorella de dicto fietta con lo dicto Johanfrancesco per caxione de le so dote et altra quantità de denari, quale prefata donna polisena deve havere dal dicto fietta, secondo appare in li acti tra loro agitati”. Poiché Giacomo venne condannato in contumacia a pagare 18 ducati a Gianfrancesco per spese giudiziali, si appellò presso l’uditore di Roma della Camera e, in pendenza del ricorso, Gianfrancesco si mise nel possesso di un terreno, in contrada Urbestole, di proprietà dei supplicanti, i quali si recarono a lavorare detta terra come loro pertinente. “Et per questa caxione jndebitamente et jniustamente forono accusati de turbata possexione et jniquamente et in loro contumatia condennati nella predicta quantità pendente la dicta causa jn corte”. Per tali ed altre numerose ragioni e considerando che l’esecuzione fu fatta anche nei confronti di Angelo e di Fratone, estranei alla causa, “recorrono alle V. M. S. pregando jterum (nuovamente) quelle se degneno nelli loro opportunj conseglj ordinare et farli gratia lise cassino le predicte condennationi, remectendose nelle braccia della predicta comunità magnifica dela ciptà de amelia, la quale sempre fo pietosa ad quelli hanno hauto recorso aipsa, offerendo a quella la loro povertà, non però preiudicando alle loro raxioni quale hanno nella dicta terra”. Ai ricorrenti venne ridotta la pena al quarto.
Altra supplica viene presentata da Andrea di Palacca, di Amelia, “el quale dice et expone como ipso supplicante commise uno mallefitio jn la persona de lifigli de Jacomo di macchia habitante jn amelia. Et lo dicto mallefitio per lo potestà proximo passato li fo agravato assai più che non commise, perche li fo formato loprocesso de tre percussione et non fo più che una. Et per rispecto (a causa) de la peste che allora era jn la cipta de amelia non possette venire arespondere dove (per cui) jn contumatia fo condennato jn ducati novantasei o circa, secondo appare jn li libri deli mallefitij alli quali se referisce”. Chiede, quindi, la revisione del processo, dichiarandosi disposto a pagare per quanto da lui commesso e ad accettare quel che verrà deciso in merito. Si delibera che paghi “solummodo de percussione capitis ducatos duodecim cum dimidio et admictantur ei beneficia et de reliquis intentatis contra eum fiat sibi gratia liberalis, facta pace et satisfacta parte adversa” soltanto per una percussione al capo 12 ducati e mezzo, gli si concedano i benefici di legge e, del residuo, gli si faccia grazia, dopo aver avuto buona pace con la parte offesa e con adeguato risarcimento.
Infine, si ascolta la supplica presentata da Mario “de Pejo”, Musorgno, Cristino e Turcarello, balivi e guardiani delle torri cittadine, i quali espongono che, pur avendo diritto alla rispettiva retribuzione, “nientedemeno per la jnpotentia (leggi: mancanza di denari) dela comunità, come è noto ad omne uno, radissime volte possono havere jn contanti al tempo debito lo loro salario et però spesse fiate bisogna inpegnare et vendere le loro bollecte (cioè i loro titoli di credito), non senza desvantagio et perdita loro. Et essendo alpresente molestati per la decima, se cognoscono (riconoscono) al tucto inpotenti et bisognarialj (sarebbe loro necessario) inpegnarse li vestiti per pagarla. Pertanto essendose dignate V. S. de dicta decima farne gratia ali altri famigli de casa, se degnino ancho V. S. fare dicta gratia ad essi, eo maxime (tanto più) che ipsi supplicanti como sanno le V. S. sonno più gravati de famiglia che li famigli predicti”. Si fa loro grazia del pagamento di ogni decima, come già si fece ai famigli degli Anziani.
Stessi giorno e mese, undici anni più tardi, il 13 Febbraio 1490 -secondo quanto già deliberato dal maggior consiglio- gli Anziani convennero con Ser Nicolò di Lugnano che quest’ultimo s’impegnase “scribere bona manu sive littera in membranis totum statutum Civitatis Amerie cum reformationibus et alijs ordinibus in eo descriptis et additis ut visi sunt necessarij” a scrivere in buona calligrafia, su cartapecora, l’intero statuto cittadino, con tutte le aggiunte resesi necessarie per le modifiche ed altre decisioni deliberate nelle riformanze, “pro pretio novem ducatorum ad bononenos usuales septuagintaduos pro quolibet ducato et eo minori pretio quod finito opere judicaverunt Ser Ugolinus Nicolaj et Angelus Anthonius Geraldinus” per il corrispettivo di nove ducati, in ragione di 72 bolognini correnti per ducato o per quel minor prezzo che verrà valutato, a lavoro ultimato, da Ser Ugolino Nicolai e da Angelantonio Geraldini, “quorum sententie se dicti Domini Antiani Communis nomine et dictus Ser Nicolaus libere et sponte remiserunt” al giudizio dei quali tanto gli Anziani -a nome del Comune- quanto detto Ser Nicolò liberamente e spontaneamente si rimisero. Quest’ultimo si impegnò, inoltre a terminare la detta copiatura entro la prossima quaresima ed a non interrompere il lavoro “donec opus expleretur” finché non sarà terminato. Gli Anziani, a loro volta, si impegnarono a procurare, a spese del Comune, “chartas pecudinas et rasas ipsi Ser Nicolao dare ad scribendum” la pergamena necessaria ed a consegnarla a Ser Nicolò già rasata e pronta per la scrittura e a dargli ospitalità, per l’esecuzione del lavoro, nel palazzo anzianale o in altro luogo idoneo, per compiere il lavoro, a spese del Comune, “sed non victum nec pecunia maius quam supra expositum est” ma escluso sia il vitto, che la possibilità di aumentare il corrispettivo come sopra convenuto.
Questa nuova versione dello statuto non ci è pervenuta.
Cinque anni dopo, il 13 Febbraio 1495, davati al consiglio si presenta Ser Addam de ... Cancelliere del Capitano Troilo de’ Savelli e, parlando a suo nome, “exposuit quod est paratus cum suis militibus venire ad defensionem et commoda Communis Magnifice Urbis Amerine” espone che quest’ultimo è pronto a venire, con le sue truppe, in aiuto e difesa della Città di Amelia. Il consigliere Ludovico di Carlo Boccarini propone “quod referatur condigne gratie prefato Ill.mo D. domino Troylo Sabello de suis gratissimis oblationibus erga hanc Amerinam Urbem factis” che si rendano i dovuti degni ringraziamenti al Savelli per le sue profferte di aiuto verso la città e sia supplicato “ut dignetur quam citius erit possibile cum suis militibus stipendiarijs et armigeris Ameliam venire, nam omnis spes huius Amerine urbis in sua Jll. D. sita est” di degnarsi di venire in Amelia con i suoi militi ed armigeri con la maggior celerità possibile, poiché la speranza di questa città è riposta nella sua persona.”Et in eius adventu perbenigne et honorifice recipiatur, deputenturque duo Cives qui curam habeant de honore eidem fiendo et omnes impense solvantur sumptibus Communis” e, in occasione della sua venuta, venga ricevuto con grande benevolenza e sommo onore e si deputino due cittadini perché preparino con somma cura le onoranze da rendere all’illustre ospite e tutte le relative spese vengano assolte dal Comune (leggi: Pantalone). In effetti, i cittadini che si eleggono per tale incarico non sono due, ma quattro, cioè Lodovico di Sabino Archileggi, Paolo di Isacco Vatelli, Pierfrancesco di Alberto de’ Racaneschi (Racani) e Silvestro di Evangelista Venturelli; tanto, una volta sulle spese ...
Ma gli Amerini, in questi venti di guerra che spirano turbinosi intorno a loro, necessitano di una buona iniezione di coraggio. Il successivo giorno 16 si delibera che, “ut Amerini animosiores et fortiores fiant contra inimicos” affinché gli stessi diventino più animosi e si mostrino più bellicosi verso i nemici, sia loro consentito “offendere inimicos de Alviano Atigliano et Vardechia et omnes stipendiarij et forenses in dictis castris existentes in bonis rebus et personis et eos capere et captos detinere usque solverint tagliam illis imponendam” aggredire i nemici di Alviano, Attigliano e Guardea e quanti si trovassero nei detti Castelli, sia nei beni che nelle loro persone e catturarli e tenerli prigionieri, finché non venisse da loro pagato il riscatto da imporre su di essi. Ma non solo: se venissero catturati nemici che non potessero essere riscattati (per non essere in grado di pagare la cifra imposta su di loro) “tunc eo casu dicti captivi consignentur Comuni Civitatis Amelie et Communitas teneatur solvere capientibus duos ducatos pro quolibet captivo” i “buoni” Amerini avranno facoltà di consegnarli al Comune e, a spese della Comunità, verranno loro corrisposti due ducati per ogni prigioniero fatto, nonché due carlini per ogni bestia grossa sottratta al nemico. A ben considerare, il denaro sarebbe uscito dalle stesse tasche di coloro che lo avrebbero incassato! (2010)
13 - Sotto la data del 13 Febbraio 1528 alcune decisioni consiliari possono darci la misura del timore, da parte dei nostri predecessori, a dare ricetto a stranieri, in un periodo tanto burrascoso come quello successivo all’invasione da parte dell’esercito di Carlo V: “eicere advenas ... sanum et congruum est. Videatur quid agendum” è cosa utile alla salute pubblica ed opportuna espellere gli stranieri. Si veda cosa fare. Si propone di dare attuazione ad un drastico provvedimento, che può lasciarci perplessi, circa la sua intransigenza: “habeatur notula in quibus domibus advene habitant” si rediga un elenco da cui risulti in quali case siano alloggiati degli stranieri “et quod postmodum fiat mandatum patronis domorum quod infra terminum duorum dierum debeant expellere ex eorum domo dictos advenas et claudere domos” e, quindi, s’imponga ai proprietari di dette case che, nel termine di due giorni, ne caccino via detti stranieri e le chiudano, “sub pena decem ducatorum de auro et si contrafecerint ponantur in libro speculorum per dominos Antianos” alla pena di dieci ducati d’oro in caso di trasgressione, con eventuale iscrizione nel libro dei debitori pubblici a cura degli Anziani “et si domini Antiani contrafecerint ipsi domini Antiani ponantur in dicto libto pro dicta summa pro eotum quolibet” e se gli stessi Anziani non dovessero provvedere a quanto sopra, siano a loro volta inseriti in detto libro, ciascuno per la citata somma. Ma non basta: “quod omnes advene qui exierint portas, portinarius non permictat eos ulterius reintrare et jn hoc detur arbitrium amplum et amplissimum superstitibus sanitatis” a tutti gli stranieri usciti dalle porte cittadine, i relativi custodi vietino di rientrarvi ed, in ciò, si dia il più ampio mandato ai soprastanti alla sanità pubblica; “jtem quod si dicti advene starent in domo pupillorum, tutores et curatores teneantur ad dictam penam et ipsi ponantur in libris speculorum”; inoltre, se gli stranieri occupassero case di proprietà di minori, ne rispondano personalmente i loro tutori e curatori; “jtem quod hoc modo etiam jntelligatur de advenis habitantibus extra civitatem” e tutto ciò s’intenda anche esteso agli stranieri abitanti fuori delle mura cittadine. Ma ciò che ci lascia maggiormente stupiti sulla drastica intolleranza di tali provvedimenti -che non si esiterebbe a definire feroci- è la parte finale: “fiat bannum publicum quod omnes qui exierint et erunt expulusi non possint nec debeant ulterius jntroire intus civitatem sub pena trium tractorum funis et pueri et femine fustigentur” si bandisca pubblicamente che tutti coloro che venissero espulsi dalla Città non possano né debbano in alcun modo rientrarvi, sotto pena di tre tratti di fune per gli uomini adulti e della fustigazione per le donne ed i fanciulli.
A quali atrocità la paura poteva far giungere l’animo umano?! (2011)
13 - Dall’inventario redatto il 13 Febbraio 1429 dei “beni” relitti da tal Antonio di Licuzio si trae quanto segue:
“... unum par bigonsorum et una barilecta de ligno ... una archa acta ad faciendum panem usitata; duo cultrices de lecto usitate, unum mataratium; tres capiczalia de lecto usitata; quinque linteamina; tres cultres et unum copertorium panni lane; quatuor petia panni canapis ... duo bidentes, una zappa unum zappone et una zappatella de ferro; una gomeria et una spata de ferro; unum runchone et una ronchola de ferro; una vanga et una pala de ferro: una caldaria raminis, capacitatis duarum broccharum: unum caldarochium, capacitatis unius brocche; una tiella et unum caldarellum raminis; una catena de ferro et unum mortarium prete (sic)” un paio di bigonci ed una bariletta di legno ... una madia usata per fare il pane; due coltri da letto usate, un materasso; tre cuscini da letto usati; cinque lenzuoli; tre coltri e una coperta di lana; quattro pezzi di panno di canapa ... due bidenti, una zappa, uno zappone e una zappetta di ferro; un vomere e una spada di ferro; un roncone ed una roncola di ferro; una vanga e una pala di ferro, una caldaia di rame della capacità di due brocche; un caldarozzo della capacità di una brocca; una teglia ed un caldarello di rame; una catena di ferro ed un mortaio di pietra.
C’è da temere che i fortunati eredi di Antonio abbiano dovuto vendere quanto ereditato al robivecchi, per pagare il notaio che l’ha inventariato! (2014)
13 - Il 13 Febbraio 1520 la Società della Frusta, sotto il titolo di S. Fermina, possiede in contrada Collis una casuccia che minaccia di rovianare e non può venire più utilizzata per le consuete riunioni. Mariotto Perotti de’ Cansacchis procura che, dal Capitolo, venga assegnata alla Società un’area “iuxta cemeterium ex iuxta Ecclesiam S. Firmine et viam” fra la zona cimiteriale, la Chiesa di S. Fermina e la via pubblica, per costruirvi una sede più idonea, Ma chi pensa alle spese di costruzione?
La Società della Frusta manca di ulteriori notizie, ma sembrerebbe richiamare un’associazione di flagellanti. (2015)
14 - Nel consiglio decemvirale del 14 Febbraio 1467 vengono esaminate alcune suppliche.
La prima è presentata “per parte dela vostra fedelissima servitrice Johanna figlia de Manduzzo de Gammacorta da Porchiano et mo moglie de Jovannolo de Fanticino del dicto locho, dicente et exponente como al tempo de Munaldo de Munaldeschi da Orvieto fosse condampnata in cinquanta ducati per cascione de uno malefitio (che) commise in persona de Saracino del dicto Castello de Porchiano al quale malefitio la dicta Johanna ce fo incitata per questa forma che la dicta Johanna disse al prefato Saracino: tu farai meglio pagarme la robba mia: allora el dicto Saracino corse adosso ala dicta Johanna, et disse: io non ho niente del tuo, Et dapoi la percosse con uno bastone, per modo che ala dicta Johanna fo necessario la defensione: Et allora saltò in uno horto et pigliò uno bastone et percosse lu dicto Saracino in testa, siche la dicta Johanna atenta la sua povertà supplica le V. S. se vogliano dignare de solita clementia et per intuyto de pietà dala dicta condempnatione absolverla et liberarla: Et de quella pocha povertà che ha liberamente se mecte nele mani dele S. V. et del consiglio le quali l’altissimo dio coserve in felice stato”.
Il consiglio decide di formare una commissione per un supplemento d’indagine e di delegare ad essa la decisione da prendere nei confronti della combattiva Giovanna.
Si passa, quindi all’esame di un’altra supplica, presentata “per parte del vostro fideliximo servitore Vico de Vagnelista alias Arrapato (!), dicente et exponente como luj è poverissima persona et ha grande famiglia (con quel nomignolo!), et non ha onde poterla governare et è de continuo affannato nele gravezze (che) se pagano et inponse (s’impongono)”. A lui vengono abbonate tutte le imposte scadute, purché dia garanzia di pagarle per il futuro. (2008)
14 - L’Abate ed i Canonici di S. Secondo hanno fatto costruire in Borgo, presso la Chiesa di S. Francesco, una cappella, annessa alla Chiesa di S. Secondo, dedicata a S. Sebastiano e, quindi, si sono caricati di debiti. Poiché i creditori li molestano, il 14 Febbraio 1463, con atto del notaio Ricco di Francesco e previa licenza rilasciata loro dal Vescovo, vendono un appezzamento di terra dell’Abbazia di Attigliano per il prezzo di dieci ducati, che vengono sborsati da prete Paolo di Giuliano (Sandri), procuratore dell’acquirente, di Attigliano.
Circa sesssant’anni più tardi, il 14 Febbraio 1521 vi è da dirimere una vertenza fra il Guardiano del Convento dell’Annunziata ed il Priore di S. Agostino, circa il possesso di venti ducati depositati nelle mani dell’Abbadessa di S. Stefano. Si rimette la soluzione agli arbitri Luca Petrignani e Ser Francesco Focio, i quali sentenziano che quindici ducati spettano all’Annunziata e cinque a S. Agostino. E la pace è fatta. (2014)
15 - Con atto rogato dal Notaio Ugolino di Nicolò il 15 Febbraio 1485, Piermatteo Manfredi, illustre pittore di Amelia, in rappresentanza del fratello Bernardino, promette di pagare a Giacomo Ionovini, in rappresentanza del figlio Michele, 200 ducati d’oro a titolo di dote della nipote Virginia, figlia del defunto fratello Giuliano, da pagarsi in occasione del matrimonio da contrarsi fra essa Virginia e Michele. Senonché, con successivo atto del 7 Febbraio 1487, analogo contratto dotale viene stipulato in previsione delle nozze che la stessa Virginia andrà a contrarre con Eliseo di ser Alessandro di Angelo ser Tellis di Amelia. E’ evidente che il matrimonio con Michele era andato a monte! (1998)
15 - Gli Anziani rivolgono appello al Cardinale Ottone Colonna, Vicario Generale pro S. R. E. , affinché vengano condonate le pene comminate a Cristoforo e Pietro Ceccardi e Telle Pallerij di S. Fucetulo, imputati di omicidio; a Chetto di Macchie condannato a pagare 100 libre; a Cristoforo Bacci e Antonio di Angelo di Todi, per 7 libre; oltre a numerosi altri, condannati a pene diverse.
Tramite il notaio Ugolino Jacobutij, in data 15 Febbraio 1413, il Cardinale scrive al suo famigliare Antonio ser Mainaldi Tesei, Cancelliere di Camera, perché voglia concedere quanto perorato dagli Anziani di Amelia. (2000)
15 - Per mano del suo Segretario Agapito Geraldini, Cesare Borgia scrive agli Amerini da Viterbo il 15 Febbraio 1503, complimentandosi del loro contributo dato per il recupero alla soggezione al papa del castello di Lugnano, che, dagli Orsini, era stato dato ai d'Alviano:
"Havemo inteso che, per li commissari della santità di N. S. (il papa) et vostri, è stato recuperato el Castello de Lugnano, pertinente alla sua beatitudine, et voi esser concorsi con quello adiuto et assistenza che da essi commissari siti stati ricercati, del che grandemente ve comendamo".
Ma non basta: occorre castigare i colpevoli, "che, passando impuniti, poteriano essi medesimi o altri incitati da la impunità loro far el simile. Et ultra questo, perché avemo ancora similmente inteso ... che è stato preso ed reducto sotto la prefata servitù (degli Orsini) el castello de la Penna, quale sia tenuto et posseduto da li Orsini rebelli de la Sua Beatitudine (il papa)", il Borgia ordina che "lo castello, mura, case et ogni altro edificio de la Penna debia immediate scaricarse, abbatterse, spianarse, et dissiparse, facendo che per quanto sia possibile, nullo recepto o vestigio ce remanga".
Due giorni dopo, nelle riformanze si dà atto dell'avvenuta distruzione della Penna, per ordine del Borgia: "Mandante Illustrissimo ac Invictissimo domino Domino Caesare Borgia de Francia, Romandiole, Valentieque Duce et Principe Hadrie et Venafri et Plumbini" e sotto il comando di "domino Francisco Columna demoliri funditusque averti ceptum est nec ab opere destiterunt donec funditus totum dirutum extiterit" (venne preso e distrutto, né si ristette, finché non fu totalmente demolito).
Per comando dello stesso, "hominesque illius pueri puelle et bona omnia" tutta la popolazione e suoi beni "Ameriam translata et reducta" vennero condotti ad Amelia. La relazione termina: "quod felix faustumque sit"; il tutto sia felicemente fatto e di buon augurio. Ma non certo per i poveri Pennesi!
Unica consolazione: per ordine del Valentino, ai Pennesi tradotti in Amelia si concede che "per qualunque debito o condanna ... non siano in alcun modo molestati per termine di tre anni prossimi da venire". (2004)
15 - Gerolamo Garofino, amministratore del Monte di Pietà, è alla ricerca di un luogo acconcio "pro servandis et custodiendis pignoribus" per la conservazione e la custodia dei pegni a lui affidati. Essendo a conoscenza che, in una piccola sala della residenza anzianale trovasi, vuota, "cassam nucis" una cassa di noce, che può fare al caso suo, "cum valde ea indigeat", avendone detto Monte notevole necessità, nel consiglio decemvirale del 15 Febbraio 1562, il solerte e buon Gerolamo chiede che detta cassa "dono dari" venga donata al Monte "pro servitio eiusdem" per la sua gestione. Nel maggior consiglio riunitosi lo stesso giorno, "discretissimus legum doctor d.nus Bilisarius (sic) Geraldinus", il consigliere e dottore in legge Belisario Geraldini propone che "cassam Communitatis Monti pietatis dono dandam esse" la cassa della comunità debba venir donata al Monte di Pietà ed il consiglio approva "tribus nigris non refragantibus" con soli tre voti contrari. (2007)
15 - Il 15 Febbraio 1732, da parte degli Anziani e del Governatore, si procede alla nomina “novi Magistratus pro futuro bimestre Martij et Aprilis” della nuova Magistratura per i prossimi mesi di Marzo ed Aprile, e dal bussolo, “sorte extracta”, con estrazione a sorte, “inventa fuerunt descripta nomina infra, videlicet” furono ritrovati i nomi infra descritti, cioè: Paolo Cansacchi, Mattia Cerichelli, Girolamo Novelli Tosi ed il Cavalier Raimondo Mandosi.
A proposito di estrazioni, il giorno precedente 14 Febbraio dello stesso anno, a Roma, in Campidoglio, si era proceduto alla prima estrazione del lotto, fino a quel momento considerato peccaminoso, ma successivamente autorizzato da papa Clemente XII (Lorenzo Corsini), per essere considerato da questi “una specie di dazio indiretto e volontario pagato dal cittadino che voleva col suo denaro tentare la sorte”. I numeri estratti? Eccoli:
56 - 11 - 54 - 18 - 6
A chi volesse giocarseli, buona fortuna! (2008)
15 - Gabriele Carminati (o Carminanti) di Faenza, Commissario del Duca Cesare Borgia, arriva in Amelia, recando una lettera per gli Anziani, scritta da quest’ultimo il 15 Febbraio 1503 da Viterbo, di cui si riporta il contenuto, come segue:
“Havemo inteso per li Commissari dela S. de N. S. et nostri è stato recuperato el castello de Lugnano, pertinente ala sua beatitudine (il papa) et voi esser concursi con quello adiuto et assistentia che da essi Commissarij site stati recercati, del che grandemente ve comendamo, offrendove fare dela prompta obidientia et bone opere vostre piena relatione ala S.tà prefata. Et perché non basta haver recuperato decto Castello se quelli se dice essere stati potissima (principale) causa de tradirlo et conducerlo ale mano deli occupatori non siano castigati, considerato che passando jmpuniti, poteriano loro fare el simile, et ultra questo perché havemo similmente inteso che per el nostro Commissario é stato preso et reducto sotto la prefata santità el castello dela Penna, quale era tenuto et posseduto da li Orsini rebellj dela sua Beatitudine et ce pare sia expediente (da porre in atto) che decti rebelli et li loro subditj, seguaci et adherenti habiano in ogni cosa resentirse (pentirsi) deli loro errori, per modo che ceda (serva) et ad essi et ad altrj in exemplo per omni futuro tempo, havemo commesso (ordinato) al nostro fidele et dilecto subdito et Commissario Gabriele Carmenate et commettiamoli per vigore dela presente che, contra quelli presi et detenutj per essere stati como se dice traditorj et causa dela occupatione de Lugnano, debia procedere facendo de epsi quella debita punitione che la graveza (gravità) delloro delicto et la justitia recerca, et questo exeguisca, postposita omne superflua dilatione; Et lo castello, mura, case et ogni altro edificio della Penna debia immediate scaricare, abbattere, spianare et dissipare, facendo che, per quanto sia possibile, nullo recepto o vestigio ce remanga: Jn la qual cosa commettemone et comandamo debiate con ogni obedientia, adsistentia, adiuto et favore recercare assistarli. Né de questo presumate fare el contrario, per quanta chara ve sia la gratia dela prefata santità et nostra”.
Due giorni dopo, nelle riformanze viene annotato quanto segue:
“Mandante Ill.mo atque Invictissimo d.no D.no Caesare Borgia de Francia, Romandiole Valentieque duce Principe hadrie et venafri, plumbini domino ac S. R. E. Confalonerio et Capitaneo generali” su mandato dell’illustrissimo ed invitto Signore Cesare Borgia di Francia, Duca di Valenza e di Romagna, Principe di Adria e Venafro, Signore di Piombino e Gonfaloniere e Capitano Generale di Santa Romana Chiesa, “duce D.no Gabriele Carminante de Faventia, dicti ducis Commissario, a Populo Amerino Castrum Penne, paulo ante emptum a Johanne Corrado Ursino de Polimartio pretio quinquemilium ducatorum, a d.no Francisco Columna demoliri funditusque everti ceptum est” al comando di Gabriele Carminati di Faenza, Commissario del detto Duca, il Castello di Penna, poco prima acquistato dal popolo amerino da Giovanni Corrado Orsini di Polimarzo (Bomarzo) al prezzo di 5.000 ducati, da Francesco Colonna è stato dato inizio alla sua demolizione ed abbattimento dalle fondamenta, “nec ab opere destitere donec funditus totum dirutum extiterit. Hominesque illius pueri puelle et bona omnia jussu dicti d.ni ducis Ameriam translata et reducta, quod felix faustumque sit” né si desisterà da tale opera finché tutto sarà completamente distrutto. Gli uomini , compresi i bambini e tutti i loro beni, per comando del detto Duca, si trasferiscano in Amelia; il che sarà cosiderato un evento felice e di buon auspicio (Ci vuole una buona dose di ironia!).
A distanza di una settimana, Cesare invia una nuova lettera al suo Commissario, con la quale chiede che i pennesi tradotti in Amelia vengano “ben tractati ... salvando totalmente li bestiami et la loro roba” favorendo chi di loro volesse restare ad abitare in Amelia “et oltre questo per qualunque debito o condennatione havessero in la città o comunità de Amelia, non siano in alcun modo molestati per termine di tre anni proximi da venire”.
Comunque, il Duca Valentino era determinato a pretendere la completa demolizione di Penna. Ne è ulteriore prova la lettera che invia agli Anziani il 6 Marzo successivo, del seguente tenore:
“Credendo che con la vostra debita obedientia et con quella studiosa voluntà che far dovevate, fusse già (da) più dì data piena expeditione ad quanto era da farse ala penna; ce meravigliamo chel nostro Commissario non era tornato da noi et che sì longamente soprasedesse apresso de noi, (ritardasse a venire da noi) ma hora, venuto, ce ha facto intendere che la predicta opera non è ancora amezata (giunta alla metà), et che sotto varie scuse et con renitente voluntà se mette da voi in dilatione, per non farla, del che molto restamo admirati (meravigliati) ... unde, cognoscendo essere bisogno usare altri modi, remandamo el prefato Commissario con ordine et commissione debia distribuire lopera che resta ala penna per demolitione totale de tucti li edificij de quella ... da spianare tucto fra tre dì, sotto pena de cinquanta ducati doro da incurrarse de facto per qualunche ... non haverà al termine finito totalmente la sua portione (parte da demolire) et de tre ducati doro per qualunque altra particulare persona che circa lopera predicta contrafarà al commandamento ... del prefato nostro Commissario, la quale pena volemo se applichi per la mità ala Camera Apostolica et per laltra al Commissario predicto ...”.
Ma, da parte degli Amerini, la demolizione totale di Penna non doveva essere affatto gradita, se ancora il seguente 27 Aprile Cesare Borgia si vede costretto a rispedire il suo Commissario, a battere sullo stesso tasto:
“adstrecti semo ad remandarve el nostro fedele et dilecto subdito et commissario Gabriele Carmenanti ad quella città, per la deliberatione facta da noi già (da) tanto tempo del castello dela penna (che) sia abbatuto (sic) in modo che dele habitationi, de mura et dela rocca non ce resti vestigio alcuno; la quale deliberatione nostra non intendemo (riteniamo) che sia ancora exeguita restandoce (in quanto resta) ad minare quello che è più importante, che è parte dela rocca, facillima ad fortificarse con pochissima opera de qualunche volesse malignare (avere cattive intenzioni). Haveriamo (avremmo) cascione (motivo) amplissima de procedere rigidamente contra la inobedientia vostra, cossì longamente retardata, si non che, per la benivolentia che ad quella città portiamo, intendemo aspectare et vedere como in questo residuo ve portarite (Meno male!). Exhortandove et commettendo (ordinando) debiate senza dilatione o intermissione (interruzione) alcuna exequire circa la demolitione di decto castello (secondo) quanto dal prefato nostro commissario ve sarà ordinato ...” (2010)
15 - Nel consiglio decemvirale del 15 Febbraio 1536 viene, fra l’altro, discussa una singolare proposta, in favore dei poveri, presentata dall’Anziano (“Prior”) Antonio Brundi: “quod a sententia lata in favorem pauperum personarum non possit appellare” che non possa prodursi appello contro una sentenza pronunciata a favore delle persone indigenti. Pompilio Geraldini “gravissimus vir”, nel maggior consiglio che segue lo stesso giorno, “consulendo dixit quod nemo audeat appellari a sententia dominorum Antianorum lata in favore pauperum personarum sub pena ducatorum vigintj quinque pro quolibet appellante”, facendo propria la proposta del Brundi, riconferma quanto in essa contenuto, aggiungendo che chiunque appellasse contro una setenza che gli Anziani pronunciassero in favore di persone indigenti, sia sottoposto ad una pena pecuniaria di 25 ducati per ciascun appellante.
E’ un esempio di magnanimità, anche se non perfettamente in linea con i dettami giuridici che grantiscono l’uguaglianza di tutti i cittadini difronte alla legge: ma occorre anche ricordare il precetto del diritto romano che recita: “summum jus, summa iniuria”! (2012)
15 - 15 Febbraio 1329 viene adottato un provvedimento che denota una ferma volontà di conservare rapporti di buon vicinato con i centri limitrofi e di pacificazione cittadina: “quod omnes represalie dudum concesse per commune Amelie, quibuscumque personis et contra quascunque universitates et personas, quacumque de causa, usque in presentem diem, sint subspense per spatium unius anni” che tutte le rappresaglie finora concesse dal Comune di Amelia, a chiunque e contro qualunque comunità o persona, per qualsiasi motivo, fino al giorno di oggi, siano sospese per un anno, “ita quod nemo possit eis uti in persona seu rebus, ad penam xxv librarum” in modo che nessuno se ne possa più servire, né contro persone, né contro i loro beni, alla pena di venticinque libre e “quidquid inde sequeretur, sit irritum et inane” e quanto di utile dovesse derivarne al contravventore, sia considerato illegale e senza effetto “et quicumque arengaverit in xxv libris possit et debeat condempnari et predicta notificentur terris vicinis, ut eis placeat in gratiam et favorem hominum similia ordinare” e chiunque si pronunciasse pubblicamente contro tale decisione, debba venir multato di venticinque libre; inoltre, quanto deliberato venga fatto conoscere nei territori circostanti, affinché anche in essi, a favore di tutti gli uomini, vengano presi analoghi provvedimenti.
Lo stesso giorno, su richiesta degli ambasciatori di Porchiano, gli Anziani nominano e riconfermano Guardiano dello stesso castello, per il prossimo mese di marzo, Angelello di Andrea, con un salario di dieci libre (“Antiani populi omni modo et iure quibus melius potuerunt, ad petitionem et instantiam ambassiatorum de porchiano, confirmaverunt et elegerunt Angelellum Andree in Guardianum Castri porchiani pro futuro mense martij, cum salario x. librarum”). (2014)
16 - Menico Ceccarelli, “in età d’anni 45 in circa” e Marcello Giovannini “in età di anni 33” risultano, dai registri parrocchiali dell’epoca, deceduti “di morte violenta” il 16 Febbraio 1623 e sepolti nella chiesa di S. Agostino.
Quale dramma -che forse accomunò i due decessi- si nasconda dietro tanto laconiche annotazioni, non lo sapremo mai: il parroco Sante Fonti nulla ci dice in proposito. L’unica notizia diligentemente appuntata nel relativo registro degi atti di morte è: “pagato il giudizio” che, se non andiamo errati, starebbe a significare che le spese del funerale furono puntualmente soddisfatte. (2000)
16 - Il popolo Amerino, per vendicare l'incendio di Collicello perpetrato dai Chiaravallesi nel settembre e nel novembre 1461, il 16 Febbraio 1462 "cum comitatinorum falange contra castrum Canalis et perfidos Claravallenses accessit", insieme agli abitanti del contado, si rivolse contro il Castello di Canale ed i perfidi Chiaravallesi, per punire la loro crudeltà e per far loro pagare il fio "commissorum facinorum" dei delitti commessi. Gli amerini abbatterono a colpi di scure le piante e le vigne del territorio di Canale. Venuti alle mani, molti fanti chiaravallesi rimasero feriti e tre uccisi. Degli Amerini, "decem vulnerati fuerint sagittis et muschectis que balistris projciuntur" dieci furono feriti da moschetti e frecce scagliate da balestre, "ex quibus duo fuerunt interempti" due furono uccisi, dei quali uno, "Gratianus de Fractucia habitator Amelia, pallucta quadam plumea ex cereboctana emissa, interiit" Graziano di Frattuccia venne colpito da un proiettile di piombo tirato da una spingarda. Era un giovane di vent'anni "audax et bellicosus". L'altro ucciso, Aquilo Picciati, oriundo amerino, trentaseienne, "sagitta quadam veneno tincta ut aiunt, morte illico correptus est" colpito, come dicono, da una freccia avvelenata, morì all'istante. (2001)
16 - Nel consiglio decemvirale del 16 Febbraio 1465 vengono ascoltate alcune suppliche.
Una è presentata “per parte del vostro fidelissimo servidore Giorgio schiavo de schiavonia elquale dice et expone come dellanno proxime passato del mese di septembre dicto supplicante venne ad certa questione et rissa con Jovanni schiavo et per la decta questione et rissa per lo potestà della Ciptà damelia li è stato formato el processo et condennato per contumacia in sua absentia. Ilperché (Perciò) supplica dicto supplicante alle V. M. S. sedegnino intuitu pietatis et amore dei al decto supplicante remettere (concedere) li beneficij che li danno li statutj ad chi commette simili errorj et come per V. S. è (stato) facto ad Jovanni schiavo suo compagno collo quale fece questione, quale tucte cose demanda de gratia speciale et singulare et per amore dedio et maxime che (soprattutto perché) intende de continuo habitare in questa vostra Ciptà”.
Un’altra viene presentata “per parte del vostro fidelissimo servidore Johanni piccinino de bergamo texetore de pannj de lana et habitatore della vostra Ciptà damelia el quale supplicante dice et expone come luj ha pigliata donna in questa vostra Ciptà et de continuo intende de vivare et morire in ladicta Ciptà per la qualcosa domanda per lamore de dio et intuitu pietatis de farsellj gratia immunità et exemptione per xxv annj proximj da venire de capo fuoco sale et altre graveze che se impongono per lo vostro comuno et secondo se usa de fare allaltrj forestierj che vengono ad habitare in questa vostra Ciptà et più et meno secondo parerà alle V. M. S. quale lo altissimo dio conservi et exalti secondo pare ad quelle, altramente ad luj li seria necessario ire ad habitare ad nargne o in altra Ciptà”.
Nel maggior consiglio del giorno dopo, si decide di concedere a Giorgio schiavone la riduzione della pena ad un quarto, come venne usato nei confronti del suo compagno di rissa ed, a Giovanni Piccinino, l’esenzione da ogni imposta per dieci anni, come è d’uso fare verso ogni forestiero che viene ad abitare in Città. (2009)
16 - Nel consiglio decemvirale del 16 Febbraio 1467 si legge la supplica presentata “per parte del vostro fedelissimo servitore Perjohanni de Jacomo del Prete del Castello de l’Aquila del Conta(do) de Tode, dicente et exponente che conciosia cosa che nel tempo de lu Spectabile Homo Leonardo de Brunellis da Perusia, già preterito potestà dela dicta Cità dameria (nel 1466) fosse condampnato in libre secento de denari et nelo doppio più perché non ha pagato nel termene delu statuto prefixo, jnpercio che andò ad una selva laquale se fa chiamare Farneta apresso soi confini, posta nel tenimento dela dicta Cita damelia nella contrata de Canali, et dela dicta selva togliesse dui trabi, de longeza de vintisei pedi per ciaschuno de valore et de communa extimatione de tre ducati per ciaschuno et dove li volse li portò, li quali trabi aperteniva, et expectano alu Spectabile Homo Ascanio de Antonello damelia, che ipso Ascanio lavea facti tagliare et conciare; et perché ipso suplicante è daccordo col sopradicto Ascanio nela emenda deli dicti Trabi, et sia poverissima persona, se recomanda humelmente ale prefate V. S. se digne farli gratia dela dicta condampnatione, considerato non commise lu dicto mallefitio per dampnificare al dicto Ascanio ma per non cognoscere più. Et niente de mino in recognitione del suo errore offerisce volere pagare ale V. S. ducati duj doro. Et delo resto domanda lisse faccia gratia per le V. S. lequale dio mantenga in felice stato. Amen”.
Nel maggior consiglio riunitosi lo stesso giorno, al povero Piergiovanni si concede quanto da lui richiesto sotto forma di tanto fervente preghiera. (2010)
16 - Il 16 Febbraio 1457 le religiose ed oneste donne Gentilesca di Giovanni, Ameria di Bartolo, Gentilesca di Giacomo, Risabetta (sic) Manescalchi, avendo compiuto l’atto di probazione, chiedono al Visitatore del Terzo Ordine Francescano Pasquale Menecucci di venir ammesse alla professione, il che avviene “premissa debita examinatione”, dopo il prescritto esame. (2014)
16 - Il 16 Febbraio 1543 si ha notizia che un certo fra Giuseppe Berardini Giraldi di Mondolfo, ma abitante a Fornole, firma un atto di pace con Cecco Silvestri, che lo ha bastonato sulla testa. E fra Giuseppe c’è venuto dalle Marche, per farsi prendere a bastonate da un fornolese? (2014)
17 - I Conservatori Alme Urbis scrivono, in data 17 Febbraio 1447, agli Anziani di Amelia:
“Viri nobiles dilecti nostri carissimi. Se comparse nanti de noi Brascio de Mone (Braccio da Montone, capitano di S.R.E.) et li soi compagni nostri cittadini et per parte de la vostra comunità havemo offerta debita hobedientia et prontitudine per quanto loro specta per nome della comunità prefata de prestare al popolo de Roma nelli dì cioè sabato et domenica de presente carnelevare (carnevale) quello che per li tempi passati è stato usato et perché ce occursero alcuni iusti impedimenti (forse le condizioni di salute di papa Eugenio IV) per le quale non se fao la festa usata (i giochi del Testaccio) per questo anno abbiamo licentiati et perché considerata la loro diligentia usata per vostra parte meritano degnamente da noi”. Diversamente si esprimono nei confronti di Porchiano: “intendemo faccia suo dovere, altramente ce provederimo co la forza de le nostre leggi municipali; farete bene de admonirli facciano lo debito loro”. (2000)
17 - Il 17 Febbraio 1478, tal Mezzanotte Lombardo, abitante in Amelia, presenta una supplica agli Anziani, nella quale espone che, nei mesi passati, fu condannato dalla curia del podestà a pagare una certa quantità di denaro, "occasione quod quendam Augustinum Lombardum vulneravit in capite cum sanguine" a causa di una ferita sanguinolenta da lui inferta sulla testa di un certo Agostino, anch'esso lombardo, come risultante dal processo in atti. Dice di essere "pauper et inops et nihil penitus in dicta civitate possidet" povero ed indigente e di non possedere nulla "sed tantum de sudore vultus vivere cogit" ma di essere costretto a vivere soltanto del sudore della fronte e di essere impossibilitato a pagare detta pena. Chiede, quindi, che "intuitu pietatis et misericordie ne de dicta civitate in qua matrimonium contraxerit exulari cogatur" a titolo di pietà e misericordia, per non essere costretto a lasciare la Città, nella quale ha contratto matrimonio, gli Anziani "ad aliqualem penam ipsi oratori tollerabilem limitent taxent et reducant" gli convertano e riducano la pena in qualche modo, affinché possa venir tollerata da esso supplicante.
Gli viene concesso di commutare la pena pecuniaria con prestazioni in natura "in reparatione volte super strata per quam intratur palatium M.D. Antianorum ex palatio potestatis" per la riparazione del passaggio a volta, esistente sopra la strada, che consente di entrare dal palazzo del podestà a quello degli Anziani, e precisamente "calcina rena et alia huiusmodi necessaria" fornendo calce, sabbia e quant'altro necessario a detto lavoro e "d.us Mezanocte teneatur immittere ipsas necessarias cum sua persona quantum sufficeret" lo stesso Mezzanotte sia altresì tenuto a prestare personalmente l'opera occorrente alla bisogna.
Ottimo e lodevole sistema per convertire una pena personale in utilità per tutta la cittadinanza. (2007)
17 - Il 17 Febbraio 1328 gli Anziani, “ex auctoritate eis commissa” in forza dei poteri loro conferiti, “omni modo et iure quibus melius potuerunt” nel miglior modo e quanto più legittimamente possibile (è una formula di stile assai ricorrente nel periodo) “deliberaverunt quod camerarius communis habeat pro communi et emat de pecunia dicti communis in servitium” deliberarono che il Camerario comunale venisse dotato ed acquistasse per le esigenze del servizio del Comune e con fondi di quest’ultimo “duos vegeteculos” due botticelle “pro quibus possit expendere usque in quantitatem .x. librarum cortonensium” per le quali poter spendere una somma non superiore a dieci libre cortonesi.
E’ assai probabile che la destinazione di siffatti recipienti fosse quella di avere una riserva di vino per risollevar lo “spirito” degli amministratori del tempo! (2009)
17 - Nella seduta del consiglio decemvirale del 17 Febbraio 1471 si dà atto che il cittadino amerino Ser Artemisio di Ser Benedetto “in civitate firmana moram trahentis”, mentre si trovava nella città di Fermo, ebbe occasione di incontrare “quendam Magnatem Sclavum cum compluribus suis gentibus e sua regione eiectis ab jnhumanissimo Turcho in chisticolas seviente” un personaggio di rilievo di origine schiavona (altrove indicato come Nicolò Cocle “de Peloponniso”), con al seguito molte sue genti, cacciati dalle proprie terre dal crudelissimo turco, che infieriva contro i cristiani; “quem Magnatem ipse Ser Arthemisius allocutus est, creditque venturum cum dictis suis gentibus ad habitandum et incolandum Castellum Sancti focetulj demolitum” e lo stesso Ser Artemisio parlò con il detto Nicolò e convenne che lo stesso sarebbe potuto venire, con le sue genti, ad abitare e ripopolare il diruto Castello di Sambucetole, “quando Communitas Amerina mitteret pro eo ut veniret ad videndum dictum Castellum et eius territorium et viaticum sibi solveret” non appena la Comunità di Amelia gli avesse fatto sapere di venire a visitare detto Castello e suo territorio, pagandogli le spese di viaggio.
La trattativa va a buon fine ed il 20 Marzo successivo nelle riformanze vengono trascritti i patti stipulati con il Cocle (v. Almanacco del 1999, sotto la data del 20 Marzo). (2010)
18 - Fra le spese straordinarie "facte pro evidenti necessitate et honore comunis" cui far fronte e prese in considerazione nella seduta consiliare del 18 Febbraio 1413, figurano le seguenti:
-"pro ensenio facto domino Cardinali de Columna" per un donativo al Cardinale Colonna, cioè dieci libre di cera, vino, pane "tribus crastatis, spelta in tribus vicibus" tre castrati, per spelta in tre volte, si spesero 8 fiorini, 4 libre e 12 soldi;
-"Sr. Antonio de Civitella pro pictura armorum domini Cardinalis de Columna in turrione porte pusciolini" ad Antonio di Civitella, che dipinse le armi del Cardinale Colonna nel torrione della porta Bussolina, si diedero 4 libre e 10 soldi;
-"Sr. Bartolomeo Victolini pro una fenestra impannata in camera Judicis", si pagarono 2 libre e 10 soldi;
-"Petro Crapuccie misso pro parte domini Cardinalis cum litteris ad Braccium et Bindaccium pro eius salario trium dierum", a Pietro Caprucci, inviato da parte del Cardinale (Colonna) con lettere da consegnare a Braccio (da Montone) e a Bindaccio, si corrisposero, per un compenso di tre giorni, 30 bolognini.
Il capitano di ventura Braccio Fortebracci da Montone era, in quel periodo, al soldo dell'antipapa Giovanni XXIII e, ai primi del mese di febbraio 1413, lasciò l'Umbria ed affrontò vittoriosamente sul fiume Canale, nel Faentino, le milizie collegate di Ladislao di Durazzo e di Carlo Malatesta. Aveva fatto le prime esperienze d'armi alla scuola di Alberico da Barbiano, dove ebbe come camerata, poi antagonista, Muzio Attendolo Sforza di Cotignola. (2006)
18 - La moglie di Bucciolo di Lello Jacobucci il 19 Febbraio 1413 fa testamento, alla presenza di ben otto Notai, tutti di Amelia e cioè: Francesco Celluzzi, Luca di Cola, Coluccio del fu Buccio Mannis, Giacomo Ceccarelli, Paolo Vici, Arcangelo Lelli, Luca Petruccioli e Giacomo di Cola.
Ma quanta roba avrà avuto mai da lasciare la moglie di Bucciolo, per richiedere la presenza di tanti notai? (2014)
19 - Nel periodico AMERIA del 19 Febbraio 1899, sotto il provocatorio titolo "Antica sapienza amerina", si dava la seguente notizia:
"Testé dai banchi di un pizzicagnolo furono potuti salvare due volumi in folio, che dicevansi scritti in greco e per questa ragione erano stati condannati ad involgere salacche e parmigiano!
Essi formano la 1.a e la 4.a parte del Corpus juris di Giustiniano e comprendono la prima parte del Digesto, le Novelle, il Codice e le Istituzioni, stampati in Lione in bel gotico di pergamena, con fregi, incisioni e rubriche, rispettivamente il 21 Maggio e 5 Decembre del 1521 per cure di Francesco Fradin ed altri.
Si tratta di una delle prime e più pregiate edizioni e l'opera è interessante anche perché corredata delle glosse di Azone, di Accursio del 10° e 11° secolo, di Bartolo, di Viviani, del celebre studio bolognese ecc. nonché di copiosi indici. Dove si troveranno gli altri due volumi?"
Ma dove saranno finiti anche i due volumi salvati dall'involger "salacche"? (2006)
19 - Nel periodico “AMERIA” del 19 Febbraio 1899, sotto il titolo “Ladri o avventure amorose”, si legge:
“Poche notti or sono l’oste Suatoni Augusto e la domestica del Sig. Adolfo Rosa vennero svegliati di soprassalto dal rumore che facevano due individui percorrendo il tetto dei rispettivi fabbricati. Il medesimo rumore attirò alla finestra anche il fattore Cesare Castellani e questi infatti intravide due individui che, vistisi scoperti, si precipitarono da un tetto alto circa tre m. trascinando seco anche il condotto a cui si aggrapparono nella discesa”.
Il malizioso articolista non esclude la natura ‘rosa’ della fuga sui tetti. (2012)
19 - Il 19 Febbraio 1329 occorre nominare il protettore di turno. Nella sala delle assemblee del palazzo comunale, presenti Luzio di Tolentino, Giudice e Vicario di Bartolello podestà, Ser Bartolo di Todi, Vicario di Cecco di Baschi e tutti gli Anziani del popolo della Città di Amelia, nonché Giannotto di Alviano, Luzio di Pietro, Messer Branca, Messer Panza, per espresso incarico ad essi conferito nei competenti consigli, circa la conservazione dello stato pacifico della Città, dopo proposta e votazione fra essi effettuata nei modi di legge più opportuni, gli stessi deliberarono, provvedettero e ordinarono, ai fini della conservazione di detto stato pacifico, che, nella Curia di Roma, il protettore e difensore della Città di Amelia, fosse il Cardinale Colonna (Giovanni), figlio di Stefano, al quale venissero elargiti dalle casse comunali cinquanta fiorini d’oro (“Congregatis in sala palatij communis, d.no Lutio de Tolentino, Judice et Vicario Bartholelli potestatis et Ser Bartholo de Tuderto Vicario Cecchi de Baschio et omnibus Antianis populi Civitatis Amelie, nec non et Jannocto de Alviano, Lutio d.ni Petri et M.r Brancha, M.r Panza, ex commissione eis facta per consilia oportuna super conservatione status pacifici dicte Civitatis, facto et obtento inter eos partito ad bussulas et palloctas, omni modo et iure quibus melius potuerunt, deliberaverunt, providerunt et ordinaverunt pro conservatione dicti status pacifici quod in Curia Romana sit proteptor et defensor dicti communis filius d.ni Stephani de Colupna, qui est Cardinalis, et habeat et habere debeat de bonis et avere communis L. florenos de auro”). Si decide, inoltre. che, “ad procurandum predicta ad dictam Curiam Romanam” per comunicare alla Curia Romana quanto deliberato, si invii “quedam nuntius et ambassator, quem Antiani volunt qui habeat pro suo salario, in eundo, stando et redeundo suo risico et fortuna xxxvj florenos de auro” un ambasciatore, cui gli Anziani assegnano, per suo salario in andare, stare e tornare -a suo rischio e pericolo!-, trentasei fiorini d’oro. Così le spese per avere un protettore aumentano ancora di più! (2014)
20 - Il 20 Febbraio 1489 papa Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cibo) scrive agli Amerini, lamentando la loro mancata promessa garanzia di impedire sedizioni fra gli Ortani “et non solum tumultus sed etiam miserabiles multorum cedes tam diuturno prelio in civitate commissas” e non soltanto li accusa di non aver evitato disordini, ma neppure pietosi assassinii di molte persone commessi durante tanto prolungati combattimenti; per le quali cose, “intendimus in culpabiles procedi ut etiam alijs transeat in exemplum” il papa intende procedere contro i colpevoli, perché serva d’esempio a tutti. “Iccirco vobis sub excomunicationis et interdicti penis” pertanto fa presente di essere pronto a scagliare sugli Amerini i fulmini della scomunica e dell’interdetto se, avendo essi prestato garanzia fideiussoria per 10.000 ducati, non effettueranno il pagamento di detta somma, “ob pena qua ex tumultu et seditione alijsque predictis incurristis” a titolo di pena nella quale, per i detti esposti motivi relativi a tumulti, sedizione ed eccidi, gli Amerini sono incorsi agli occhi del papa, che impone loro di versare tale consistente cifra “infra sex dies” entro sei giorni dai ricevimento di tanto graziosa letterina.
Per un papa alla perenne ricerca di denaro come Innocenzo VIII, una simile somma poteva anche sembrare poco, ma per i poveri Amerini non doveva certamente esserlo altrettanto! (2008)
20 - Roberto Picchiarelli, “qui Testatiorum Rome ludum pro Communi Amerie conduxerat, ut fidem daret implevisse commissa” che eseguì per conto del Comune di Amelia i giochi del Testaccio, per esibire la prova della loro esecuzione e, quindi, di aver adempiuto al suo incarico, torna da Roma, recando la seguente lettera, scritta il 20 Febbraio 1490 agli Anziani, Consiglio e Comune di Amelia, da parte dei Conservatori della Camera “alme Urbis”:
“Spectabiles Viri Amici nostri prestantissimi Salute. Perché Roberto vostro, quale è comparso con lectere de Credentia de questa Comunità, è stato da noj et facto el vostro (et) suo debito secondo è consueto ne li nostri Jochi de Testatia; Per tanto vene facemo fede, et regratiamove (sic) de tale vostra visitatione grandemente. Offerendone in tucti vostri piacerj sempre paratissimi. Bene valete. Rome, Die xx.a februarij 1490”. (2010)
20 - Nella Sezione dell’Archivio di Stato di Spoleto risulta conservata una lettera autografa di Bartolomeo d’Alviano, scritta da quest’ultima località il 20 Gennaio 1498 e indirizzata ai governatori di Spoleto, che, con devozione filiale, chiama “Magnifici omini tamquam patres”, essendo stato eletto, nell’anno precedente, Capitano Generale di detta città. Con tale missiva, Bartolomeo fa presente che “la prima domenica de febraro” contrarrà il matrimonio, come “E’ piaciuto a questi miei Signori Ursini jo faccia nocze”. Con tale espressione, Bartolomeo vuole, con ogni probabilità, far presente che il matrimonio che andrà a contrarre ha avuto l’approvazione implicita da parte degli Orsini, alla cui famiglia apparteneva la prima moglie del condottiero, Bartolomea, sorella di Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico e venuta a mancare nel 1497, in seguito agli strapazzi patiti nella dura campagna condotta per l’assedio di Bracciano, dove aveva seguito il marito. Nell’invito, Bartolomeo specifica: “ce vengono tucti li amici de la casa et parenti: essendo questa Comunità Magnifica delle prime et ad me honorevele (sic), me (mi è) parso fare mio debito invitarve a queste nocze, Pregandole se degnino volere al dicto tempo fare comparire uno loro homo a dicte nocze adcio se cognosca (che) quella comunità me ama da figliolo, che cusì me reputo et al tempo laspetto”.
La seconda moglie di Bartolomeo fu Pantasilea Baglioni, sorella di Gian Paolo, Signore di Perugia e qui verranno celebrate le nozze, la domenica 4 Febbraio, i cui festeggiamenti dureranno cinque giorni, nel corso dei quali il matematico Giovanni Battista Danti effettuerà un esperimento di volo con un apparato da lui posto in opera, probabilmente ispirato da disegni leonardeschi e già da lui sperimentato con successo sul Lago Trasimeno; ma, nella citata occasione, il volo finì male e il Danti andò a cadere sul tetto della Chiesa di S. Maria, con la frattura di una gamba. (Notizie desunte da: Sandro Bassetti, Bartolomeo “Liviano” d’Alviano, Ellerani Editore, s.l., 1999).
A distanza di 53 anni, il 20 Gennaio 1541 il consiglio decemvirale è chiamato, fra l’altro, ad esaminare alcune suppliche.
Una viene presentata da un certo Antonio di Menico, il quale risulta iscritto “jn libro Maleficiorum in florenis auri centum” nel libro dei condannati al pagamento di pene pecuniarie, per reati commessi, per la bella somma di cento fiorini d’oro, “pro mallefitio jn personam Caponi Scogli perpetrato” a causa di un reato compiuto nei confronti di tal Capone Scogli e non meglio identificato. Nel maggior consiglio tenutosi lo stesso giorno, si decide che Antonio paghi la sola terza parte della pena e, del rimanente, gli si faccia grazia. V’è da notare che, mentre nel consiglio dei X Antonio di Menico era stato indicato con l’ulteriore patronimico “Pasqualis”, nel consiglio generale quest’ultimo era diventato “Pauloccj”: colpo di sonno del Cancelliere Lucangelo Palmolino?
Altra supplica è quella “Heredum Antonij Cerasolj” presentata dagli eredi di Antonio Cerasoli, i quali, essendo afflitti da grandissima indigenza, chiedono di venir esentati dal pagamento delle dative. Il maggior consiglio, pur riconoscendo “maxima” la povertà degli eredi, assegna loro l’esenzione soltanto “per triennium a dativis impositis et imponendis quacumque de causa” per un triennio da tutte le dative imposte e da imporsi a qualsiasi titolo. Potrebbe sembrare poco, se non si tenesse conto dello stato disastrato in cui si trovavano -beninteso allora!- le finanze del Comune di Amelia.
A 57 anni di distanza, il 20 Gennaio 1555, essendo stato messo all’asta l’Ufficio degli affari civili, si assiste alla contesa fra Pirro Vulpio e Mandosio Mandosi per aggiudicarsene l’appalto per un anno, il quale, partito da una base di 35 scudi, resta aggiudicato al Mandosi per 62 scudi, “cui plus offerenti restitit”, al quale restò come maggior offerente.
Lo stesso giorno viene adottato un drastico provvedimento che oggi potremmo definire di carattere ecologico: “in futurum non fiant cese et M. D. Antiani dantes licentiam incidant in penam decem scutorum et scribantur in libro speculj per Cancellarium qui si negligens fuerit salarium unius mensis perdat et comitatini incidant in penam decem scutorum” per l’avvenire, non si facciano tagli distruttivi e totali di piante e se gli Anziani ne dessero licenza, siano multati di dieci scudi e vengano iscritti nel libro degli specchi dal Cancelliere, il quale, se sarà stato negligente, perda un mese del suo salario ed anche i contadini disobbedienti incorrano nella pena di dieci scudi. Non sarebbe male che, anche al giorno d’oggi, si ponesse un freno agli scempi indiscriminati dei nostri boschi! (2012)
20 - Il 20 Febbraio 1510, con l’intervento del notaio Tomaso di Nicola, viene stipulato un atto di pace fra Gabriele Bufalari e Matteo Farisanesci e rispettivi consanguinei fino alla terza generazione, a proposito di alcuni ferimenti arrecati. Alla conclusione della pace, assiste il Vescovo Giustiniano Moriconi e l’uditore del Governatore di Amelia, Nicolò de Rachiso. (2014)
21 - Il 21 Febbraio 1466 fra le spese straordinarie che debbono essere approvate figura una curiosa voce relativa alla perdita di valore di una quantità di monete (“carlenorum et aragonensium de regno” cioè di carlini ed aragonesi del regno di Napoli) restate nelle mani del Camerario e da lui non spese per evitare un danno maggiore al povero erario amerino. Si tratta di una perdita di valore pari ad otto libre, calcolate su di una somma di 23 ducati. Poteva andar peggio! (2009)
21 - Il 21 Febbraio 1391 gli Anziani, “convenientes insimul et in unum” radunatisi insieme, “avertentes necessarium fore castellanum dirigi ad castrum Culcelli pro custodia dicti castri” avvertendo la necessità di inviare un castellano a Collicello, per provvedere alla custodia di detto Castello, “usque ad eorum beneplacitum” per il periodo che sembrerà loro più conveniente, “cum salario, honoribus et honeribus consuetis” con salario, onori ed oneri consueti, “Johannem Cecchi pavancionj, qui juravit et promixit etc.” Giovanni di Cecco Pavancioni, che prestò atto di giuramento e promise ecc. (cioè di bene e fedelmente adempiere al proprio incarico). “Jtem de eorum communi concordia et voluntate eligerunt, nominaverunt et deputaverunt in castellanum et pro castellano castri fractutie cum honoribus et honeribus consuetis usque ad eorum beneplacitum petrum parasacchj qui juravit et jurando promixit etc.” Inoltre, con unamine consenso e volontà, elessero e nominarono alla castellania di Frattuccia Giovanni di Parasacco, che, del pari, prestò il giuramento di rito. (2010)
22 - Ad emulazione di altre città umbre, nelle quali il giorno di "carnis privij" (l'odierno Carnevale: da "carnem levare", con cui veniva indicato il giorno antecedente all'inizio della quaresima, cioè il martedì grasso) si organizzavano giochi, da un comitato di 33 giovani amerini viene avanzata una proposta agli Anziani, nell'adunanza consiliare del 22 Febbraio 1394, affinché, "ad honorem et statum sante matris Ecclesie ed domini nostri pape et pro statu et honore Civitatis Amelie", sia loro concesso di "currere et curri facere unum anulum argenti" cioè di organizzare una corsa all'anello "prout solitum est in alijs Civitatibus", com'è in uso fare in altre città. Le spese della manifestazione dovrebbero essere a carico del Comune, comprese quelle per l'acquisto dell'anello e "qui currerit, et optinuerit anulum supradictum, habeat illud pretium sicut, in ea forma et modis quibus V. M. videbitur et placebit"; e chi correrà e vincerà la corsa, ottenga il premio che verrà stabilito e deliberato come meglio sembrerà ai magnifici Anziani.
Abbiamo anche i nomi dei 33 postulanti: Nicolaus Ser Beraldi, Felitianus Ser Cole, Guarolfinus Ser Johannis, Johannes Corradi, Arcangelus Pellegrini, Ser Baptista Ser Lonardi, Ser Mathias Ser Uberti, Petrus Lodovici magistri Galissi, Bonifatius domini Johannis, Nicolaus Jonannis Ugolini, Jacobus Buchanelle, Andreas Ceccharelli, Arcangnelus Stephani Tosi, Petrus Ser Tellis, Paulutius Juliani, Andreas Caselle, Bartholomeus Angelelli, Bartholomeus magistri Andree, Angelus Ser Stephani, Franciscus de Sancto Gemino, Andreas Ser Angeli, Mannosius Ser Arcagneli, Egildus Johannis, Nutus Ser Arcagneli, Armandus Petri, Lucas Jacobutij, Thomas Anthonij Tomassi, Matthyolus Justinj, Bartholomeus Johannis Petrutij Focij.
La proposta, presentata in forma di supplica, viene discussa dinanzi al Consiglio generale del 24 successivo. Vengono formulate diverse soluzioni ed, infine, prevale per tre soli voti (25 "pallucte" contro 22) quella caldeggiata da Paolo Jacubutij Casini, che cioè si deliberi di far partecipare alla corsa all'anello soltanto cittadini di Amelia, "et nullus forensis possit currere" escludendone cioè i forestieri; il premio al vincitore consista in otto bolognini ed in una ghirlanda "erbe venche" (forse di fronda di salice o di pervinca). Altra proposta presentata da Nicola Magistri Johannis non prevedeva premi in denaro per il vincitore, ma la sola ghirlanda ed un fiorino "sotietati" cioè alla compagnia dei cittadini organizzatori della corsa.
L'anello dovrà restare depositato in Comune, da servire per le future corse. (2005)
21 - “Cum ex guerra diutius in patria agitata et nimia caritudine victualium pauperies et jmpossibilitas in Civitate et comitatus amelie aucte existant” Poiché a causa di lunghi conflitti che agitano la città e l’eccessivo costo dei generi alimentari la povertà e la difficoltà di vivere sono aumentate sia in Amelia che nel suo contado, è necessario provvedere “ad relevationem miserabilium personarum eiusdem sumptus mitigare et refrenare” a limitare e ridurre il costo della vita per sollievo delle persone più indigenti. All’uopo, “pro venturo tempore” per il futuro, si propone di ridurre sia il numero che le retribuzioni dei funzionari, iniziando a ridurre il numero dei giudici del podestà ad uno soltanto, con un socio milite e due soli notai e soltanto (si fa per dire!) nove famigli, “cum salario quinquaginta florenorum aurj mense singulo” con un salario complessivo di cinquanta fiorini d’oro al mese.
Questo sistema di ridurre le spese non sarebbe male se venisse adottato anche ai giorni nostri! (2014)
22 - Il 22 Febbraio 1327 viene presentata agli Anziani, da parte di Cecco e Petruzzolo Manni di Todi, calderai, la seguente istanza:
"Cum intendant morari et artem ipsorum operari in Civitate Amelie" Volendo venire ad abitare in Amelia ed esercitarvi la propria arte "quam commode non possunt sine aliquo adiutorio" la quale cosa non potendo comodamente fare senza idoneo aiuto, "cum oporteat eos facere portari omnia necessaria pro dicta arte exercenda de Civitate Tuderti ad Civitatem Amelie" essendo loro necessario far trasportare quanto occorre all'esercizio della loro arte da Todi ad Amelia "ac etiam oporteat eos pro dicta arte exercenda magnum capitale habere" ed inoltre occorra loro, per la bisogna, avere a disposizione un notevole capitale, chiedono, pertanto, che gli Anziani prendano idonei provvedimenti, assicurando loro "de aliqua pecunie quantitate" una certa quantità di denaro, sufficiente per un anno "cum ipsi parati sint toto dicto anno ipsam artem operari in dicta terra et volentes addiscere docere" essendo loro disposti ad esercitare l'arte per tutto il prossimo anno e ad insegnarla a coloro che volessero apprenderla. Ed in tutto si rimettono a quanto verrà deliberato in proposito. (2007)
22 - Nel maggior consiglio del 22 Febbraio 1467 Giuliano Manfredi, cittadino di Amelia, presenta una petizione agli Anziani ed al Podestà, appoggiata dal Vescovo di Perugia Governatore di Amelia, con cui lamenta di non essere stato immesso nel bussolo né dell’Anzianato, né di altri uffici della Città, come suole farsi per i Cittadini “eius conditionis et gradus” della sua condizione e dignità e ciò ritiene sia dovuto alla circostanza che, all’epoca dell’imbussolamento, “erat Curialis et absens a civitate” era curiale ed assente dalla Città. Poiché “cotidie gravatur et molestatur ad solvenda gravamina et onera communis imposita et imponenda” viene giornalmente richiesto di pagare le imposte ed i gravami comunali già applicati e da applicare in futuro e poiché “qui sentit onera et incomoda debet etiam sentire comoda et habere officia” chi è sottoposto agli oneri ed agli incomodi deve anche godere dei comodi e ottenere incarichi ufficiali, il ricorrente chiede che vengano emanati, da chi di dovere, provvedimenti in base ai quali o si proceda alla cancellazione delle dative a suo carico, oppure il suo nominativo venga incluso fra coloro cui verranno assegnate le cariche dell’Anzianato e degli altri uffici cittadini “prima vice qua dictus locus et gradus primus vel saltim secundus vacaverit propter alicuius Civis mortem absentiam vel speculum” la prima volta che detti uffici di primo o almeno di secondo grado si renderanno vacanti per morte, assenza o insolvenza di qualche cittadino.
Contestualmente, lo stesso Giuliano chiede di essere ammesso all’Anzianato “loco Orselli noviter extracti, cum dictus Orsellus est absens et potestas Amandule in Marchia” in luogo del nuovo estratto dal bussolo dell’Anzianato, di nome Orsello, essendo questi assente ed attualmente podestà di Amandola, nelle Marche. Il che fu fatto, con il beneplacito degli Anziani e del Podestà. (2009)
22 - Il notaio Francesco Celluzzi il 22 Febbraio 1412 è chiamato a redigere un singolare atto, con il quale, alla presenza del Podestà, Donna Giovanna, col consenso del marito Giacomo, fa pace “tactu manuum”, toccandosi reciprocamente le mani, con Ambrogio di Beraldo, “qui, animo deliberato et malo modo, trascinavit dictam Johannam per terram et per scalas domus dicti Jacobi” il quale deliberatamente ed in malo modo, trascinò detta Giovanna per terra e per le scale della casa del nominato Giacomo “ex qua trascinatura exivit sanguis” dal quale atto, alla povera Francesca uscì del sangue da due ferite procuratesi nei piedi.
Ma che cosa avrà mai fatto Donna Giovanna ad Ambrogio, per suscitare in lui una reazione tanto violenta? (2014)
22 - Il 22 Febbraio 1488, con atto del notaio Manno Arcangeli, alcuni cittadini di Orte, appartenenti ad entrambe le fazioni guelfa e ghibellina, che travagliavano la città con lotte intestine, vennero convocati in Amelia da Sisto IV, allora presente nella nostra città, che li costrinse a pattuire “de bene et pacifice vivendo et non offendendo inter dictas partes in civitate ortana” di vivere nella loro città in modo pacifico, senza recarsi vicendevolmente offese e ciò sarebbe dovuto durare “in perpetuo”. Per entrambe le parti, fece garanzia il Comune di Amelia, con promessa di venir indennizzato: la parte che non avesse osservato i patti, sarebbe incorsa nella pena di diecimila ducati. Ma la pace venne quasi subito rotta, da un certo Troilo, che aggredì l’ortano Eusebio, dottore in legge. Venuti a conoscenza del fatto, gli Anziani del popolo di Amelia inviarono in qualità di oratore ed ambasciatore Francesco Geraldini a protestare dinanzi ai Priori di Orte contro il commesso misfatto, a chiedere o l’esonero dalla garanzia prestata, oppure un nuovo impegno da parte del Comune ortano di indennizzare quello di Amelia per qualunque spesa avesse dovuto incontrare nel fungere da garante di una tanto fragile pace. (2015)
23 - Alcuni nobili e cittadini amerini si unirono in “Congregazione” il 23 Febbraio 1782, per dar corso alla costruzione di un nuovo teatro, che fosse destinato -come ancora leggersi sul fronte del portale d’ingresso dell’edificio- “HONESTO CIVIUM OBLECTAMENTO”, cioè ad un onesto diletto dei cittadini.
Un teatro già esisteva in Amelia, incluso nel Palazzo Pubblico che, di lì a pochi anni -precisamente il 29 Aprile 1817- sarebbe rovinato nelle sottostanti cisterne romane.
Non c’è unanimità di pareri circa la persona cui venne affidato il progetto della costruzione: secondo alcuni, fu il Conte Stefano Cansacchi, secondo altri viene fatto il nome dell’architetto Giuseppe Mattei di Roma.
Il luogo prescelto fu un’area risultante dalla demolizione di alcune vecchie costruzioni su di un poggetto, sovrastante, verso nord-est, la Chiesa di S. Angelo e in adiacenza al Palazzo della estinta Famiglia Studiosi, con i cui ultimi rappresentanti, il 5 Agosto 1791 risulta stipulato un accordo per la cessione di un tratto di strada che facilitasse l’accesso al teatro, la cui costruzione venne iniziata assai presto e, benché programmata in un paio d’anni, si protrasse ben più a lungo, con un notevole aggravio della spesa che, preventivata inizialmente in 4000-5000 scudi, salì fino al oltre 14.500. (1997)
23 - Il convento dei Cappuccini (v. 26 Ottobre) cresce: il 23 Febbraio 1565 viene deliberato di fare ai buoni frati un'elemosina "pro studio erigendo in cenobium S.ti Jacobi", per la costruzione di uno "studium".
Pietro Simone Petrucci, caldeggiando l'elargizione dell'elemosina, si appella al Vangelo: "Quum scriptum est quicquid uni ex minimis meis feceritis mihi feceritis" Poiché sta scritto: qualunque cosa farete ad uno dei miei (fratelli) più piccoli lo farete a me (Gesù).
Si impegneranno le rendite della gabella di piazza per 25 ducati ed i lavori saranno seguiti da due cittadini da eleggersi ad hoc. (2005)
23 - Il 23 Febbraio 1477 nel consiglio decemvirale viene presentata la seguente singolare proposta:
"Cum multi exposuerint quod bonum esset ut fieret locus ubi esset postribulum pro subventione indigentium" poiché da molti è stato fatto presente essere cosa buona che si provveda a ricercare un locale da adibire a postribolo, per sovvenire alle esigenze degl'indigenti, si chiede "quid agendum sit ut postribulum fiat" cosa debba farsi per la sua realizzazione. Nel consiglio generale del giorno successivo, il consigliere Ricco de Ricchis (che, a giudicare dai dati anagrafici, doveva essere un esperto in questioni finanziarie) formula una proposta: "Quod Magnifici Domini Antiani, una cum tribus vel autem quatuor civibus eligendis a presentibus vel futuris dominis Antianis" che gli Anziani, di concerto con tre o quattro cittadini da eleggersi da quelli in carica o dai loro successori, "habeant amplium arbitrium quantum presens consilium" abbiano piena facoltà, come lo stesso presente consiglio, "construendi et ordinandi dictum postribulum prout et sicut dictis melius videbitur et placebit" di costruire ed allestire detto postribolo, nel miglior modo che aggraderà ai detti incaricati e quanto verrà da essi eseguito, abbia pieno vigore legale.
D'altronde, come potrebbe sembrare giusto ai giorni nostri, anche allora si ritenne corretto che pure i meno abbienti potessero avere i loro punti di sfogo! (2007)
23 - Il 23 Febbraio 1520 da parte degli Anziani, autorizzati dal Consiglio Generale e con il consenso del Sindaco Bertuccio di Castel dell'Aquila, si stipula una convenzione con la quale "conduxerunt Bartholomeum pellimbusto de Luca Magistrum texendi serici" diedero in appalto a Maestro Bartolomeo Pellimbusto di Lucca, tessitore di seta, "ad texendum sericum et docendum Amerie artem texendi" la tessitura della seta e l'insegnamento di tale arte in Amelia, "pro tempore et cum salario et condictionibus prout infra in capitulis latius continetur" per la durata ed il corrispettivo come più ampiamente si contiene nei capitoli infrascritti; "quorum capitulorum tenor talis est" il cui tenore è il seguente:
"In primis, la Comunità promette fare exempto (esente) dicto Mastro Bartolomeo da ogne pagamento de dative per tucto el tempo infrascripto che starrà in Amelia.
“Item li promette la prefata Comunità per el tempo infrascripto darli x ducati de carlini per ciasche anno, da pagarseli dalla gabella delle mesure.
“Item li concede possa cavare et mettere robe per uso suo senza gabella.
“Item li concede che nisciuno possa cavar seta for d'Amelia se prima non rechieda (a) lui si la vole comparare; et lui se obliga pagharla per quel che vale in peroscia (Perugia) in Foligni overo lochi circumstanti ad judicio delli signori Antiani quali habiano informatione dai dicti lochi, non essendo (se non sono) d'accordo.
“Item li concede possa mettere drappi quanti vole senza gabella, ma nel trarre over cavare paghi la gabella secundo la tavola et la peza se intenda xxv braccia.
“Item tucti li scolari che vorrando (vorranno) imparare vengano ad farse scrivere in Cancelleria et paghino un ducato lanno per homo et non femina alla Comunità per lo primo anno, di poi non paghi niente".
Inoltre, la Comunità metterà a disposizione del tessitore le bestie da soma ed i recipienti necessari per il trasporto delle sue masserizie, senza dover pagare nulla.
"Item le piante di celse (gelso) paghino per ciaschuna quattrini doj per pianta et un bayoccho per ciasche piantone grosso.
“El prefato Mastro Bartolomeo se obliga stare et lavorare x anni in Amelia.
“Item quella delle prefate parte o la Comunità d'Amelia o lo prefato Mastro Bartholomeo (che) rompesse li soprascritti capitoli over ciaschuno de essi caschi in pena de xxx ducati de oro da applicarse integralmente alla parte observante".
Sarebbe interessante conoscere se la "seta amerina" si sia affermata sul mercato e quale beneficio economico abbia apportato alla nostra comunità. (2008)
23 - Il 23 Febbraio 1473 viene presentata nel consiglio decemvirale la seguente supplica:
“Supplicase humelemente ale V. M. S. et ad Voi altrj spectabilissimi ciptadini per parte de madonna Mariola Albanese habitatrice in Amelia, dicente che con cio sia cosa che per lei sia stata receptata donna Marta albanese con uno certo furto de dui taze de argento furate per la decta Marta ad Angelo de Petrignano puramente et senza malitia et voluntà come è da presumere et con animo de revelare decto furto alpatrone come revelo et notifico. Donde recorre ale V. M. S. che attenta la bona fede de non volere errare et che non fo principale delanquente etiam (sebbene) habia povertà, che V. S. de gratia spetiale et per amore de dio se vogliano dignare admectere li beneficij et farle gratia detucto over almanco che pagando la quarta parte como ad V. S. parerà li sia casso el processo et la condennatione contra epsa facta de dece libre de denari per cascione de la decta receptatione et questo de gratia singulare et da ascrivere ad singulare beneficio. Et Dio conserve secundo el vostro dexiderio Voi Magnifici Signuri”.
Il maggior consiglio del dì seguente delibera che “animadversa oratricis inopia et recta fide per quam non intelligi potest in dicto furto de quo condennata est culpam habuisse” considerata la povertà della supplicante e la sua buona fede, per cui non può presumersi abbia avuto alcuna colpa nel furto per il quale venne condannata, “admissis omnibus beneficijs solvat communi quartam partem condemnationis hoc modo: quod Maritus eius pro solutione dicte quarte partis debeat ad arbitrium Dominorum Antianorum dare duas operas et deleatur omnis processus” concessole ogni beneficio di legge, paghi la sola quarta parte della condanna nel modo seguente: che suo marito, a beneplacito degli Anziani, fornisca due giornate di lavoro.
E così, in definitiva, per un reato di cui donna Mariola venne riconosciuta innocente, venne condannato il marito! (2009)
23 - Nel consiglio dei X del 23 Febbraio 1490 si esamina la supplica presentata “per parte de li vostrj figlioli et servitorj et subditi Johanni et Anthonio de Thomaso schiavoni habitanti nel vostro Castello de Sancto focetulo, exponenti che per la dicta Comunità li fo concesso uno Casareno al dicto Thomaso loro padre in ipso loco per loro habitatione ad lo tempo che vendero (vennero) habitare in ipso Castello; lo quale casareno ad loro non basta perché li è cresciuta fameglia et tucta via cresce et col tempo haveriano intentione de partire (dividersi) luno da lo altro et non hanno stantia da posser habitare; et perché como è noto in dicto Castello ce è grande copia de casarenj et alcunj ce hanno molto più che alloro non bisogna: et ali dicti supplicanti quali entendono vivere et morire nelo dicto castello non basta quello solo, humilmente supplicando recorrono ale V. M. S. se digneno de dono et gratia speciale concederli et donarli uno altro casareno posto nel dicto Castello presso ad Mastro Toppo Schaivone habitante in dicto loco, la via et altrj soi confini, lo quale casalino concedendoli et donandoli lo murariano et accomoderariano alloro spese per posserlo habitare et usare; lo quale demandano in dono et gratia da le V. M. S. per lo amore de Dio, non obstanti statutj, reformantie et omne altra cosa che in contrario facesse (disponesse)”. Nel maggior consiglio del dì seguente, considerando che i ricorrenti “justa petant” richiedano cose giuste “et sit utile quod Castellum Sancti focetuli habitetur” e sia cosa utile che il Castello di Sambucetole resti abitato, si concede quanto richiesto.
Altra supplica è presentata “per parte de la vostra fidelissima servitrice Donna Petrutia figlia ja de Cola Coscello et moglie ja de Johannj Todescho, la povertà de chi (della quale) è nota ale V. M. S. che ad pena pote con le soe proprie braccia satisfarsi del proprio bochone del pane et continuo è molestata per le dative et malamente potendo vivere non po al Comune sovvenire non havendo da magnare, ma vivendo de elemosine, unde recorre a la benignita de le V. M. S. et prega se dignino concederli gratia et immunità de cassarli le dative passate et per lo advenire concederli tanta de gratia quanto parerà expediente per mantenere la sua poverissima vita, el che demanda deverseli concedere per amore de Dio et per intuitu de pietà et misericordia da le V. M. S. quali Dio conserve et exalte”. Nel maggior consiglio del giorno successivo, alla povera Donna Petruccia si concede la remissione delle imposte pregresse e l’esenzione dalle future per i seguenti otto anni. (2010)
23 - Il 23 Febbraio 1461 il notaio Ricco di Francesco è chiamato a verbalizzare una causa di nullità matrimoniale, davanti al Vescovo.
Compare Donna Margherita col suo procuratore; è contumace il marito Giovanni di Barto. La donna, “flexis genibus” stando in ginocchio, dice: “volo filios procreare, ideo maritum accepi, qui, ut scitis, mihi debitum reddere non valet, ideo licentiam peto alteri nubendi” voglio avere figli, per questo ho preso marito il quale, come sapete, non è in grado di soddisfare il suo compito; chiedo quindi licenza di sposare un altro. Il Vescovo, “sedendo pro tribunali, visis videndis et consideratis considerandis” sedendo in Tribunale, dopo aver visto quanto vi è da consultare e considerato quel che vi è da considerare, pronuncia sentenza di nullità e dà licenza a Margherita “ut cui vult nubat in Domino” di sposarsi, nel nome del Signore, con chi vuole.
Procedura ultra rapida! (2014)
23 - In un atto del 23 Febbraio 1470 si parla della “Ecclesia Sancti Johannis Bactiste noviter construenda et edificanda extra et prope muros Amelienses et prope fontem Montis Labri et in locho ubi dicitur el pogietto de miglioruzzi” Chiesa di S. Giovanni Battista, da costruire al di fuori e nei pressi delle mura di Amelia, vicino alla fonte del Monte Labro (S. Salvatore), nel luogo chiamato ‘il poggetto di Miglioruzzi”. Quanto sopra può giovare per una più facile identificazione del luogo dove doveva venir costruita detta Chiesa, cioè l’odierna Villa S. Giovanni. (2014)
24 - Il 24 Febbraio 1617, dinanzi al Consiglio dei Dieci viene portata la seguente proposta:
“Coticone balìo (= messo comunale) non sa leggere né scrivere, serve malamente et con poca satisfattione, et essendovi Flaminio genovese, balìo di Narni, che sa leggere, et scrivere, et servirà bene et meglio assai di questi, però se pare di licentiare l’uno, et ammetter l’altro, con la solita promissione et emolumenti”.
Il Consiglio non se la sente di prendere decisioni da solo e rimette la questione al Consiglio Generale.
Si vede che, anche allora, non era tanto facile disfarsi dei lavativi! (1998)
24 - Il 24 Febbraio 1596 Bernardino R. sporge querela dinanzi al Podestà di Giove, esponendo i seguenti fatti:
“In absenza di Piervito mio fratello facevamo un poco di recreatione tra noi parenti in casa di detto Piervito et essendo la porta serrata, Antonio F. ha bussato et ha hauto certe parole con Paulo o vero Dante, figli di Mr. Laurentio, et ha ingiuriato tutti noi altri, dicendo "scappate quà furbi massa di canacce" et fu serrata di nuovo la porta: et mentre si ballava et io sonavo la cetera è venuto Torquato et Antonio fratelli et forzatamente hanno aperto la porta et sonno entrati dentro bravando con minacciar me et gli altri et se non fossero stati riparati senz’altro facevano qualche male et presenti ci son stati Meco di Sabbino, Annibale di Beatrice, Francesco F. et altri che essaminando, V.S. trovarà siano castigati che non si deve permettere venire così ad assaltare altri in casa sua”. (2000)
24 - Il 24 Febbraio 1398 dinanzi ai Consiglio generale e speciale vengono discusse questioni di vitale importanza. Arde la guerra scatenatasi dopo lo scisma d'occidente e "sit necesse quod castra comitatus Amelie custodiantur ne ab emulis occupentur" è cioè necessario che i castelli amerini vengano custoditi per non venir occupati dai ribelli; inoltre "contrata Forpontis defectui guerre non possit cultivari et dubitetur ne britones offendant in capite inferiori versus montem nigrum ex quo expedit providere pro excubijs versus et circha flumen" la contrada Forponte, a causa della guerra, non può venir coltivata e si teme che le truppe bretoni, partigiane dell'antipapa avignonese Benedetto XIII, Pietro de Luna, possano colpirla nella parte inferiore, verso Monte Nero, dove è necessario provvedere a porre sentinelle sul versante in direzione del fiume (Tevere) ed altre se ne pongano a Monte Piglio. Il fatto grave è -nemmeno a dirlo- che "non sit pecunia in communi", cioè che le casse comunali sono vuote. Si delibera, pertanto di pignorare la gabella del macello per gli anni futuri. E speriamo che basti! (2005)
24 - Sotto il titolo di "Amerina Buxuli", variata, nel corso del tempo, in "Amerina Officiorum", in occasione della confezione del nuovo Bussolo del 24 Febbraio 1763, ebbe inizio una lunga disputa presso la Sacra Consulta, che durò fino al 1765, con strascichi giunti anche oltre il 1767, i cui atti occupano non meno di 280 pagine a stampa (Typis Bernabò).
La diatriba fu originata dal ricorso di tre privati cittadini, contro una vociferata riduzione del numero dei Consiglieri delle magistrature cittadine, perché si asseriva che il numero dei nobili, nel corso degli anni, era venuto restringendosi e, da parte loro, si chiedeva che anche semplici cittadini potessero essere eletti nelle pubbliche cariche e nei Consigli.
Poiché, lungi dalla tendenza democratica degli statuti medioevali della Città di Amelia, nell'epoca suddetta la quasi totalità del potere era in mano ai ceti nobili -o, per lo meno, a quelli agiati- la pretesa dei cittadini ricorrenti sembrava totalmente fuor di luogo, se non addirittura temeraria ed inammissibile. Fra l'altro, si usarono pretestuose interpretazioni degli stessi statuti, nei quali il termine "cittadino" doveva essere inteso come equivalente di "nobile", disattendendo la reale significazione del termine "civis": anche nello statuto del 1441, da cui era stata letteralmete ricavata la copia manoscritta del 1560, le rubriche 12 e 13 del libro quarto consentivano di connotare inequivocabilmente la sua natura "de populo" e la emarginazione dei nobili, appartenenti al ceto "de granditia".
Forse, all'epoca, non si poteva ancora percepire l'insorgere dell'uragano che, di lì a cinque lustri, da Parigi, avrebbe scatenato tutta la sua potenza rivoluzionaria sull'intero mondo conosciuto. (2006)
24 - Il 24 Febbraio 1447 presenti gli Anziani, oltre al Camerario Generale del Comune Orsello Pasqualis, dopo i bandimenti di rito, vengono messi all'asta, sulla piazza del Comune, i beni pignorati dallo stesso. Si tratta di ben misere cose, sottratte ad altrettanto misere persone. Per averne un'idea, se ne elencano alcune, indicandone di volta in volta il prezzo di aggiudicazione realizzato nell'asta:
-due bidenti, due zappe e quattro padelle, per 35 bolognini in tutto;
-un bidente, per 8 bolognini;
-una padella, per 5 bolognini;
-una catena, per 6 bolognini e mezzo;
-un caldarello, per 30 bolognini;
-due caldarelli, due falci ed una catena, per 36 bolognini in tutto;
-una padelluzza, per 7 bolognini;
-una zappa ed uno zappetto, per 7 bolognini in tutto;
--un'accetta ed una zappa, per 14 bolognini in tutto;
-quattro treppiedi rotti, per 4 bolognini;
-due paia di forchette, per 4 bolognini.
E così via. Da quanto sopra, può dedursi lo stato di avvilente miseria in cui molte persone erano costrette a vivere in quel periodo.
Un'ulteriore, interessante annotazione. Mentre le cifre di aggiudicazione sono, come si vede sopra, espresse in bolognini, sul margine destro della pagina esse risultano annotate in libre di denari. Da un'analisi comparativa dei due sistemi monetari adoperati, se ne può dedurre che il bolognino, usato come moneta corrente, in quel periodo equivaleva a 30 denari, pari, cioè, a 2 soldi e mezzo. (2007)
24 - Il 24 Febbraio 1414 viene presentata in consiglio un supplica da parte di Matteo di Luca, con la quale lo stesso espone che “cum ipse Matheus gravetur per presentem officialem communis Amelie ad solvendum in communi gabellam bladi” essendo lo stesso Matteo richiesto, da parte dell’addetto ufficiale comunale, del pagamento della gabella sui cereali “Et quia de mense Januarij proxime preterito in die sancti Antonij quedam sua domus posita in Civitate Amelie in contrata pusterule ex inoppinatu et casu fortuito combusta fuit et perdidit ultra xx. salmas granj et passus fuit alia maxima damna” e poiché nel passato mese di gennaio, nel giorno di S. Antonio, una sua casa posta in Amelia, in contrada Posterola, a causa di un fortuito incendio, fu bruciata e lui perse oltre 20 salme di grano, oltre ad aver subito altri gravissimi danni, “propter que cogitur (sic) mendicare” a causa dei quali sarà costretto a mendicare; “Quare petit dictam gabellam sive dativam impositam pro dicto blado remictere et mandare quod de dicto grano combusto gravari non debeat nec possit in futurum” per la quale cosa, chiede che la relativa gabella imposta sul grano bruciato gli venga condonata e che venga disposto e ordinato che, per lo stesso, non debba né possa venir gravato per l’avvenire. La decisione del susseguente maggior consiglio è favorevole al povero Matteo, “cum supplicatio ipsa sit rationabilis justa et equa”, la cui supplica viene riconosciuta ragionevole e giustificata. (2009)
24 - Il 24 Febbraio 1527 il consiglio decemvirale riceve, fra l’altro, una supplica da parte dei frati del Convento dell’Annunziata. Eccone il testo:
“Se supplica humilmente ad V. M. S. et generoso Consiglio per parte del Convento et frati de la nontiata de Michignano, Teritorio de Amelia, Quali dicono qualmente la communità (di Amelia) ha un pezo de monte jnutile et pieno de saxj et sterpi nella dicta contrada adpresso li bienj del prefato Convento da capo et da un lato el Convento de sancto Francesco da pede el fossato et altri lati, per el che epsi frati et convento ne vengono ad patire et recevere grandissimo danno da personi (sic) et animali che praticano jn dicto loco. Desiderariano per obviare ad dicti danni, reddurre quello dela communità quantunche fosse difficile ad selva, inseme con quella (che) hando (hanno) hauta da spontania (donazione) Recorrono dunque flexis genibus (in ginocchio) alla benignità et jnnata clementia de V. M. S. pregando quelle se vogliano degnare Amore Dei et gloriosissime virginis Marie (per amor di Dio e della Gloriosissima Vergine Maria) concederli dicto pezo de Monte, promettendo dicti frati non solo quello che V. M. S. li concederando, ma el loco e tucta la lor selva tenerla sempre ad ogne beneplacito de epsa communità et che V. M. S. ne possino decontinuo disponere come veri Patroni et signori. El che receverando ad piacere et dono singularissimo et de continuo o con le loro debile orationi pregaranno lo eterno motore pe la salute de questa cità et V. M. S. ...”.
Il succcessivo maggior consiglio tenutosi lo stesso giorno concede ai frati quanto richiesto.
A due anni di distanza, il 24 Febbraio 1529 il consiglio dei X deve occuparsi di molti svariati argomenti, fra i quali figura la solita notizia (“novum”) di un prossimo arrivo “per viam narniensem”, questa volta da Narni, del Reverendo Legato “et de proximo visendum et munerandum est” e fra poco giungerà qui e si dovrà omaggiarlo -more solito- ; si propone che “visitetur per oratores et fiat ei munus usque ad summam viginti ducatorum in rebus, videlicet in blada et alijs rebus” gli si faccia accoglienza da parte di oratori e gli si presenti un dono, di valore fino a venti ducati, in natura, cioè in foraggio per i cavalli e per gli altri ...da foraggiare!. Vi sono anche da ascoltare diverse suppliche.
Una è presentata “per parte del suo devoto servitore Marcello alias Schioppo de Andrea Valentino che ali giorni passati per sinistra inductione, persuaso da prete placido de roscetto et non per sua opera né sua mente se trovò con epso inseme ad imbractare luscio (la porta) di Messer grifeo cirichellj con jmbracto di stercho et urina, essenno nella casa sua cohadunati molti homini et donne; et perché ipso oratore non era conscio de simile errore che così se havesse ad perpetrare, nondimancho se in alcuna parte havesse errato il che lui non crede, se remecte sempre nelle braccia di questa magnifica communità, supplicando quella se voglia dignare farlj gratia remissibile de tal pena, quale è ducati vinti de oro, overo redurla ad qualche tolerabile pena, actesa la sua jnnocentia per essere stato circunvenuto da epso primo autore ...”
Altra supplica è presentata “per parte de uno humile et pauperrimo suo servitore Mannicello de pietro canuto, qualmente ali mesi passati essenno lui con tucte le robe represagliato dal conte dolce (dell’Anguillara) per conto de le taxe de li cavallj de N. S. (il papa) per causa dela communità de Ameria, nelle forze del quale è stato astrecto molti giornj et pagato molti denari et perse molte robe ad tale (in modo) che è destituto et privo d’gni suo bene quale haveva, né li è restato altro chel spirito et perché pensava revalersi contra la communità in qualche modo, haveva scripto qui in Amelia (per) fare una preda de bestiame, la quale non fece né forsa haveria facto et per questo è stato astrecto dal S.or Potesta molti giorni in carcere et patito et perché forsa è incorso in alcuna pena arbitraria o de quindici o vinticinque ducati la quale lui in modo nisciuno non po pagare perché non ha bene nullo al mundo et pertanto domanda et supplica questo magnifico conseglio voglia farne di questo gratia ... atteso che nullo effecto né danno ne è sequito et ha patito multo in persona ...”
V’è, poi, la supplica di “Tino de compagno de monte campano” il quale “dice qualmente ali mesi passati inconsideratamente scappanno della carcere del s.or Podestà se fugì, non per fugire, ma per non havere modo de vivere in lì; jtem dice che ali jorni passati fece defesa solum (soltanto) contra li officialj de dannj dati per ritorre un bove, quale li era stato tolto, donne (per cui) per luno et laltro effecto fo preso et carcerato dalla corte del s.or Potestà et per sua pena ha patito assai in carcere, dove è stato vinticinque giornj et ha patito in persona con quattro tracti di corda et in persona anchora di qualche ferita, per lo quale excesso secundo la forma de li statuti verrebbe condennato in ducati vinti o circa, la qual pena è impossibile lui possa pagare immo (neppure) un minimo quatrino perché epso et tucta la sua famiglia va di giorno in giorno mendicanno et no po vivere et il s.or Potestà ce ha remesse le spese per lui adciò non perisse di fame né ha possuto haverne niente per la urgentissima sua paupertà ...”.
Segue, ancora, la supplica di “Pasquale de Juvenale de la cipta de Amelia”, il quale “expone et narra ritrovarsi condennato in contumacia in li libri de li maleficij di epsa cipta in fiorinj cinquanta de oro o circa overo mancho (meno), pigliata la causa (a cagione) che feresse in nel naso et in faccia con sangue Aloisi barberi ... et perché il prefato oratore non nega il prefato maleficio havere commesso, ma expone ad ciò essere divenuto (giunto) provocato, che vedendo in sua presentia il prefato aloisi ferire et jniuriare sanctone de berardo piccio suo cognato carnale li serrebbe stato manchamento et danno non difensarlo (difenderlo) et come ogniuno po considerare et ogni uno farrebbe il simile vedendo bactersi le carni sue, pure si dole se excesso è stato il suo haverlo commesso et expone et narra de ciò havere hauta pace et se lui havesse resposto (si fosse presentato) al processo et confessato come confessa li serrebbe stato admesso il beneficio de la confessione et se havesse producta la pace, similmente il beneficio di epsa jn modo (che) dicta pena se serria riducta ad pocha summa ... et considerate ... le extreme sue fatighe ... patute per questa magnifica communità tanto nel tempo de spagniolj, quanto in altri tempi, in andar in viagi ad milli periculj de la propria vita, jl che anchora serria per (sarebbe disposto a) fare nocte et dì per beneficio di questa cipta et considerata anchora la sua extrema povertà, che modo non ha da vivere se non se exercita con il suo sudore ... li piaccia farli gratia liberale ...”
Il consiglio generale dello stesso giorno impone a Marcello detto Schioppo di pagare cinque ducati; a Mannicello di Pietro, due scudi ed, a Pasquale di Giovenale, 25 carlini; nulla dispone per quanto riguarda Tino di Montecampano, con la curiosa motivazione: “postquam non est condemnatus” poiché non è stato condannato; ... e i tratti di corda se li erano s...cordati?
A proposito di condanne, nello stesso consiglio si tratta di una questione procedurale di estrema gravità: “Tamborinus extat carceratus et confitetur duo homicidia, ne sua teneatur in longum executio et omnium aliorum similia perpetrantium, termini essent abbreviandi” un certo Tamburino sta in carcere, a causa di due omicidi commessi e confessati; si propone di abbreviare i termini dell’esecuzione capitale, tanto di quella sua, che di tutti coloro che commettessero simili delitti. Si approva, rimettendone l’autorità al Podestà, “actenta enormitate delicti”, considerata l’enormintà del crimine. (2011)
24 - Il 24 Febbraio 1539 il Consiglio dei X deve interessarsi di diversi argomenti, fra i quali si citano i seguenti:
“Ad Antianorum aures pervenit qualiter fratres Ecclesie S.ti Augustini ... vendunt bona dicte Ecclesie et Sanctenses retulerint se nihil scire” E’ giunto alle orecchie degli Anziani che i frati della Chiesa di S. Agostino abbiano venduto dei beni della stessa ed i relativi santesi hanno fatto sapere che loro non ne siano stati messi al corrente. Nel maggior consiglio dello stesso giorno, Gerolamo Nacci propone che gli Anziani eleggano quattro “probos et fideliter agentes viros quibus sit cordi dicta bona” degne persone, che agiscano con fedeltà e che abbiano a cuore la sorte dei beni della Chiesa, ed, unitamente ai santesi, si adoperino “in conservando bona et res dicte Ecclesie” per la conservazione dei beni della detta Chiesa e, “si opus et necesse fuerit” se necessario, secondo il loro giudizio, riferire e coinvolgere il Vescovo “et eidem exponere” esponendogli “quod venditionem faciendam de rebus et bonis dicte ecclesie non permictant nec assentiatur nescijs et nolentibus hominibus predictis” che non permettano di fare alcuna vendita dei beni e delle proprietà di detta chiesa, né vi si consenta all’insaputa e senza il benestare dei detti uomini (i santesi); inoltre, che -giusta quanto suggerito in aggiunta da Stefano Boccarini- “eligi et nominari debeant non quatuor sed sex viros qui sint conditionis superius enarrate” debbano venir nominati non quattro, ma sei uomini con le suddette qualità (cioè aventi a cuore la sorte dei beni della detta chiesa). Ma perché ci si sarebbe dovuti fidare del giudizio di sei e non di quattro cittadini?
V’è anche da chiarire la situazione finanziaria di Bernardino di Apollinare, il quale ha presentato ricorso perché “in diversis locis libri speculi” in diversi punti del libro degli specchi (in cui sono annotati i debitori del Comune) risulta indicato come debitore “ac dicentis se versa vice esse creditorem dicti Communis” ed, invece, è lui che deve ricevere dal Comune alcuni denari. Si decide che gli Anziani “eligant duos probos viros” eleggano due revisori “in revidendum computum dicti Bernardinj” che controllino le partite di dare e di avere del detto Bernardini, con l’autorità dello stesso consiglio.
Vi sono, inoltre, da esaminare alcune suppliche presentate da Piacente Vignani di Fornole e da Piero, “vulgo dicto” volgarmente chiamato ‘del Compagno’, il primo dei quali chiede l’esenzione dalle imposte, “quoniam Jo. Baptista eius nepos ex fratre” poiché suo nipote Giovanni Battista, figlio di suo fratello, che viveva e lavorava con lui, è stato arruolato come rematore nelle triremi pontificie, per combattere i turchi, “qua de re dictus supplicans magnam reportavit jacturam” dalla qual cosa il supplicante ha riportato grave danno; invoca, pertato, che gli venga applicato il “beneficium” previsto dalla Città di Amelia “ad triremes” per coloro che sono stati imbarcati sulle triremi. Anche Piero ha un problema simile per il parente Ciuco, “ad triremes profectus in servitium Communis Amerie”, anch’esso arruolato sulle triremi per servizio della Comunità. Si delibera che, in entrambi i casi, gli Anziani convochino le persone a suo tempo elette per scegliere i rematori da arruolare e provvedano, secondo loro giudizio, “exemptionem ... esse facienda” se l’esenzione richiesta sia da concedere. (V. quanto annotato sotto la data del 3 Marzo 1538).
V’è, infine, da esaminare la supplica presentata da “Rocchiettus senensis, pauper et devotus huius alme urbis” Rocchietto senese, povero e devoto a questa alma Città, il quale “humiliter deprecatur se exemptum fieri, attenta eius summa inopia et filiarum gravamine, ac etiam quia semper fidelis extitit erga homines et Civitatem Amerie et multa fecerit in beneficium ipsius” il quale supplica che gli venga accordata l’esenzione dalle imposte, in considerazione della sua massima miseria e del gravame delle sue numerose figlie ed, inoltre, di essersi mostrato sempre devoto verso i concittadini e la Città di Amelia, a beneficio della quale compì numerose azioni. Il maggior consiglio dello stesso giorno “attenta eius egestate et inopia et onere familie jnutilis et filiarum feminei sexus ac etiam fide et integritate quibus usus fuit ac impresentiarum utitur erga nostram Civitatem Amerie” considerando la sua indigenza e povertà, nonché il peso di una famiglia disutile, composta di sole figlie femmine ed anche l’onestà con cui si è sempre comportato e la devozione che tuttora mostra verso la nostra Città, gli venga accordata l’esenzione “per decem annos proxime futuros, jnitiando in Kalendis Martijs annj millesimi quignentesimj un de quadragesimi, videlicet 1539, et deinde ut sequitur feliciter finiendos” per i dieci futuri anni, da iniziare con il 1° Marzo dell’anno 1539 e felicemente proseguendo fino alla scadenza. Da notare la dotta allocuzione “un de quadragesimi” usata per indicare “trentanovesimo”, che il Cancelliere fa seguire, per maggior chiarezza, dalla precisazione: “cioè 1539”. (2012)
24 - Pasquale di Gerardo aveva “malo modo et animo irato” con cattive maniere ed in preda all’ira, preso per il petto prete Pellegrino Pellegrini e questi, il 24 Febbraio 1390, con atto del notaio Paolo Jacobuzzi, presso la Curia, firma con il suo offensore atto di perpetua concordia, premesso “osculo pacis” il bacio della pace. Bell’esempio di cristiana tolleranza! (2014)
24 - Cristoforo Cansacchi e Gianantonio Cerasi, in qualità di sovrastanti alla fabbrica delle mura di Montecampano, per incarico avuto dal Comune, il 24 Febbraio 1497 stipulano il relativo contratto con Mastro Martino Lancia e Mastro Lucano di Lucano, lombardi, i quali si assumono l’incarico di costruire “funditus”, dalle fondamenta, le mura, dalla parte che guarda Montenero e, se necessario, anche da altre parti “et facere merlos ut moris est, ad usum bonorum magistrorum” costruire i merli, com’è d’uso, secondo le regole di competenti maestri. I sovrastanti dovranno fornire il materiale per la costruzione, compresa l’escavazione delle fondazioni, in modo che i mastri Martino e Lucano siano obbligati a mettere la sola manodopera. Il muro dovrà avere lo spessore di due piedi e, dove occorra, anche di più e verrà pagato in ragione di quindici libre di denari per ogni pertica di muro. Quanto ai merli ed agli architravi, la misurazione sarà fatta ‘vuoto per pieno’. Per l’esecuzione dell’opera, si conviene la durata per tutto l’anno 1497. (2015)
25 - L’elezione a rotazione degli Anziani era effettuata mediante l’estrazione dei nomi contenuti nella cassetta del “bussolo”, che veniva conservata nella Chiesa di S. Francesco.
Quando si doveva procedere all’estrazione dei nuovi Anziani, l’incaricato del Comune andava a prelevare la cassetta dalla Chiesa e la portava nel Palazzo anzianale.
Ad elezione avvenuta, lo stesso incaricato doveva riportare la cassetta nella citata Chiesa.
Questo andirivieni avveniva, di norma, ogni due mesi, poiché le magistrature si rinnovavano parzialmente avendo le cariche durata bimestrale.
E’ proprio in considerazione della circostanza che l’addetto al frequente trasporto del bussolo avrebbe consumato notevolmente le calzature in questa prestazione, che il Consiglio Speciale dei X, nella seduta del 25 Febbraio 1425, su proposta di Ser Petrus sr. Stephani, deliberò che ad Angelellus, addetto a tale funzione, venisse riconosciuta un’indennità di “caro-scarpe”, mediante assegnazione di un paio di calzari all’anno, che gli venivano consegnati alla festa di S. Fermina ed avesse anche gli indumenti degli altri ufficiali del Comune e, nell’esercizio delle sue funzioni, andasse “calceatus et sine cappa” (le scarpe sì, ma il mantello con cappuccio no). (1997)
25 - Il 25 Febbraio 1462, "ingenti letitia et campanarum tubarumque sono" fra grande letizia e suono di campane e di trombe, venne in Amelia, trasportata sopra un carro tirato da 15 paia di buoi, quale omaggio fatto alla Città dal papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini) e destinata alla lotta contro i Chiaravallesi, "balistra seu bombarda que Victoria appellatur" una bombarda dal beneaugurante nome di Vittoria, lunga 12 palmi e del peso di 15.000 libbre, atta a scagliare pietre del peso di 225 libbre. Sul fusto,recava incisi anche i seguenti due distici, facenti un chiaro riferimento al papa Pio II:
"Este pio faciles ne seviat ira tonantis
Atque locum terris substinet ille Jovis
Discite jam tumidi confidere turribus altis
Ecce catenati subdite colla jugo".
Eccone una libera traduzione:
"Siate fedeli a Pio; ché l'ira sua tonante
non scateni: egli in terra ha lo spazio di Giove.
Fidate, pure, o alteri, nelle elevate torri:
in catene, or dovrete piegare il collo al giogo".
(2001)
25 - Nelle riformanze del Comune, sotto la data del 25 Febbraio 1576, è stata riportata e trascritta la seguente supplica:
"Molto magnifici Signori e generoso Consiglio. Sono otto Zitelle oratrici de questa Città, che sono state inspirate molti dì sono dal Spirito Santo de dare principio alla creattione de un novo monasterio de moniche sotto il nome et advocata loro de Santa Chiara con l'habito biscio vivere alla Cappuccina, le quali hanno già del luogo e sito da reservarsi vivere in Comunità et de loro fatighe et caso che le fatighe non bastassero al vitto loro s'obbligano le compagnie de Cristo della misericordia de San Hieronimo e de San Bastiano. Il luogo del detto monasterio sarà la casa de S.r Fatio dove sono stantie buone et capaci per questo principio con commodità d'acqua e scoperto et luogo commodo. Nel quale Monasterio vogliano ancho possano entrare tutte l'altre Zitelle che dalla communità saranno approbbate de buoni costumi, et vita essemplare danno però la medesima elemosina che daranno adesso le dette Zitelle per comprare et ampliare detto luogo, offerenno stare sotto la protettione, et capitulatione d'essa communità per manutentione del monasterio et salute de l'anime loro, et perché questa santa opera giusta et pia non se po mettere in essecutione se la Magnifica Communità non ce interpone l'agiuto et favore suo, con quello de Mons. Vescovo, humilmente supplicano nelle viscere de Jhesu Christo in questa opera caritativa vogliano fare ogni sforzo con ogni loro potere appresso S. S.tà de havere licentia della erettione del detto monasterio, che altro sussidio che questo da detta M.ca Communità non recerchano." etc.
Malgrado detta supplica abbia avuto esito favorevole, non risulta che in Amelia sia mai sorto un "Munasterio 'e Santa Chiara". (2004)
25 - Nel Consiglio dei Dieci del 25 Febbraio 1576 si tratta della controversia esistente fra i religiosi di S. Agostino ed il Vescovo, circa "il governo" delle monache di S. Monaca, che i primi reclamano di loro spettanza, mentre il Vescovo vorrebbe riservare loro la sola amministrazione dei sacramenti, senza alcuna ingerenza in altre questioni, come la trattazione di negozi, l'elezione delle abadesse ed altro, che il Vescovo vorrebbe riservate a sé ed al suo Vicario.
Ma i padri di S. Agostino non sono dello stesso avviso: essi, piuttosto, "si contentaranno che 'l governo tutto tanto temporale, come spirituale sia del Vescovo".
O servizio completo, o niente! (2005)
25 - Il problema delle fonti energetiche alternative agitò anche le menti dei nostri antenati, come può dedursi da quanto formò oggetto di discussione nel consiglio speciale del 25 Febbraio 1508, nel quale "super bono publico", cioè, nell'interesse dell'intera comunità, il consigliere Domizio Manni propose "quod Magnifici Domini Antiani eligant quatuor cives et duos magistros lignarios qui intelligant modum construendi centimina sive molendina ad ventum" che gli Anziani eleggano quattro cittadini e due mastri falegnami che studino il sistema migliore di costruire centimbali, ossia mulini a vento. Evidentemente, i nostri solerti amministratori di allora si erano accorti che far girare i mulini dai cavalli veniva a costare molto di più. Il "vir prudens et gravis" Domizio Manni propose, altresì, che gli eletti "capitula faciant cum illo magistro et priusquam ad conclusionem deveniatur referatur in consilio generali" stipulino congrui patti con il prescelto artefice e, prima di prendere una decisione, se ne riferisca nel consiglio generale. La proposta del Manni viene approvata a grande maggioranza, malgrado due voti contrari: in ogni epoca sono esistiti gli oppositori al progresso!
A notizia, si riferisce che gli Anziani, con l'autorità loro conferita dal consiglio generale "circa molendinum ad ventum construendum" circa la costruzione di un mulino a vento, elessero i cittadini Domizio Manni, Lodovico Sabini, Pierfrancesco Alberti ed Angelantonio Geraldini e i due artigiani falegnami Mastro Stefano e Mastro Annechino.
Non sappiamo se e dove la costruzione -o le costruzioni- siano poi state realizzate, ma dobbiamo dare atto che i nostri Padri abbiano almeno tentato di risolvere tale problema, giunto ai giorni nostri con drammatica urgenza. (2006)
25 - Sotto la data del 25 Febbraio 1465, a mezzo del notaio romano delegato, si certifica “qualiter Bartholus Vannutji et Petrus Paulus Johannis Ser Lelli de Amelia pro Magnifica comunitate Amelie interfuerunt et se representaverunt coram Illustri Domino Senatori et Magnificis dominis Conservatoribus” come Bartolo Vannuzzi e Pierpaolo di Giovanni di Ser Lello di Amelia, in rappresentanza della Magnifica comunità di Amelia, intervennero e si esibirono dinanzi l’Illustre Senatore ed i Magifici Signori Conservatori “pro faciendo ludum prout est de more et secundum quod tenetur dicta comunitas Amelie” per l’eseuzione del gioco (del Testaccio), com’è consuetudine e secondo quanto la detta comunità risulta obbligata a fare “Et hoc ante palatium et scalis Capitolij more solito et in alijs locis prout fuit oportunum et consuetum” E questo avvenne danazi al palazzo e le scale del Campidoglio secondo il solito ed anche in altri luoghi, come si giudicò opportuno.
Pierpaolo di Giovanni, “alias Lacriccha”, detto la Cricca, tornato da Roma, il 28 succesivo esibisce agli Anziani la certificazione come sopra rilasciatagli, a comprova dell’eseguito “ludum testaciorum presentis Annj 1465”. (2009)
25 - Il 25 Febbraio 1435 vennero approvati i capitoli con i quali i Pennesi concessero la Signoria del castello e della rocca alla Comunità di Amelia. La loro formulazione è la seguente:
“Coadunato et congregato la università de tucti li massarj dela penna nela chiesia de Sancta maria desso castello de volunta dessi massarj senza niuna contraditione de alcuna persona donno et concedono el castello dela penna cun la Rocha in mano del commune de Amelia cum omne jurisdictione et actione dessa Rocha. Et li massari dela penna ademandano al commune de Amelia certe cose subscripte che sieno a loro observate et mantenute per lo decto commune.
“Jn prima ademandamo et volemo secondo è stato per lo passato sia mantenuto per lavenire, cioe le mura et le forteze desso castello et Rocha dela penna per lo commune de Amelia ad tucte sue spese. Hoc concessum fuit sic vodelicet quod commune Amelie det quolibet anno massarijs penne unam salmam granj pro impensa solita in reparationem murorum, aut muretur aut non et magistris muratoribus solvatur expensis dicti communis Amelie sine alijs expensis manualum” (nel testo definitivo in volgare: “Questo fo conceduto cussì cioè che lo commune de Amelia dia omne anno alimassari dela penna una soma de grano per laspesa usata de fare per reparatione dele mura, o che se muri o che no, et alimagistri muratori sepaghi alespese del dicto commune de Amelia senza altra spesa de manuali”).
“Jtem volemo che tre opere che danno lanno per ciascheduna casa sia observato a noj opera una. Concessum fuit quod massarij penne hoc anno haberent et colant omnes vineas dicte Roche eorum expensis et fructus totus sit Roche. Et abinde imposterum dent anno quolibet unam operam pro qualibet casa sine expensa Roche” (testo def. : “Fo conceduto che li massari dela penna debiano lavorare et cultivare questo anno tucte levigne dela dicta Rocha ad loro spese et tucto el fructo sia de essa Rocha. Et da questo anno impoi debiano dare una opera omne anno per ciascuna casa senza spesa niuna dela Rocha”).
“Jtem lipollastri che sedanno ala corte del mese de Agosto et bon. iiij. per ciascuna casa che sedonno ala corte de Natale sia cassato via. Concessum fuit, cum hoc quod similiter sublate sint expense quas Rocha deberet facere dictis massarijs, preter impensam que fit in festo nativitatis quod tunc commune Amelie solvat anno quolibet pro dicta expensa libras novem den.” (testo def. : “E’ conceduto cun questo che similmente sieno tolte via le spese lequale devesse fare la Rocha al dicti massari, salvo la spesa che se fa nela festa de natale, che allora el commune de Amelia paghi omne anno per la dicta spesa nove libre de danarj”).
“Jtem volemo che dele cose a nui necessarie per vivere sieno a nuj libere leporte de Amelia de mectere et trare. Concessum extitit, quod tantummodo sint libere de biado et rebus delatis et missis per ipsos massarios in dictam Civitatem Amelie, preter res mercantiarum. Et ultra hoc extrahere possint de dicta Civitate sine gabella calciamenta, ferramenta, vasa terrea et urcios pro usu dumtxat ipsorum” (testo def. : “E’ conceduto cussi che solamente sieno libere de biado et cose che per essi massari se mectesse in Amelia, salvo cose de mercatantia. Et ultra ad questo che possano trare dala dicta Cipta damelia senza niuna gabella calsamenta, ferramenti, vasa de terra et orciola solamente per loro usu”).
“Jtem volemo como è stato per lopassato sia per lavenire essere laporta dela penna a nuj libera de mectere et trare laroba nostra, excepto non fosse cose de mercantia. Concessum fuit, cum hoc quod nullus civis Ameliensis neque comitatinus neque comedatus seu adherens possit tenere in castello penne aliquod genus bladi a Sancta maria de mense Augusti inposterum et in ipsum tempus non possit de ipso castello extrahi causa alio conducendj quam Amelia, ad penam contentam vel continenda in reformatione communis Amelie. Et quod gabelletur totidem prout aliud bladum civitatis et comitatus Amelie” (testo def. : “E’ conceduto, ma cun questo cioe che nullo ciptadino de Amelia ne contadino ne recommandato o adherente possa tenere nel castello della penna alcuna generatione de biado da Sancta maria de Augusto impoi, et infra eldicto tempo non sepossa trare del dicto castello per conducerlo ad altro loco salvo che ad Amelia, ad la pena che se contene o conterrà nela reformanza del commune de Amelia, et che se debia gabellare lì per lo castellano o per chi piacesse ali S.ri Antianj como laltro biado dela cipta et contado de Amelia”).
“Jtem domandamo che lelena (le legna) che serecano eldì dela domenica per la Rocha sia irritato et cassato. Quod massarij dicti castri penne teneantur et debeant bis anno quolibet videlicet uno die de mense Martij et uno de mense Septembris facere et portare ad dictam Rocham cum omnibus eorum bestijs a salma tot ligna quot dictis diebus dicte bestie deferre possint. Et quod Castellanus expendat pro dictis massarijs conducentibus dicta ligna quolibet dictorum dierum medium ducatum aurj expensis communis Amelie” (testo def. : “Fo conceduto che li massari dela penna siano tenuti et debiano duj volte lanno, cioe uno dì del mese de Marzo et uno dì del mese de Septembre fare et portare ad la dicta Rocha cum tucte loro bestie da soma tante lena quante eldictj duj dì le dicte loro bestie possono portare. Et che lo castellano despenda ali dicti massarj che conduceranno et faranno le dicte lena ciascuno del dicti dì mezo ducato doro ad le spese del commune de Amelia”.
“Jtem volemo che quello è stato perlo passato sia molto più observato per lavenire, cioe de non pagare subsidio, overo altro scuffio per la chiesia de Roma, o de suo legato o messo dela seda (sic) apostolica, ne etiam altra gravecza posta per lo commune damelia. Domini Antianj populi et Commune Civitatis Amelie conabuntur pro posse quod ita observetur” (testo def. : “El signori Antiani del popolo et Commune dela decta Ciptà damelia se sforzerando pro posse che cussì se observi”.
“Jtem domandamo del terratico che recogliera la Rocha dela penna some .xij. de grano ala mesura nostra elquale fo prestato alcastellano passato per governo dela rocha. Hoc remaneat Consilio generali dicti communis Amelie, dum bladum extiterit recollectum dicte Roche”. (testo def. : “Questo remanga al consiglio generale del dicto commune de Amelia, quando el biado de la dicta Rocha sira recolto”).
“Jtem domandamo una represaglia essere a nuj concessa dal commune de Amelia infra nuj et li Jovisi, per cascione de bestie tolte a nuj in tempo de pace che el decto commune sia tenuto favoriare nostre rascionj. Supsedeatur quo usque commune Amelie erit de rei veritate plenarie informatum”. (testo def. : “Supersegase (si soprassieda) in questo fine ad tanto che el commune de Amelia sira pienamente informato dela verita”).
“Jtem domandamo che niuna persona foristiera cum suo (sic) bestie possa venire ad pasculare nel tenimento dela penna senza volunta et consentimento del castellano dela Rocha et massari dela penna. Hoc remaneat et sit in arbitrio castellanj dicte Roche”. (testo def. : “Questo remanga et sia in arbitrio del Castellano dela dicta Rocha”).
“Jtem domandamo como e suto (stato) per lo passato sia per lo advenire che niuno massaro de la penna lavorando cum suo bestie nel tenimento de Amelia sia tenuto ad pagare gabella per niuno tempo. Concessum fuit iuxta consuetudinem hactenus usitatam et ordinem gabellarum dicti communis Amelie”. (testo def. : “E’ conceduto questo secundo la consuetudine et ordine dele gabelle del dicto commune de Amelia”).
“Jtem volemo che per tempo de guerra o de suspitione che venendo li massarj dela penna cum loro bestie nel tenimento de Amelia non sieno tenuti ad niuna gabella. Concessum fuit et observari permissum a mense Julij proximi futurj imposterum. Cum dicto durate tempori gabella vendita est”. (testo def. : “Questo è conceduto et observarase dal mese de Luglio proximo davenire impoi, purche durante el dicto tempo la gabella è venduta”).
“Petierunt preterea dicti massarij penne quod ipsi possint eligere castellanum ex Civibus Ameliensibus quem voluerint dicte Roche penne. Et sic concessum fuit prout hec et alia quedam capitula huiusmodi extant inferius adnotata ad fol. 57” (testo def. : “Item domandamo che li massarj de la penna possano elegere el castellano dela dicta Rocha uno deli ciptadinj de Amelia qualunqua vogliono et quello li S. Antianj cedebiano mandare. Questo è conceduto como se domanda”).
Aggiunte al testo definitivo:
“Item che in dì de carlevare (carnevale) el commune de Amelia despenda per uno caprecto ali dicti massari per la festa usata bon. .XVI. Questo anche è conceduto”.
“Item promectono li dicti massari et università dela penna ali S. Antianj et commune dela cipta de Amelia de avere et tenere li amici de la dicta cipta per amici, et inimici per inimici, et fare contra ipsi inimici et per ipsi amici quanto li fosse comandato per li S. Antianj dela dicta cipta et ire in hoste et cavalcate ad omne loro requisitione”.
“Item danno et concedono al dicto commune de Amelia omne jurisdictione che la dicta Rocha havesse havuto per alcuno tempo et che fosse stato per lo passato che la possa reacquistare et maxime el forno dentro et da fore dela dicta Rocha. Questo simelmente è acceptato”.
“Et li Signori Antianj et Commune dela dicta cipta degano adiutare et favoriare lidicti massari como loro ciptadini et defendere el dicto castello et Rocha dela penna como la dicta cipta et essi massari jurando Fedilta al dicto commune in mano del castellano dela dicta Rocha o de chi piacesse ali S. Antianj. Cussi è promesso de observare”. (2010)
25 - Nel consiglio generale del 25 Febbraio 1470 si decide in merito a diversi argomenti presentati nel consiglio decemvirale del giorno prima, 24. “Cum ad notitiam dominorum Antianorum pervenerit quod sunt aliqui sclavi habitantes in Civitate Amelie qui obtulerunt velle ire in Marchiam et secum conducere certas familias sclavas” E’ giunta notizia agli Anziani che alcuni schiavoni abitanti in Amelia hanno espresso la volontà di andare nelle Marche per ricondurre seco le proprie famiglie “ad abitandum et standum in dicta Civitate Amelie, dummodo ipsi habeant pro eorum expensis ducatum unum pro quolibet et alium ducatum pro qualibet familia veniente ad hanc Civitatem” per abitare e risiedere in Amelia, purché possano avere, per far fronte alle spese di viaggio, un ducato ciascuno ed un altro ducato per ogni famiglia, per le prime necessità di vitto ed insediamento. Si concede quanto richiesto, stimando che tale immigrazione sia conveniente “pro comoditate et utilitate” per vantaggio ed utilità della Comunità di Amelia.
Nel medesimo consiglio decemvirale erano state presentate anche alcune suppliche.
Una, esibita “per parte dela infelice misera et povera persona dompna Berardina moglie che fo de Jacovo de minichelle, laquale dice essere storpiata de una mano per modo che non cepo fare cosa alcuna et del dicto Jacovo suo marito lisia remasto uno figlio maschio deduj annj et non habbia elmodo depoterse governare Et decontinuo sia agravata dalioffitiali de questa Cità deledative (che) lisseimpongono et non habbia modo poterle pagare et per volerse governare lei coldicto suo figliolo lie (le è) necessario mendicare; per laquale cosa serecomanda ale V. Magnifiche S. alequali lipiaccia remecterli tucte graveze imposte fine nel presente dì et per loavenire farla exente de mezo focho per xv annj proximi davenire fine atanto che ludicto suo figliolo serà de età che porrà guadagnare qualche cosa. Et questo quantunque sia iusto et rasione et (da) le V. M. S. sempre sia stato usato farle alealtre vidue et povere persone, niente demino loreceverà dale V. M. S. adgratia singulare, le quali dio conserve infelice et prospero stato”.
Altra supplica era stata presentata “per parte delvostro fideliximo servitore et poverissima persona Musorgno vostro balivo” che “expone et narra che ipso habbia tucto eltempo delasua vita astare aliservitij delacommunità damelia, offerendo fidelmente servire. Et perché è povero homo et habbia una grande fameglia et desutele et non habbia elmodo degovernarla senza lavostra misericordia, demanda ale V. M. S. et consiglio predicto esserli casse certe date vecchie che ha incomuno, et perloavenire farlo exente dequelle (che) seimporrà incomuno, finché serà aliservitij deisso communo”.
Il maggior consiglio del 25 concede ad entrambi i supplicanti quanto da essi richiesto. (2011)
25 - Dovendosi provvedere all’appalto annuale della gabella del macello, il 25 Febbraio 1540 Marco Cascioli si offre di assumerla a proprio carico, ai patti da lui formulati, dei quali si riportano i seguenti:
“In prima se offerisce per me Mario Casciolo pagare per uno anno per la gabella cento cinquanta ducati.
“Jtem macellare castrati nostrati (nostrani) in Borgo, boni et recipienti, incomenzando a sancto Joanni per tutto carnevale a sei quatrini la libra et da san Joanni in poi non voglio poter (dover) vendere altre carne pecorine.
“Jtem (per) tutte le bestie (che) haverò per uso del macello non voglio essere tenuto a gabella nisciuna, né a pena, ma solo alla emendatione del danno ...
“Jtem voglio comenzare lo sabbato a mezzo dì, insino al jovedì, a vespero, excepto le feste ... et reservato quando vado a magnare, et mancando voglio cascare in pena de doi julij il dì, et non se intenda li tre dì di Carnevale, ne li quali me obligo ce sia della carne.
“Jtem (per) tutte le altre conditioni mi rimetto alli capitoli de Scardaffa”.
Laurelio Laureli, uno degli otto cittadini eletti per vagliare le offerte sull’appalto del macello -che il Cancelliere chiama “vir prudens et ultimae senectutis”, non certo nel senso di vecchio cadente, ma di uomo di grande saggezza- propone che al Cascioli venga assegnata la relativa gabella, “tamquam melius offerenti et meliorem facienti conditiones Communis, cum pactis et capitulis ab eo productis” quale persona che ha presentato la migliore offerta e le condizioni più vantaggiose per la Comunità, con tutti i patti da lui predisposti e presentati.
A notizia, si riporta che nuovi capitoli del macello vengono formulati e stipulati, a circa dodici anni di distanza (il 24 Aprile 1552). nei confronti di Giulio di Andrea di Amelia e di suo fratello Schioppo. La differenza più rimarchevole fra i due appalti può individuarsi nel prezzo di vendita al pubblico dei castrati, aumentato da sei ad otto quattrini la libbra: l’inflazione non ha conosciuto soste in nessun momento storico!
Nove anni dopo, il 25 Febbraio 1549, gli Anziani, per autorità loro conferita dal consiglio generale, “locaverunt portam pisciolinam ac eiusdem curam commiserunt conceptio et Galasso eius fratri consobrino de Ameria presentibus condicentibus stipulantibus et recipientibus pro se ipsis ac eorum heredibus” locarono (cioè diedero in custodia) la porta Busolina (oggi “Romana”) a Concetto ed a Galasso suo cugino (da parte di madre), presenti ed accettanti per sé e loro eredi, “pro uno anno proximo futuro incohando Kalendis Martij et ut sequitur finiendo” per un anno, ad iniziare dal prossimo primo Marzo e proseguendo ininterrottamente, “cum salario quinque carlenorum pro quolibet mense” con il salario di cinque carlini al mese “et hoc fecerunt dicti Domini Antiani quia prefati conceptus et Galassus promiserunt et sollemni stipulatione convenerunt dictis Dominis Antianis et mihi Tranquillo notario et cancellario” e i detti Anziani hanno proceduto a quanto sopra poiché i citati Concetto e Galasso hanno stipulato in forma solenne e promesso agli stessi Anziani ed al notaio e cancellere rogante Tranquillo “dictam portam claudere de nocte ad tertiam horam noctis illamque aperire toties quoties opus fuerit” di chiudere la suddetta porta dopo l’ora terza, di tenerla chiusa durante lla notte e di aprirla ogni volta che sarà necessario “et si in predictis fuerint negligentes, cadant jn penam perditionis salarij unius mensis” e se saranno negligenti nello svolgere detto incarico, perderanno un mese di salario.
Il successivo giorno 26 si stipula una simile convenzione per “portam Leonis”, che viene affidata a Mastro Morello di Vico di Amelia “de qua promisit curam gratis illamque claudere et aperire temporibus et horis congruis et debitis” della quale promette assumere la custodia gratuitamente, chiudendola ed aprendola nei tempi ed alle ore convenuti.
Segue l’affidamento della Porta della Valle a Luciano di Alvaro, “cum pacto quod dictus Lucianus loco mercedis salarij deleatur de libro dativarum” con il patto che, in luogo del salario, come corrispettivo venga cancellato dal libro delle imposte, nel quale doveva essere stato segnato per qualche debito pregresso.
Infine, il successivo giorno 28 viene stipulato anche l’atto di affidamento della porta di Posterola a Riccio di Cinello di Amelia, il quale, come Mastro Morello, promette “gerere curam dicte porte gratis” di assumersi la cura della stessa senza pretendere alcun corrispettivo. Ma che cittadini esemplari! (2012)
25 - Il 25 Febbraio 1393 viene letta in consiglio una lettera inviata da Narni il 22 precedente dal Cardinale legato della Sede Apostolica, sotto il titolo di San Martino ai Monti, a tutte le terre alla stessa soggette, con la quale intima, sotto pena della scomunica, dell’interdetto e di 500 fiorini, da applicarsi alla Camera Apostolica (“sub excomunicationis, interdicti ac quingentorum florenorum auri camere Romane ecclesie applicandorum”) “si nostri mandati fueritis contemptores” in caso di inosservanza, affinché il successivo primo marzo vengano inviati ambasciatori a Terni, per trattare circa la conservazione della pace e del mantenimento, nel futuro, di un pacifico e salutare modo di vivere (“pacem et vivendi modum salutifere pro futuro”). I destinatari di tale perentorio invito, oltre ad Amelia, sono i Castelli di Porchiano e Lugnano, Tommaso di Alviano, i Castelli di Penna, Giove e Foce, la Terra di Sangemini e le Terre Arnolfe. Per Amelia, gli Anziani nominano Nicolò Jacobuzi Tonti. (2014)
25 - Il Rev. Nicolò Franchi, Priore della Chiesa di S. Fermina, il 25 Febbraio 1557, con atto rogato dal notaio Fazio Piccioli, concede in affitto due appezzamenti di terreno del Priorato, uno in contrada il Lago, l’altro nella stessa contrada, al di sopra del fosso (Fosso Grande?), “iuxta viam” a confine con la strada; per la durata di tre anni e contro corresponsione di tre salme di grano e due di paglia all’anno. L’affittuario dovrà coltivare a regola d’arte e non tocchi gli alberi “sine licentia ipsius Prioris vel successoris” senza licenza dello stesso Priore o del suo successore. (2014)
26 - Il 26 Febbraio 1472 Ser Andrea Petri e Ser Nicola Narducci di Amelia, Commissari deputati dagli Anziani, riferirono di aver, “ad instantiam communis Amelie” su richiesta del Comune, consegnato “octo salmatas terre ... R. patri et d.no Rugerio episcopo Ameliensi” otto salmate di terra al Vescovo Ruggero di Amelia, secondo quanto contenuto e convenuto nell’atto scritto e pubblicato “manu Ser Antonij de Penna, olim et nunc Cancellarium dicti communis” per mano del Cancelliere comunale Ser Antonio di Penna e secondo “commissionem eis factam euntes et redeuntes” l’incarico da essi avuto ed essere andati e ritornati. Relazionarono, cioè, “se ivisse una cum Mario Angeli Simoncelli mensuratore communis et prefato d.no Episcopo” di essere andati insieme a Mario di Angelo Simoncelli agrimensore comunale e allo stesso vescovo, accettante quale titolare e rappresentante dell’Episcopio e di aver allo stesso fatto consegna “duas petias terrarum quarum una posita est in tenimento Amelie in contrata sancti Focetuli in vocabulo Sancte Firmine juxta rem heredum Bartoli Juvenalis de Lacuscello et viam communis a tribus et alia lata” di due appezzamenti di terra, dei quali uno sito in territorio di Amelia, in contrada Sambucetole, al vocabolo S. Fermina, confinante con i beni degli eredi di Bartolo Giovenali di Lagoscello e con via pubblica dagli altri lati, dell’estensione di “tinate sex quartate due” sei tinate e due quartate, “alia vero sita in dicto tenimento et contrata ac Voc. Vallis S.te Firmine juxta res communis Amelie, res heredum Ser Jacobo Ser Arcangeli viam et fossatum”, l’altro sito in detti territorio e contrada al Vocabolo Valle di S. Fermina, confinante con beni comunali, proprietà degli eredi di Ser Giacomo di Ser Arcangelo, strada e fosso, esteso “tinate novem et quartate due, jure tamen semper salvo” nove tinate e due quartate, salvo, comunque, ogni miglior diritto (e misura).
La materiale consegna avveniva con una singolare procedura: “consignando et porrigendo de glebis et ramusculis existentibus in dictis petijs terrarum” con la consegna manuale di zolle di terra e rami raccolti negli stessi appezzamenti.
Lo stesso giorno, i medesimi Commissari, avvalendosi dell’opera dell’agrimensore comunale Arcangelo Casini di Amelia, fecero consegna “spectabili et strenuo Equiti d. Nicolao Coclidi de Peloponiso” all’egregio cavaliere Nicolò Cocle greco del Peloponneso, presente ed accettante per sé, eredi e successori “decem somatas terre in Vallibus in quatuor locis seu vocabulis” dieci somate di terra nelle Valli, divisi in quattro appezzamenti e precisamente: uno a Sambucetole, al Vocabolo Colle di S.Cristoforo, attualmente lavorato da Salvato Giuliani di Amelia, a confine con beni di Matteo di Giacomo di Pietro, eredi di Nicolò di Marco e proprietà comunale, esteso quattro tinate e due quartate; un altro, sito ove sopra, presso la Valle del Tuono, a confine con beni di Giovanni Crispoldi, di Matteo di Giacomo di Pietro, beni degli eredi di Mannuccio Picchiarelli e beni della Chiesa di S. Cristoforo e strada, esteso quattro tinate e due quartate; un altro sito ove sopra, al Voc. Valle del Pisciarello, a confine con beni di Giovanni Crispoldi, eredi di Francesco Cristofori detto Lagacciula e strada, esteso quattro tinate ed una quartata; infine, altro terreno ove sopra, al vocabolo Colle di Casa verso la fonte Mansi (?), a confine con beni comunali, Manno di Giorgio Bianconi di Lagoscello, Luca Venture e via pubblica, esteso sei tinate e quartate tre.
In riferimento all’assegnazione di terra come sopra fatta dal Comune di Amelia a favore di Nicolò Cocle, può rilevarsi che essa faceva parte del compenso a lui riconosciuto per aver condotto alcune famiglie di greco-albanesi ad insediarsi nel castello di Sambucetole. Questo “scafista” ante litteram si comportò, sul finire del medioevo, assai più degnamente degli attuali suoi colleghi, avendo garantito a povere famiglie di emigranti, fuggite davanti all’invasione turca seguita alla caduta di Costantinopoli nel 1453, una nuova patria e terra da coltivare, che potesse assicurare loro una vita degna di esseri umani. (2008)
26 - Dopo che il pubblico banditore Vizola ebbe bandito (“preconizet alta voce”) che “quicumque vult emere ludum testaciorum” gl’intenzionati all’appalto del gioco del Testaccio, si fossero recati dinanzi agli Anziani per effettuare la loro offerta, la gara ebbe luogo il 26 Febbraio 1397, nel modo che segue:
“Comparuit ... Johannes Petrocchoni de Amelia et obtulit se velle ire ad Urbem ad ludum testaciorum faciendum pro quantitate decem florenorum auri” Comparve ... Giovanni Petrocconi di Amelia ed offrì di recarsi a Roma a fare il gioco del Testaccio per dieci fiorini d’oro.
“Valecte (sic) de fraternita similiter comparuit ... et obtulit se velle ire Romam ad dictum ludum faciendum pro quantitate novem florenorum” Valente di Fraternita similmente comparve ... e si offrì di andare a Roma a fare detto gioco per nove fiorini.
“Frater Ambrosius de Amelia obtulit se velle accedere ad dictum ludum faciendum pro quantitate viij forenorum” Frate Ambrogio di Amelia offrì di andare a fare detto gioco per otto fiorini.
“Johannes Petrocchoni predictus ... obtulit se velle ire ad dictum ludum faciendum per vij florenos” Detto Giovanni Petrocconi offrì di andare a fare detto gioco per sette fiorini.
“Frater Ambroxius antefatus iterum ... obtulit se velle accedere Urbem ad dictum ludum faciendum pro quantitate sex florenorum monete” Il precitato Frate Ambrogio di nuovo ... offrì di voler andare a Roma a fare detto gioco per sei fiorini di moneta.
Gli Anziani, a questo punto, “videntes et inspicientes quod nullus offerebat se velle romam accedere pro minori quantitate quam dictus frater Ambrosius, factis primo de dicto ludo .v. bandimentis ... et nullus comparebat” dopo aver constatato che, dopo ben cinque bandimenti, nessuno comparve ad offrire di andare a Roma per meno di quanto aveva offerto frate Ambrogio, “de eorum communi concordia et voluntate (de)liberaverunt et concesserunt dicto fratri Ambrosio presenti et recipienti dictum ludum testaciorum pro quantitate sex florenorum monete currentis in Civitate Amelie” unanimemente deliberarono e concessero a detto frate Ambrogio, presente ed accettante, (di fare) il detto gioco del Testaccio per sei fiorini di moneta corrente nella Città di Amelia. (2009)
26 - Il 26 Febbraio 1502 viene convocata l’assemblea generale dei cittadini (cerna) “ad sonum campane ut mos est in aula magna palatij antianalis” al suono delle campane -com’è consuetudine- nella sala maggiore (“magna”) del palazzo anzianale, per trattare di un tragico fatto di sangue: “nocte preterita interemptus extitisset Johannes Gentilis patrie proditor ut ubique fama est, furore populi amerini” la scorsa notte sarebbe stato ucciso, a furor di popolo, Giovanni Gentile, traditore della patria, secondo quanto è universalmente noto. La convocazione della cerna ha il dichiarato scopo di provvedere “ad bonum quietum pacificum statum ecclesiasticum et huius jnclite Civitatis manutenimentum et conservationem” al mantenimento ed alla conservazione dello stato pacifico della Chiesa e di questa inclita Città “omni post habita passione” dopo lo scatenamento delle passioni. Il podestà chiede “sanum et utilem consilium reddi ab astantibus” che, dai numerosi presenti, possa venir formulato un salutare ed utile suggerimento. Angelo Antonio Geraldini, uno degli Anziani, dichiara che “omnes consanguinei et affines dicti Johannis tamquam optimi cives et patrie amatores bonique publici tamquam jnnoxij et insomptes ab huiusmodi crimine non intendunt quoquo modo dicti Johannis ultores esse” tutti i parenti dell’ucciso Giovanni, quali ottimi cttadini e amanti della patria e del bene pubblico e del tutto innocenti ed estranei al delitto commesso dal medesimo, non intendono in alcun modo prenderne vendetta, “sed cum omnibus optimam et perpetuam pacem conficere pro conservatione nostri pacifici status” ma stringere ottima e duratura pace per la conservazione del comune stato di tranquillità e sicurezza. Altro oratore, Ser Raniero di Gerolamo, afferma che “semper Johannis Gentilis homo seditiosus fuit eiusque gesta et opera in unaquaque actione mala et prava extitit” Giovanni Gentile fu sempre uomo turbolento e ogni sua azione si rivelò ogni volta spregevole e malvagia “et nunc pernitie patrie inferre tentabat” ed ora stava tramando per la rovina della patria e, pertanto “non esse dolendum illius morte sed omnibus potius letandum” non ci si debba dolere per la sua morte, ma piuttosto vi sia da rallegrarsene. Prosegue auspicando che, “pro bono communi” per il bene della Comunità, fra i parenti dell’ucciso, fra cui Giuliano Gentile, suo fratello ed anch’egli presente e un certo Giovannone che, con alcuni suoi compagni, aveva forse inferto a Giovanni il colpo mortale, si stipuli un contratto di pacificazione generale. Altri oratori confermano che Giovanni fu sempre uomo di pessima natura e che la sua scomparsa abbia recato un vantaggio per il bene pubblico e che coloro che ne provocarono la morte debbano considerarsi addirittura “tamquam benemerentibus” come benemeriti. Anche lo stesso fratello dell’ucciso, Giuliano, si pronuncia dicendo che “bene ac merito publico interemptum pro bono communi Joannem eius germanum ob patrie proditionem quam machinabatur” che a buon diritto suo fratello Giovanni venne ucciso, in quanto stava macchinando un tradimento contro la partria “hancque fuisse penam tantorum scelerum per ipsum commissorum” e che questa -cioè la morte- doveva essere la pena per i tanti delitti di cui si era macchiato. Conclude dicendo “et sic fieret libentissimo animo pacem cum Joannono et sotiis” di essere assai ben disposto a firmare l’ atto di pacificazione con Giovannone e compagni, che viene immediatamente redatto e stipulato seduta stante.
Ma che personcina a modo doveva essere quel Giovanni Gentile! (2010)
26 - Il 26 Febbraio 1528 la riunione consiliare deve interessarsi con priorità di un grave problema di sicurezza ed, allo stesso tempo, di carattere demografico:
“Castrum Montis campani castrum Fornulj et castrum colcellj sunt castra quasi penitus derelicta” i castelli di Montecampano, Fornole e Collicello sono quasi del tutto abbandonati. “Homines enim dictorum castrorum non audent jntus in eis habitare ob metum et jncursionem jnimicorum. Videatur quid agendum” infatti, gli uomini dei detti Castelli non si fidano di restare ad abitare in essi, per timore delle genti nemiche, che possano farvi irruzione. Ci si chiede cosa fare. Il caso è assai grave. Il consigliere Laurelio Laureli “vir perspicuus” -uomo sagace-, dopo aver debitamente invocato l’ausilio divino (“jnvocato divino numine prius”), propone “quod duo pro qualibet banderata conferant se armati in castrum Fornulj, montis campani et colcellj ad defensionem hominum dictorum castrorum” che due uomini di ciascuna banderata cittadina si rechino, con le armi, nei Castelli di Fornole, Montecampano e Collicello, a difesa degli abitanti dei detti castelli “videlicet quindecim homines in quolibet castro cum hominibus dictorun castrorum” ed, in particolare, quindici uomini per ciascun castello, agendo insieme ai rispettivi abitanti ed in loro aiuto.Il 26 Febbraio 1528 la riunione consiliare deve interessarsi con priorità di un grave problema di sicurezza ed, allo stesso tempo, di carattere demografico:
“Castrum Montis campani castrum Fornulj et castrum colcellj sunt castra quasi penitus derelicta” i castelli di Montecampano, Fornole e Collicello sono quasi del tutto abbandonati. “Homines enim dictorum castrorum non audent jntus in eis habitare ob metum et jncursionem jnimicorum. Videatur quid agendum” infatti, gli uomini dei detti Castelli non si fidano di restare ad abitare in essi, per timore delle genti nemiche, che possano farvi irruzione. Ci si chiede cosa fare. Il caso è assai grave. Il consigliere Laurelio Laureli “vir perspicuus” -uomo sagace-, dopo aver debitamente invocato l’ausilio divino (“jnvocato divino numine prius”), propone “quod duo pro qualibet banderata conferant se armati in castrum Fornulj, montis campani et colcellj ad defensionem hominum dictorum castrorum” che due uomini di ciascuna banderata cittadina si rechino, con le armi, nei Castelli di Fornole, Montecampano e Collicello, a difesa degli abitanti dei detti castelli “videlicet quindecim homines in quolibet castro cum hominibus dictorun castrorum” ed, in particolare, quindici uomini per ciascun castello, agendo insieme ai rispettivi abitanti ed in loro aiuto. (2011)
27 - Con atto rogato da Francesco Fariselli il 27 Febbraio 1548, fra il pittore Gian Francesco Perini e la Società della Cappella del Corpo di Cristo sita nella chiesa di S. Fermina, si conviene quanto segue:
Il Perini, su commissione di detta Società, ha dipinto un “medio tundo” sulla tavola dell’altare della citata cappella.
Poiché il Comune -non si sa a quale titolo- condannò il pittore ad una pena pecuniaria di 10 ducati da pagarsi alla citata Società ed essendo nata controversia circa il compenso per la detta opera, le parti convengono che quanto ancora dovuto al pittore per la sua spettanza resti fissato in altri 10 ducati e 25 bolognini. (2000)
27 - Il 27 Febbraio 1596, nel Liber Criminalium del Comune di Giove, dal Notaio Thomas.. di Acquapendente, in rappresentanza del Podestà "Terre Iovis" M. Dottavio, viene annotata la seguente constatazione: "dicta die me contuli domui D.ni Ducis sita in Burgo dicte terre et in ea visitavi R.dum Patrem Mag. Eusebium F. de ordine Sancti Hieronimi, et mediolanensem ut asseruit iacentem in lecto in una camera dicte domus, habentem duo vulnera infrascripta videlicet” in detto giorno mi sono recato in casa di D. Duce posta nel borgo della citata terra ed in essa ho visitato il Rev. Padre Maestro Eusebio F. dell'ordine di S. Girolamo, milanese, come ha asserito, giacente a letto in una stanza di detta casa, avente due ferite e precisamente "una ferita sopra la fronte dalla banda sinistra, et un altra nella testa dalla banda dietro... con effusione di sangue et cum presentibus dicto R.do D.no Presbitero Duce, et Alexandro Fontana Chirurgo testibus".
Segue il referto medico, sotto la stessa data:
"Alexander Fontana Chirurgus terre Iovis retulit hoc modo videlicet: Io poco fa ho medicato il Padre Mastro Eusebio F. Predicatore ferito con due ferite in testa una in fronte et l'altra dalla banda di dietro, et dal sinistro lato quali parono fatte con maglio, piombarola, martello o altra cosa di ferro, che habbia ammaccato con incisione di carne et effusione di sangue, et fin tanto non si levano le chiare (bende) non si può giudicare se vi è frattura d'osso, ma sono le ferite in testa pericolose; et mio padre levarà le chiare lui et referirà meglio il tutto a V.S. et l'ho medicato in casa di Prete Duce nel Borgo fuor della porta. Et ita retulit".
Sempre lo stesso giorno, si riporta la testimonianza di Domenico Parca.
"Dominicus Parca de Iovio, etatis annorum 52 ut asseruit, testis pro informatione Curie examinatus cui delato iuramento de veritate dicenda prout iuravit tactis etc.” teste esaminato per conoscenza del tribunale, al quale, richiesto il giuramento di dire la verità, giurò toccando (le sacre scritture).
"Ad oportunam interrogationem respondit: Signore poco doppo che sonasse mezogiorno essendomene io andato dietro alle campane chiamato la strada della Croce assieme con Santino mio genero dove essendoci posti a sedere, è comparso Cristallo di Francesco, et anche lui si è posto a sedere a canto a noi et ragionando così tra noi come si fa per passare il tempo per conto del prezzo dell'olio: in questo è passato leggendo Frate Eusebio n.ro Predicatore andando dietro le mura verso le campane, et dopo lui è passato M.r Laurentio et Domenico d'Anselmino Priori domandando del Predicatore, et noi insegnatoglilo vi andaro, et passò anco Francesco di Mr.Giovanni quale anco lui domandò del Predicatore et vi andò, et poco stettero et Francesco ritornò solo, et poi vennero il Predicatore, Mr. Laurentio, et Domenico venendo alla volta di casa, et Santino, Cristallo et io ci drizzammo per venircene ancor noi et li sopragiungemmo che andavano ragionando tutti tre insieme et in subito detto Cristallo stando accappato se buttò la cappa da una banda et menò con un martello una botta in testa a detto Predicatore, et gli rimenò un altro colpo et noi riparammo et il Predicatore cascò in terra, et non possemmo riparare quei colpi (perché fu) una cosa molto presta dove fece molto sangue, et lo ritenemmo ma per la forza che lui faceva scappò et io gli tolsi il martello et venni subito da V.S. et ostento dixit (e mostratogli (il martello) disse:) Sig.sì questo è il martello con il quale Cristallo ha dato al frate et mentre io venevo da V.S. il frate fu preso et portato in casa di Prete Duce.
“Ad alia interrogatus: Cristallo non parlò mai ma solo gli dette due volte in fretta come di sopra vi ho detto è ben vero finché noi tenevamo Cristallo che non scappasse gli dicevamo queste cose in presenza nostra egli rispose sempre lassatemi andare perché so per quello (che) l'ho fatto et ne ho bene ragione né mai disse altro et io mi partii et venni da V.S. come ho detto. Tunc D. acceptatis, ecc.".
Successivamente, vengono udite le testimonianze di Maestro Laurenzio e di Domenico Anselmini, Priori, che erano andati in cerca del frate "per parlargli come si haveva a fare per fargli le spese", cioè per il suo mantenimento durante la permanenza in Giove per la quaresima. Viene poi sentito anche Santino di Tino (o Tinarelli). Tutti sostanzialmente confermano, punto per punto, la deposizione del primo teste escusso.
Viene, quindi, raccolta la deposizione della parte lesa.
"R.dus Mag. Eusebius F. ordinis S.ti Hieronimi Predicator Terre Iovis existens in camera R.di D.ni Ducis extra porta dicte Terre habens caput fascis ligaminibus involventibus” con la testa tutta fasciata da bende “pro informatione Curie examinatus et perinde tacto pectore more sacerdotali de veritate dicenda” (al frate non si richiede il consueto giuramento, ma, come è d'uso per un sacerdote, soltanto un gesto consistente nel toccarsi il petto con una mano) “Interrogatus a quo fuerit vulneratus, in quo loco et qua de causa” da chi venne ferito, dove e per quale motivo “respondit: Sig. Podestà io sono stato assassinato mentre io ritornavo dentro nella Terra che ero stato fino sotto alla Croce a pigliare un poco d'aria et nel ritornar come vi dico in compagnia di Ser Menico Parca, Mr. Laurentio Montereale et il compagno Priori, et certi altri che non cognosco venevamo ragionando, et in quella mi son sentito dare sulla banda di dietro una gran percossa nella testa, et mi fé cascare in terra, et poi me ne sentij un'altra nella fronte come vedete, et ego P.stas vidi etc. et mi sbalordì né veddi né sentij altro, né tampoco sapevo poco fa dove io mi fosse et non vi saprei dire chi sia stato quello mi habbia dato; ma quelli che erono con essomé è forza habbiano veduto chi sia stato quello mi habbia assassinato di questa maniera, poiché io non ho inimicizia né tampoco ho fatto dispiacere ad alcuno.
“Interrogatus, respondit: Io non so chi incolpare perché non havevo interesse con alcuno: et faccia la giustizia quello gli pare et non so che altro dirvi.
“Tunc acceptatis etc.".
Ultimo ad essere interrogato, è l'imputato.
"Constitutus personaliter coram me Potestas Cristallus Francisci de Iovio etatis annorum ... (manca nel manoscritto) ut asseruit principalis quoad se testis quoad alios cui delato iuramento de veritate dicenda prout iuravit tactis etc.
“Interrogatus an sciat causam sue carcerationis” se conosca la causa per cui venne incarcerato, “respondit: Sig.sì che io lo so la causa perché V.S. mi ha messo prigione, et è perché io ho dato a quell'assassino di quel frate quale era venuto per predicare qui in Giove questa quaresima, et l'ho ferito.
“Interrogatus ut seriatim enarret qua de causa predicta fecerit in quo loco, quando, qualibus presentibus, et qualibus armis, et an solus vel associatus” che con ordine esponga per qual motivo agì, dove, quando, chi fosse presente, con quali armi e se abbia agito da solo o insieme ad altri “Respondit: Sig.re io vi voglio dire la verità istessa. Hieri io fui fuora a lavorare, et ritornai hiersera al tardi, et subito entrato in casa mia moglie mi disse che il Predicatore haveva ricerco a star seco Francesco mio figlio di anni undici, et che gli harebbe inparato vestito (?), et fattogli carezze, et che il giorno l'haveva menato seco ad Amelia, et mentre ragionavamo di questo il detto Francesco mio figlio venne in casa et diceva che era stato sì a cena dal Predicatore, et che gli haveva detto che mia moglie andasse per quello gli era avanzato da cena; che gli l'harebbe dato; et poi soggionse: pat(r)e ci è un'altra cosa brutta, et io esortandolo che la dicesse perché io la volevo sapere in ogni modo, mi disse che il giorno era stato ad Amelia con il frate Predicatore et che gli haveva fatto carezze; ma che nel ritorno doppo (dietro) ad un macchione l'haveva bugiarato due o tre volte, et che allora ancora in casa l'haveva bugiarato, et che l'haveva fatto gridare; il che sentito mi dispiacque et stanotte non ho mai dormito havendomi egli vituperato come disopra vi ho detto, et stamattina io ero risoluto far dispiacere a detto frate, et non mi è mai venuto comodità; ma hoggi doppo pranzo havendo veduto che detto frate era uscito fuora della porta et haveva preso la strada dietro alle muraglia pensai che allora mi sarebe riuscito di dargli et cusì mi risolvei andare lì alla bottega di Pierventura che stà nel borgo et gli domandai in prestito un martello trovando scusa di volere accomodare una botte nel mio cellaro, quale stà poco lontano dalla detta bottega, et mi dette un martello, et finsi d'andare al cellaro, et dopoi con detto martello sotto la cappa me ne andai per la strada dove havevo veduto andare detto frate, et non lo vedevo né sapevo se egli era andato per la strada delli Molinelli o di là dalla Croce, et camminando per la strada della Croce per scoprire, trovai Ser Menico Parca et Santino che sedevano al sole, et ragionavano et io mi posi lì a sedere con essoloro, et cominciammo a ragionare perché mi domandarono quanto haveva venduto l'olio ... et in questo passò Francesco di Mr. Gio. et ci domandò se noi havevamo veduto il Predicatore; Ser Menico et Santino gli risposero di sì, et che era andato di là dalla croce leggendo; et vi andò, et poi tornò indietro detto Francesco; dopoi passò Mr. Laurentio Montereale et Domenico d'Anselmino Priori et anche loro domandoro del Predicatore; gli fu insegnato et vi andoro, et ripassoro, et dopoi tutti di compagnia ce ne andammo verso la Terra, et andavano per fila il Predicatore, Ser Menico, Santino, Mr. Laurentio et Domenico sudetti et andavano ragionando di non so che istoria di Roma, et io andavo dietro a loro et vedendo la comodità della banda di dietro, con quel martello, che portavo sotto, detti in testa al frate, et poi gli déi un altro colpo, et cascò in terra, et mentre gli volevo ridare fui trattenuto dalli predetti, et veddi che il frate cascò a terra per morto et usciva il sangue dalla testa, et li predetti mi tolsero il martello di mano, et mi tenevano, al fine gli scappai di mano et fuggij per la strada della barca, et V.S. mi sopragiunse nel terreno vicino alla vigna d'Arcangelo et mi havete fatto condurre prigione; et questa è l'istessa verità, et non trovarete altrimente.
“Interrogatus an cum Ser Menico et Santino eius voluntatem dixerit”, se avesse confidato le sue intenzioni “respondit: Sig. nò io non gli dissi niente, et tal cosa non l'ho conferita con alcuno perché non mi sarebbe riuscito se l'havessi detto ad alcuno.
“Interrogatus an cum aliquo alio de eius parentibus predictis comunicaverit” se ne avesse parlato a qualcun altro dei detti suoi parenti, “respondit: Sig. nò io mi son risoluto da me stesso perché mi vedevo assassinato da detto frate nell'onore.
“Tunc acceptatis etc. dimisi examen etc. et mandavi reponi ad locum....."
Due giorni dopo, viene annotato il referto del chirurgo Giovanni Fontana, padre del medico Alessandro, che prestò le prime cure al ferito.
"Mag. Iohannes Fontana Chirurgus retulit: Io ho medicato Frate Eusebio F. Predicatore, et levato le chiare messeci da mio figlio, et ritrovo le due ferite in testa esser profonde con frattura d'osso, et pericolo di vita; et questa è la verità".
Nel "Liber criminalium" non sono stati trovati altri verbali attinenti al "fattaccio" del frate: si presume che, essendovi stato coinvolto un religioso, il Podestà abbia rimesso gli atti al Tribunale Ecclesiastico. (2001)
27 - Nel consiglio decemvirale del 27 Febbraio 1502 si esamina, fra l’altro, la supplica presentata “per parte del devotissimo servitore de V. M. S. et de questa V. M. Città, Spinello di Joanpiero da Baiano, che jà recordandose che decto Joanpiero suo patre che per la sua devotione et servitio che haveva in questa magnifica Città li fo concesso el benefitio dela Civilità (cittadinanza) et questa usò et praticò continuamente per clementia et gratia de essa M. Comunità, unde hora prefato Spinello desiderando havere ad succedere in esso benefitio et gratia di dicto Joanpiero suo patre, supplica ad V. M. S. et al Magnifico Conseglio de questa Mag.ca Città per sé et per Carletto et Joanni Stephano soi fratelli et Argento suo zio, che piacerà et dignese V. M. S. concedarli dicto benefitio et gratia di essa Civilità et ali loro figliolj et successori, quali possino usar et praticare in essa città con le loro mercantie et exercitij, senza alcuna molestia di represaglia et de qualunque altra occurrente cascione, che advenire potesse. Et ciò adomanda si li conceda di gratia singulare, offerendo le persone loro et loro exercitij per questa Magnifica Conumità quanto sia possibile et le loro facultà in benefitio et honore et utile dessa (di essa), ala quale humilmente se recomanda”. Nel maggior consiglio del giorno stesso si concede la richiesta cittadinanza, “solutis tamen prius per ipsum quattuor tangonis et medio miliario sagittiminis ferratis nostro Comuni” dopo aver consegnato al Comune quattro tangoni (aste?) e mezzo migliaio di frecce ferrate.
A un anno di distanza, nel maggior consiglio del 27 Febbraio 1503 si decide su alcune questioni trattate il giorno innanzi.
Una riguarda una singolare circostanza: un tal Gabriele, “ducalis commissarius”, cioè commissario del Duca (Valentino) “offert vendere Communi nostro quosdam arcobuscios et pulvim pro parvo pretio: si videntur emenda” offre di vendere al Comune di Amelia certi archibugi e polvere a poco prezzo: si chiede se sia il caso di acquistarli. Ma sarà stato d’accordo il Duca Cesare? Ad ogni modo, l’ “affare” va a monte, “ob inopia Communitatis” per mancanza di fondi nelle casse comunali.
Altro argomento trattato si riferisce ad una supplica presentata “per parte del vostro fidelissimo servitore et bono figliolo Antonio danselmo de nicolò de Cione, con ciò sia cosa che per la Corte della magnifica S.(ignoria) del potestà sia stato condennato jn xxv libre de denarj per havere tirati calci e dati a boccarino de Aurelio de Lodovico et similiter (similmente) decto boccarino dato ad epso Antonio; et per essere chierico, la corte del potestà non ce ha possuto provedere et per questo adomanda ale V. S. ... li piaccia farli gratia liberale, maxime (tanto più) che infra loro subito ce fu pace perpetua et non se ne vogliano a loro recognoscere, per essere mammoli et jovenj”. E bravo Antonio, che, pur essendo chierico, prende a calci dei minorenni! Viene, comunque, condannato a pagare 20 bolognini.
Un’altra supplica è presentata “per parte de Mariotto de Perotto”, che lamenta “che li homini de Montoro li habiano dato danno in nelle sue possessioni poste in nel tenimento damelia ... Et perché el decto Mariotto più volte ce ha facto scrivere a quella Comunità et annàtoce personalmente et non ne ha possuto havere niente ... Jmpertanto prega le vostre signorie et magnificentie (che) li piacerà concederli le represaglie contro li decti homini de Montoro ...”. Viene dato incarico a Giovanni di Lorenzo di Pierpaolo, “affinis domini de Montorio”, affine del Signore di Montoro, affinché “intromictat se amice intra partes pro concordia”, affinché faccia un amichevole tentativo di accordo fra le parti e, solo in caso che questo fallisca, si conceda diritto di rappresaglia a Mariotto.
Altra supplica è quella presentata da un certo Perlezio di Vezio, che aveva collezionato una buona dose di condanne, fra le quali una a 180 fiorini d’oro per ferite inferte a tal Antonio Manni Sordoni di Amelia ed un’altra addirittura alla pena di morte, per l’uccisione di Giovannone di Angelo Voci da Viterbo; condanne entrambe condonategli col pagamento di 30 ducati di carlini; ma, come se non bastasse, era stato poi condannato a pagare 800 libre, per l’accusa mossagli da Cesarino Crisolini “pro turbata possessione cuiusdam vinee” per avergli contestato il possesso di una vigna. Per chiudere degnamente la carriera delinquenziale di Perlezio, si cita la condanna a 12 libre, per aver aggredito un certo Nicola Galassi “utrisque manibus ipsum in pectore percussit” ed averlo percosso in petto con entrambe le mani. La decisione che viene adottata prevede che, per i delitti condonatigli, il pagamento delle pene pecuniarie estingua i reati; per la turbativa di possesso, paghi cinque carlini; per l’aggressione, paghi soltanto la quarta parte ed abbia buona pace con l’offeso. Ma questo Perlezio non se la sarà cavata troppo a buon mercato?
L’ultima supplica è presentata da Bernardino di Marco Testagrossa di Amelia, condannato in contumacia al pagamento di 30 fiorini d’oro “pro asserto maleficio in personam polidori palorghi etiam de Ameria” per il presunto reato commesso nei confronti di Polidoro Palorghi, pure di Amelia; ma la verità -secondo quanto esposto dal supplicante- è che detto Polidoro, venuto a diverbio con Bernardino “et volens inicere manus in ipsum” e volendo aggredirlo, “currens incidit in quadam scala” correndo inciampò in una scala e si procurò delle ferite alle gambe, con effusione di sangue; infatti, Bernardino non era in possesso di alcuna arma. Condannato in contumacia, non avendo potuto difendersi, in quanto “pauper et filius familias”, venne chiuso in carcere, da dove, “habita occasione, aufugit, ex quo dubitat posse condemnarj pro fractura carceris” avutane occasione, se ne scappò ed ora teme che gli venga contestata anche la fuga con effrazione. Il consiglio condanna il povero Bernardino a pagare un ducato e mezzo per entrambi i reati commessi, “excomputandis in servitijs corporalibus” da scontare in prestazioni personali in opere a favore del Comune. Il residuo della pena pecuniaria, fino alla concorrenza di un quarto, venga “amore dei” versato a suo padre: così resterà in famiglia. (2010)
27 - Nel consiglio dei X del 27 Febbraio 1507, fra l’altro, si espone:
“Magister Antonius Medicus habens in sua potestate ducatos 900 relictos et sibj consignatos a felici Memoria Magistrj Egidij de ameria olim generalis totius ordinis minorum divi francisci pro reparanda restauranda ac ornanda Ecclesia seu templo Sancti francisci de Ameria” Maestro Antonio medico, avendo in suo possesso 900 ducati lasciati ed a lui consegnati dalla felice memoria di Maestro Egidio (Delfini) di Amelia, un tempo Generale dell’intero ordine dei minori francescani di questa Città, al fine di riparare, restaurare ed ornare la Chiesa di S. Francesco di Amelia “et eius loco jntendens exequi dispositionem ac voluntatem dicti Magistri Egidij volensque ne jnde damnum patiatur petit sibi caveri seque jndempnem conservarj per Comunitatem Amerinam” e intendendo, in sua vece, eseguire le disposizioni e la volontà di detto Maestro Egidio, non volendo che da ciò possa derivargli qualche danno, chiede garanzie di esserne conservato indenne da parte della Comunità amerina. Ottiene quanto richiesto.
Si leggono, quindi, alcune suppliche.
La prima è presentata da parte de “lo devoto figliolo et servitore fratino che expone che ali dì passati hebbe recurso al S. locumtenente per (avere) gratia che, pagato uno ducato doro, li fosse cassa la condempnatione et ha pagato decto ducato al depositario (Cancelliere) et perché quello (che) scripse la supplicatione obmese (omise) una partita (parte) de la decta condempnatione et non fe mentione che etiam era (era anche stato) condempnato in dece fiorinj come in la sententia appareva et per questo lo Cancelierj non le vole (gli volle) cassare la condempnatione, supplica alle prefate V. M. S. se digneno commettere (dare incarico) et commandare al decto Cancelliere che, non obstante la decta obmissione et qualunque altra cosa jn contrario,, che prefata condempnatione casse et annulle”.
Altra supplica viene presentata da Giroccio di Furia e Menico di Michele schiavone, del seguente tenore:
“Humelmente supplicando expongono li vostrj fidelissimi servitori et bonj figliolj Giroccio de la furia et Dominico de Michele schiavone suo genero che per essere (state) dicte certe parole jnjuriose et de grandissimo vilipendio al dicto Gyroccio da prospero de Gabriele, armatj de spontunj andarono contra de luj, per la qual cosa sonno (sono stati) condempnati in libre quatro de denari per ciascheduno, come in lilibrj de li mallefitij del Comune de Ameria appare et supplicano a le V. S. M. (che) se digneno farli gratia liberale”.
Ma, per entrambe le suppliche, la laconica annotazione: “fuit perditum partitum” lascia presumere che esse non abbiano riportato esito positivo. (2011)
27 - Il 27 Febbraio 1809 il Magistrato in carica, “vedendo che la strada detta della Valle, che incomincia dal cantone del Collegio di S. Angelo, fino alla Porta, si è resa quasi impratticabile, annuendo anche alle continue istanze che gli portano da tutta l’intera Popolazione, ordinò la riattazione della strada suddetta, da farsi dalli adiacenti, sotto la direzione de’ Sig.ri Deputati e del Capo Mastro Muratore, ordinando di più che vengano interpellati tutti i possidenti laterali a tenere in ordine per il dì 3 Marzo prossimo tutti i materiali necessarj all’opera e che, in caso di mancanza, si eseguisca il lavoro a conto di essi, da questa Ill.ma Comunità”.
A giudicare dal pietoso stato di manutenzione di detta strada, un simile provvedimento sarebbe auspicabile che venisse adottato anche ai giorni nostri! (2014)
28 - I Frati dell’Annunziata se la passavano male.
Riportiamo una loro supplica “All’Ill.mi Sig.ri Gonfaloniero, Anziani e Consiglieri della Nobilissima Città di Amelia”, che risale al secondo decennio del secolo passato, probabilmente al 1814.
“Il Guardiano e Religiosi Minori Osservanti del Retiro della SS.a Nunziata di questa Città d’Amelia divotamente gl’espongono: Impossibilitati i Benefattori di fare le solite elemosine (forse in seguito alle prescrizioni imposte dalla dominazione francese?), da ciò ne nasce la conseguenza, che i detti Religiosi restano oppressi dall’indigenza, e gli mancano mezzi di poter fare le solite necessarie provviste di salumi, ed altri viveri per la loro naturale sussistenza. Raffidati a quella pietà ed amore, che nutrono in seno le Sig.rie Loro Ill.me verso essi Religiosi, come chiaramente ànno dato a conoscere nei passati tempi, si fanno arbitri di umilmente supplicarle a volersi degnare di fargli passare per un tal effetto quell’Elemosina, che gli detterà la loro Religiosità. Non mancando essi Religiosi con le loro debboli forze d’innalzare calde preghiere al Trono dell’Altissimo per la felicità spirituale e temporale delle Sig.rie Loro Ill.me e di tutta la Città. Che della grazia etc.”
(La lettera è senza data: venne inserita nell"Almanacco" il 28 Febbraio 1997)
28 - Sotto il titolo "I soliti sassi da mani ignote", sul periodico "AMERIA" del 28 Febbraio 1897 veniva riportata la seguente notizia:
"Ricorderanno i nostri gentili lettori che in un numero del nostro giornale furono rivolte severe parole contro sconsigliati ignoti che, dall'alto del Paese, scagliavano pazzamente sassi in varie direzioni. Ebbene, il 26 corrente, in pieno giorno e precisamente all'uscire delle bambine dalle scuole elementari femminili, si ripeteva la selvaggia scena e fu veramente fortuna se non si ebbero a lamentare disgrazie.
"Pensi l'Autorità ad impedire che possano verificarsi simili atti indegni di un paese civile".
Purtroppo, i balordi che gettano oggi sassi dai cavalcavia delle autostrade hanno avuto predecessori anche nella nostra Città!
A controbilanciare tale poco edificante notizia, sullo stesso giornale si poteva leggere anche la seguente, titolata "Atto lodevole":
"Una persona ci prega di far noto che, avendo smarrito il portafoglio con danaro nell'entrare al teatro, venne ricercata da chi l'aveva rinvenuto, cioè dal guardaroba del loggione Antonini Sansone, che gliene fece immediata restituzione. Non sappiamo abbastanza lodare questo egregio uomo che additiamo ad esempio di onestà". (2006)
28 - Il 28 Febbraio 1500, in seduta di Consiglio generale, Angelo Petrignani e Giovanni Pellegrini espongono che "pluries fuerit scriptum Abbati de Alviano ut solvere vellet octo ducatos de carlenis" più volte hanno scritto all'Abate di Alviano, affinché voglia pagare otto ducati di carlini "quos habet in manibus de quibusdam bobus derobbatis Rotundo de Macchia" che si trova ad avere in mano di certi buoi rubati a tale Rotundo di Macchie e spettanti invece ai due istanti e l'Abate "dictas pecunias restituere minime voluit" non ha alcuna intenzione di restituire tale somma. Chiedono, pertanto, detti Angelo e Giovanni "concedi represalias pro eorum indempnitate contra dictum Abbatem et eius subditos et eorum bona" che venga loro concesso diritto di rappresaglia contro l'Abate e suoi sottoposti e loro beni.
Il diritto di rappresaglia viene concesso, "servata tamen forma statutorum" ma che siano, comunque, rispettate le norme statutarie previste per tale concessione. (2007)
28 - Il 28 Febbraio 1476 nel consiglio decemvirale vengono lette alcune suppliche.
Una è presentata “per parte de pitriolo et spontaneo da narni habitanti nel castello de fornoli dicenti et exponenti che essi anno lassata la loro propria patria per venire adhabitare nel decto vostro Castello et non possono vivare sensa lo adiuto dele V. M. S. se ricomandelano (sic) a quelle se degnino farle per quello tempo parerà ad V. S. per fare immunità et absentione del capo et del focho et questo di gratia speciale”.
Altra supplica simile viene presentata “per parte del vostro fidelissimo servitore andechino todesco mastro ligname (falegname) che conciossia cosa luj sia partito dela sua propria patria et abbia lassato patre matre et fratelli et altri soi parenti et tutta la sua substantia per venire a stare habitare vivare morire in la vostra Ciptà et sotto caldo et favore de V. prefata S. et abia per exortatione di ciptadini dela decta Ciptà pigliato donna et conciossia cosa che luj sia poverissima persona sensa casa possessione et nisiuna altra sobventione possa luj et la sua donda (donna) et famiglia governare sensa el suffragio et adiuto de V. S., supplica ad quelle se degnino ordinare et allui gratia fare non sia tenuto per lo tempo davenire pagare alcuna gravezza se imponessi per lo comuno cioè de focho et capo et questo quantunche sia usato di fare assimili homini povari luj la reputarà da V. M. S. a gratia singolare laquale dio conservi in prospero et felice stato”.
Nel maggior consiglio del dì seguente, viene deciso di concedere a Petriolo e Spontaneo esenzione dalle imposte per cinque anni e ad Annechino tedesco per ben 25 anni, a condizione che quest’ultimo “fideiubeat de non recedendo ad habitandum extra districtum amerinum” garantisca con fideiussione di seguitare ad abitare nel distretto di Amelia; in caso contrario, “dictus suus fideiussor teneatur solvere omnia onera incursa usque in id tempus et impositura” il suo fideiussore sarà tenuto a pagare tutte le imposte decorse a quel tempo e da imporsi in futuro. (2009)
28 - Il 28 Febbraio 1465 occorre provvedere circa il costo delle cause civili e relative spese processuali che, essendo enormi e di eccessiva durata, incidono in misura gravissima sulle possiilità economiche dei meno abbienti (“Advertentes quod complures cause et litigia trahuntur in longhum ex quo pauperes et ydiote persone cum temporis amissione gravissima damna et expensas incurrunt”) E ciò comporta che “sepissime plures sint et maiores expense quam sors principalis” molto spesso, le spese di recupero di un credito superano la sorte principale.
“Ad evitandam malam abusionem et providendum bono et saluti dicti communis ac cuiuslibet private persone” per cercare di eliminare tale abuso e provvedere al bene ed alla salute della comunità e di ogni singolo, si debera che il podestà e suoi sostituti ed ogni altro officiale dello stesso “possint debeant ac teneantur cognoscere finire terminare omnes causas lites questiones sive controversias civiles” siano tenuti ed obbligati ad istruire e terminare ogni causa civile “non excedentem quantitatem et summam vel valorem quinquaginta ducatorum aurj” il cui valore non ecceda i 50 ducati d’oro, “”summarie simpliciter et de plano sine strepitu et figura judicij, sola facti veritate inspecta” con rito sommmario (abbreviato) e fuori delle procedure consuete, tenendo conto della sola verità emergente dai fatti.
Inoltre, il podestà ed i suoi officiali siano tenuti a terminare entro cinque giorni le cause non eccedenti il valore di un ducato; nel termine di dieci giorni quelle di valore da oltre un ducato fino a tre ducati; da oltre tre, fino a sei ducati, nel termine di quindici giorni; da sei ducati a dodici, entro venti giorni e da oltre dodici ducati e fino a 50, entro il termine di un mese; il tutto sotto la comminatoria di dieci ducati, da ritenersi dai loro stipendi, in caso di mancata osservanza dei detti termini.
Quanta saggezza e giustizia sembrano emanare da tali provvedimenti! (2010)
28 - Il 28 Febbraio 1528 il consiglio speciale si deve occupare di alcune suppliche presentate da persone oppresse dalla miseria più nera, tutte parimenti sollecitate a pagare dagli esattori pubblici imposte di vario genere, fra cui quella per lo stipendio del podestà.
La prima è presentata da “la moglie et heredi di mariocto de petruccio de la ciptà di Amelia, come sonno in extrema povertà costituiti, che persone mendice se possono chiamare, che ci sonno cinque figlie femine, et bisognandolj pagare cosa alcuna tanto de dative quanto de altre impositionj et gravamenti di epsa communità serriano constrecti più presto (piuttosto) a morire in prescione che pagarle, per il che ricorronno ale S.rie V. M. et questo generoso conseglio li piaccia per amor de dio da dicte dative tanto de potestà quanto altre et altre jmpositioni et gravamenti farli liberi exempti et jmmunj tanto per lo passato quanto per lo advenire ...”.
Altra supplica -dello stesso tenore- è presentata dalla “fidelissima servitrice ... la poverella vedova Donna Berardina relicta (dal) quondam (fu) giorgio de cola albanese, qualmente lei se ritrova gravata di quattro figliolj piccolj che luno non pò adiutare al laltro, et se vogliono magnare la sera li bisognia lo dì de guadagnarlo, et continuo è molestata a pagare le date del Potestà et altre spese de la banderata, quali ogni dì corrono come ogniuno pò sapere et non havendo dinari da pagare tali spese né alcuna cosa da vendere più né da jmpegnare, sonno (sono) più quelle sere che dicti sui figliolj et lei vando (vanno) alecto sensa cena che non sonno quelle che siano mezi satij de pane. Jmpertanto humilmente supplicando ricorre in le braccia di V. M. S. pregando quelle che per la loro solita clementia et pietà se vogliano degnare di concederlj la exemptione de dicte graveze tanto curse et non pagate quanto da correre per lo advenire, al mancho (almeno) per jnfino ad tanto che dicti sui figliolj siano in età legitima et apta ad guadagnare ...”.
L’ultima supplica è presentata per conto di “doi (due) figliolj piccolj del quondam (fu) Jacobo de pietro miccichello de Amelia, qualmente loro se retrovano in extrema miseria del vivere et sensa adiuto de alcuna persona et non possedono altra cosa al mundo che una particella di una casa dove che habitano, et continuo sonno gravati a (richiesti di) pagare date del Potestà et altre spese currenti et non (hanno) tanto che loro possano pagare dicte spese; non possono havere tanti dinari che ne possano comperare del pane et passano et sono passati multi dì che sono andati alecto sensa cena per non havere modo da comperare del pane. Jmpertanto humilmente supplicando ricorrono in le braccia di V. M. S. pregando quelle per lo amor de dio li vogliate havere per ricommendati in farli la exemptione de le date del potestà per qualche anno ad minus (almeno) fino ad tanto che loro siano jn età legitima de possere guadagnare ...”.
Piange il cuore nel constatare a che grado di degradante miseria erano giunte tante famiglie amerine in quei tempi calamitosi e certamente quel poco che il general consiglio dello stesso giorno dispone a loro favore sembra del tutto inadeguato: “concedatur et sit concessa exemptio pro tribus annis cuilibet horum trium supplicantium de dativis potestatis tam jncursis quam jncurrendis” si conceda a ciascuno dei tre supplicanti l’esenzione dalle imposte del podestà tanto di quelle decorse che per i prossimi tre anni a venire. (2011)
28 - Ser Vannicello di Giovanni di Lugnano, dopo aver fatto incarcerare Antonio di Paolo di Sipicciano, in quanto lo sospetta di aver trasgredito a quanto previsto da un contratto di soccida, lo fa liberare, dopo aver avuto idonea garanzia, con atto stipulato il 28 Febbraio 1411 dal notaio Ugolino Jacobuzzi, che il bestiame oggetto della soccida, rappresentato da una vacca e da un vitello, del complessivo valore di dodici fiorini, gli verrà riconsegnato entro sei giorni. (2014)
28 - Il 28 Febbraio 1516 il notaio Vincenzo Artemisi redige atto di donazione di ben tre case e cinque appezzamenti di terreno con casaletto, mobili e panni, in Amelia, da parte di Luciano, Abate di S. Secondo, a favore di certa Evangelista (!) Rosati di Toscolano, vedova di un Galassi di Giove, sia “amore Dei”, che “pro bonis servitijs ab ea habitis et que in futuro habere sperat” per i buoni servizi da lei avuti in passato e che spera di avere anche per l’avvenire. (2014)
28 - Il 28 Febbraio 1528 il notaio Bernardino de’ Acetellis dà notizia che furono “facti prisoni de Montorio n. 18, uno apiccato et 4 amazzati”. “Complimenti!” (commenta Mons. Angelo Di Tommaso). (2014)
29 - Nella riforma giuliana del calendario, mantenuta poi immutata in quella gregoriana, ogni quattro anni viene aggiunto un giorno al mese di fcbbraio. L'anno, composto così da 366 giorni, è detto "bisestile", secondo l'uso romano di contare due volte il sesto giorno avanti le calende di marzo, cioè il 24 febbraio, che diveniva, pertanto, "bis-sextus". (1996)
29 - Il 29 Febbraio 1400 risulta annotata nelle riformanze la seguente dichiarazione, sotto la titolazione "Copia lictere ludi testaciorum" (cioè del gioco del Testaccio):
"Nos Stephanellus Cole Valentini de Regione montis camerarius camere Urbis notum facimus tenore presentium universis et singulis officialibus et hominibus comunis Civitatis Amelie quomodo Andreas Cecchi Carpani civis noster representavit in dicta camera nomine dicte comunitatis Amelie lusores quatuor ludentes ante palatium capitolij cum coptis et banderijs prout Jura Urbis requirunt more solito nostro. Et ad fidem omnium predictorum subscribi fecimus manu propria per notarium dicte camere Urbis et sigillavimus solito sigillo videlicet sub anno domini Millesimo CCCC°, pontificatus domini Bonifatij pape noni Ind. viij mensis februarij die xxviiij tempore regiminis domini Zaccharie Trivisano Militis de Venetijs dei gratia alme Urbis Senatoris Jllustris. Ac tempore Nobilium virorum Jacobelli de Magliotijs et colegarum eius Conservatorum dicte camere Urbis - Laurentius Staxij Not. camere Urbis".
Segue una libera traduzione:
"Noi Stefanello di Nicola Valentini del Rione Monti, Camerario della Camera di Roma, con la presente rendiamo noto a tutti gli ufficiali ed uomini della Città di Amelia come il nostro cittadino Andrea Cecchi Carpani ebbe a rappresentare in detta Camera, a nome delle citata Comunità di Amelia, quattro giocatori giostranti dinanzi al palazzo del Campidoglio con cotte e bandiere, come richiesto dalle norme della Città di Roma e secondo nostra consuetudine. Ed in fede di quanto sopra, abbiamo fatto sottoscrivere la presente di proprio pugno dal notaio camerale, munendola con il consueto sigillo, nell'anno del Signore 1400, sotto il pontificato di Papa Bonifacio IX, Indizione ottava, il giorno 29 Febbraio, al tempo del governo di Zaccaria Trivisano Milite di Venezia, per grazia divina Illustre Senatore dell'alma Roma e dei nobili Signori Jacobello de Magliozzi e suoi colleghi, Conservatori della detta Camera di Roma F/to: Lorenzo Stazi, Notaio camerale".
Analoga attestazione il 29 Febbraio 1412 viene riportata nel registro delle riformanze, sotto la titolazione "lictera de ludo Testacie" copia della lettera che il Camerario di Roma Lorenzo Cecchi Palocchi de Papazzurris, "de Regione Montis", tramite il notaio di Camera Giovanni de Vallatis, scrive alla Città di Amelia in data 18 Febbraio e del seguente tenore:
"Vobis Nobilibus Viris Officialibus, consilio et comuni Civitatis Amelie per presentes litteras duximus quod Paulus Laurentij Mutij notarius de Urbe de Regione Pontis pro parte vestri comunis fieri fecit ludum presentis anni, videlicet carnisprivij videlicet die sabati xiij mensis februarij presentis, more consueto videlicet cum quatuor luxoribus equestribus et cum bannerijs cum Armis vestri comunis cum ipsis quatuor luxoribus currendo ante palatium et scalas palatij Capitolij more solito et consueto. Quem Paulum placeat habere recomendatum. Et ad finem et testimonium premissorum hanc apodissam scribi fecimus per infrascriptum Johannem nostrum et camere Urbis notarium et nostro solito sigillo sigillavimus impressione muniri. Datum in camera Urbis sub anno domini Millesimo ccccxij. Pontificatus domini Johannis pape xxiij. Jndictione V. mensis febraurij die xviij".
Ed eccone una libera traduzione:
"A voi, nobili signori Ufficiali, consiglio e Comune della Città di Amelia, con la presente significhiamo di aver preso atto che Paolo di Lorenzo Muzi, notaio del Rione Ponte di Roma, per conto della vostra comunità fece svolgere il gioco (del Testaccio) di quest'anno, cioè del carnevale e precisamente il giorno sabato 13 febbraio corrente, secondo il consueto rito, cioè con quattro giostratori a cavallo, con le bandiere recanti l'arme del vostro Comune, quali giostratori hanno corso, nel consueto modo, dinanzi alla scala ed al palazzo del Campidoglio. Vi piaccia avere detto Paolo per raccomandato. Ed in fede e testimonianza di quanto sopra esposto, abbiamo fatto redigere la presente attestazione liberatoria dall'infrascritto Giovanni, notaio nostro e della Camera di Roma e l'abbiamo sigillata, facendola munire del nostro consueto sigillo. Redatto nella Camera di Roma,, nell'anno del Signore 1412, sotto il pontificato di papa (antipapa) Giovanni xxiij, indizione V, il giorno 18 del mese di Febbraio". (2008)
29 - Sotto la improbabile data del 29 Febbraio 1439, riportata negli appunti di Mons. Angelo Di Tommaso dagli atti del notaio Ricco di Francesco, si ricava quanto segue.
Dal Cardinale Giovanni Vitelleschi, Legato della Sede Apostolica, era stato concesso allo “strenuo uomo” Battista de Baroncellis, di Offida, diritto di rappresaglia contro il Comune ed i cittadini di Amelia e loro beni, a causa di certi debiti -forse di guerra- di Giovanni di Ser Golini di Amelia. Il citato Battista, avvalendosi del diritto concessogli, aveva catturato e teneva prigionieri, quali ostaggi, a Città Ducale, Giovanni di Buzio, Paolo di Simone, Andrea di Menecuccio Roberti, Giovio di Angelo, Farmiano di Giovanni, Stefano Schiapti, tutti di Amelia e Roscio Giovannelli e Menecuccio Perle di Montecampano, per la cui liberazione esigeva cento ducati d’oro. Un tal Giovanni di Nicolò di Giovanni di Amelia sborsa i cento ducati e i prigionieri vengono rilasciati. Angelo, padre di Giovio e Menecuccio, padre di Andrea, si obbligano, con atto notarile, redatto da Ricco di Francesco “in quoquina” nella cucina del Palazzo del Podestà, nei confronti di Giovanni di Nicolò, di rimborsargli la quota del riscatto relativa ai loro rispettivi figli. Ma dell’intero Palazzo podestarile non v’era un locale più idoneo della cucina per stipulare un atto di riscatto?) (2014)
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