1 - Occorre decidere, nel Consiglio del 1° Dicembre 1528, circa un donativo da inviare all’architriclino (cioè al maestro di camera) del papa Clemente VII, che si trova a Bassano, “quia in utile et commodum comunis Amerie tendere posset”, perché questo potrebbe tornare ad utilità della Città.
Dopo numerose proposte, si conclude di inviare un presente di 50 tordi, due prosciutti e due paia di capponi.
E buon appetito all’architriclino! (1999)
1 - Il 1° Dicembre 1465 viene istituito il mercato del sabato, con i relativi capitoli. L'adozione di un tale provvedimento fu dettata dall'esigenza di evitare l'abuso dei mercati tenuti di domenica. Si teneva nella piazza di "S. Maria de Porta (dentro alle catene)". Si stabilisce di togliere qualsiasi ingombro sotto l'arco di piazza. Il mercato del bestiame "excepto caprecti porchette et uccellame et cacciascioni, si contracti da la porta pusciolino" sino alla "porta de porcelli". Non è certo in quale luogo quest'ultima fosse situata. Sembra, comunque, abbastanza attendibile la sua ubicazione all'inizio della salita di Via Farrattini, poiché, dovendo ospitare del bestiame, è probabilmente da escludere il tratto più ripido della strada, anche se da qualcuno si è formulata l'potesi che detta porta possa identificarsi con l'arco ogivale ancora esistente quasi in cima all'erta. (2001)
1 - Dal libro dei verbali dei processi penali ("Liber Criminalium") del Comune di Giove, il 1° Dicembre 1597 fu verbalizzato l'interrogatorio di Francesco B., che accusava Giovanni S. di avergli procurato ferite al capo. Eccone il testo:
"Hoggi detto Giovanni havendo trovati li miei porci a magnare nella sua gianna (ghianda) in contrada le Gallinaie, mi tolse per pegno il ferragiolo (mantello) et se ne fuggì, io di poi l'arrivai, et li dissi che mi rendesse il ferragiolo che io gli volevo dare per pegno una mazzafrondola, et lui mi disse che non la voleva ma che volea il ferragiolo et perché si cominciava a fare tardi et io sentiva freddo, lo revolea, cercai di volergli retogliere per forza, et così ci attaccammo, et ci cominciammo a dare, io havea un bastone, et perché lui è più grande di me, mi lo tolse, et mi ci dette più volte, et in particolare mi dette in testa, et mi ha rotto lu capo, come potete vedere, et poi ci spartissono et rihebbi il mio ferragiolo, et mi tolse la berretta, quale portarà qui, et altro non ci corse fra noi".
La ferita fu fatta controllare dal chirurgo Giovanni Fontana, all'uopo interpellato, il quale dichiarò che non vi era frattura d'osso, né pericolo di alcun genere. (2005)
1 - La cassa (“arca”) contenente i documenti e le scritture del Comune era usualmente conservata presso l’archivio della Chiesa Cattedrale, dal quale poteva solo eccezionalmente venir rimossa. E’ quanto ebbe a verificarsi intorno agli anni 30 del XVII secolo, quando, a causa di un incendio, detta arca venne temporaneamente riposta nel palazzo anzianale. Il 1° Dicembre 1631 nelle riformanze viene conservata memoria della sua nuova ricollocazione in Cattedrale. Gli Anziani, insieme a molti cittadini, membri del consiglio decemvirale e delle quattro scritture e ad altri ufficiali, “asportare fecerunt Arcam existentem in Cancelleria Antianali in qua recondebantur scripture et diversa jura existentia in sacculis alphabetico ordine signatis spectantia ad jurisditionem ... Civitatais Amerie” fecero trasportare l’arca in cui erano depositate le scritture e i documenti attestanti i diritti spettanti alla Città, conservati in appositi sacchetti ordinati alfabeticamente; “que arca prius existens in sacrario Cathedralis ecclesie predicte propter nocturnum et repentinum incendium secutum in dicta Cathedrali S. Firmine Amerinorum Patrone fuit celeriter statim ex ea ecclesia asportata pro conservatione dictarum scripturarum in Cancellaria Antianalis Palatij et deinde in arca sub tribus clavis clausa”; la quale arca, prima conservata nella sacrestia della Cattedrale di S. Fermina, Patrona di Amelia, a causa di un improvviso incendio scoppiato nottetempo, a salvaguardia di dette scritture, fu rapidamente trasportata nella Cancelleria del palazzo anzianale e quindi chiusa in una cassa munita di tre serrature. Si dà, quindi, atto del nuovo ricollocamento in Catedrale dell’arca, avvenuto con grande solennità, previa ricognizione del suo contenuto e quindi della sua consegna ai Canonici, i quali promisero “illam diligenter custodire et conservare” di conservarla con ogni diligenza e, all’uopo, venne richiusa con tre serrature, le cui rispettive chiavi vennero consegnate: una al Canonico Claudio Picioto, “aliam habuit D.nus Franciscus Boccarinus, ad presens Camerarius dicte Civitatis et alteram habuerunt DD. Antiani” un’altra al Camerario Comunale Francesco Boccarini e la terza agli Anziani. Tornata nuovamente in Cattedrale, l’arca “fuit recondita et deposita ... in loco ubi dicitur in Corpore prope altare SS. Martirum Firmine et Olimpiadis” venne riposta e depositata nel luogo chiamato “in Corpore (Christi)”, presso l’altare dei Santi Martiri Fermina ed Olimpiade. (2008)
1 - Il 1° Dicembre 1470 si legge in consiglio la supplica presentata “per parte del fidelissimo servitore de le V. S. Paulo de Antonio de Mannj de la penna che concio sia cosa, che nel tempo era podestà de la cità damelia lu Spectabile homo Bartolomeo da Trevi (1468), fosse condempnato per uno insulto contra de Cipriano de Jacovo de peio, in libre de denari octo, o circha, et perché escitato (provocato) da qualche iniuria, et la ira non se po così subito contemperare, maxime che ‘primi motus non sunt in potestate nostra’ (soprattutto perché le reazioni immediate sfuggono al nostro controllo). Et reputandose servitore et homo de questa comunità, prega quelle humelmente se vogliano dignare in questa condampnasione remecterli tucti li benefitij secondo la forma deli statuti de la Cità damelia, peché el resto intende de pagare et possere usare como ha consueto, et ciò receverà a gratia singulare”. Gli si concede quanto richiesto. (2009)
2 - Il maggior consiglio del 2 Dicembre 1487 deve, fra l’altro, occuparsi di un curioso inconveniente, denunziato il giorno innanzi nel consiglio decemvirale: “expositum Religiosi aliqui non sine querimonia a lusoribus pile, si quando ludunt ad parietes Ecclesiarum impedirj divina misteria et officia, et damnificant earum tecta, cum sepe illuc pro resumendis pilis ea ascendant et tegulas frangant, quod turpe et irreligiosum est” un esposto di qualche religioso non senza uggiosa lagnanza verso i giocatori a palla, che quando tirano contro le pareti delle chiese, ne risultano disturbati gli offici divini e danneggiano i loro tetti, quando di frequente vi salgono per recuperare le palle e rompono le tegole; il che è vergognoso e sconveniente.
Il Consigliere Evangelista Racaneschi, dottore in legge, “ne quid molestie templis et cultui facto inferatur” affinché non venga arrecata alcuna molestia alle chiese ed al culto, propone che “nulli liceat ad pilam ludere ad parietes ecclesiarum S.te Firmine, S.ti Augustini et S.ti Francisci in civitate Amerie et ante ipsas” a nessuno sia lecito giocare a palla contro le pareti delle chiese di S. Fermina, S. Agostino e S. Francesco e davanti alle stesse, “sub pena decem solidorum a quolibet contraveniente solvendorum vice qualibet” alla pena di dieci soldi per ogni contravventore e per ciascuna volta, di cui tre parti vadano al Comune ed una all’ufficiale che avrà elevato la contravvenzione e la decisione venga resa nota tramite bandimento.
E così i giocatori a palla sono sistemati! (1998)
3 - Il vescovo Stefano aveva fatto immagazzinare una certa quantità di grano a Foce, con divieto di esportarlo.
Ma Donna Rita di Sangemini, moglie di Paolo Orsini, ignorando il divieto e in dispregio dello stesso, conniventi i Focesi, aveva fatto trasferire quel grano a Narni.
Il vescovo, che aveva considerato quell’atto di disobbedienza un palese vilipendio della propria autorità ed affinché i Focesi non avessero a gloriarsi della loro malizia e gli arroganti non ne traessero ragione di esempio, lanciò l’interdetto sul castello e sulle chiese di Foce, inclusavi quella di S. Concordio, con espresso divieto all’arciprete ed ai canonici di suonare le campane e di celebrare per i fedeli -così poco fedeli- gli uffici divini.
Ma Paolo Orsini cercò di rabbonire il vescovo Stefano, consigliando i Focesi di inviargli un loro delegato, scelto nella persona di Nicola Maseij, che presentasse al presule, a nome dell’intera comunità, un’umile supplica affinché concedesse loro il perdono e togliesse l’interdetto.
Con lettera del 3 Dicembre 1408, il vescovo, che, a quanto pareva, era ancora irritato per il sopruso commesso, lo sospese soltanto “ad tempus nostri beneplaciti”, cioè temporaneamente ed a suo esclusivo giudizio. (2000)
3 - Il 3 Dicembre 1329, in seduta consiliare plenaria, si delibera, innanzi tutto, circa alcune lettere di citazione inviate "pro parte Reverendi viri fratris Bartholini de Perusio inquisitoris heretice pravitatis" da parte di Fra Bartolino da Perugia, inquisitore contro l'eresia, riguardanti il Comune ed i singoli cittadini di Amelia. Si delibera che, da parte degli Anziani e di persone da loro designate, si resista, appellando contro le accuse dell'inquisitore, affinché "dicta inquisitio tollatur" venga revocata l'inquisizione in corso e la opportuna difesa venga assunta "expensis communis predicti" a spese del Comune.
Si deve anche provvedere "super adventu d. Legati qui debet esse ad Civitatem Narnie et super honore eidem faciendo" circa la venuta in Amelia del Legato pontificio, attualmente a Narni e come onorarlo adeguatamente. Si delibera "quod provideatur de bonis et avere communis Amelie" di provvedere ad "onorarlo" con le proprietà del Comune "usque in quantitatem centum florenorum de auro" offrendo al Legato fino a 100 fiorini d'oro, sperando che almeno faccia cassare il processo di eresia!
Vi è anche da soddisfare un debito di 60 fiorini "ad quod commune Amelie tenetur Vitali Judeo" al quale il Comune è tenuto nei confronti dell'ebreo Vitale. Si delibera "quod concedatur eidem macellum communis pro toto tempore quod sit plenarie satisfactum" che gli si conceda la gestione del macello comunale per il tempo necessario a rimborsarsi del suo credito.
Sarebbe stato bello poter offrire anche al Legato un trattamento simile, anziché cavar di tasca 100 fiorini! (2007)
3 - Il 3 Dicembre 1485 si discute, nel consiglio dei X, di un importante avvenimento: “Quatenus ad aures et notitiam Magnificorum dominorum Antianorum occurit quod exercitus S.mi D. N. ad hanc nostram Civitatem prefecturum et hac transiturum est” poiché agli orecchi degli Anziani è pervenuta notizia che l’esercito del papa Innocenzo VIII (il genovese Giovanni Battista Cibo) si è mosso alla volta della nostra Città e sta per passare da qui, al comando di Bartolomeo da Vignola, Cubicolario e Commissario papale “Et cum bonum sit ut in huiusmodi gentibus recipiendis et allogiandis aliqua condecens et digna provisio fiat” e quanto sia opportuno fare per provvedere adeguatamente e degnamente per accogliere ed alloggiare le relative genti armate, “placeat consulere et providere quid sit agendum” si provveda a deliberare circa le necessarie misure da adottare.
Prende la parola Alberto di Veraldo, definito “vir summa modestia et integritate praeclarus”, il quale consiglia che “armigeri qui hac transiturj sunt honorifice digne et abundanter recipiantur et quod provideantur de pane vino et carnibus” le genti armate che dovranno passare per di qua siano accolte con onore, degnamente e con abbondanza di mezzi e che siano provvedute di pane, vino e carni e gli Anziani, per sostenere le spese relative, abbiano autorità di “capere pecunias undecumque, tam ordinarias quam extraordinarias” prendere i soldi in qualsiasi modo, sia con mezzi ordinari che straordinari.
Bartolomeo da Vignola, il seguente giorno 7, fa pervenire agli Anziani il breve del papa, con il quale quest’ultimo intima a tutte le popolazioni e le città soggette alla Chiesa, di dare libero accesso alle truppe sotto il suo comando “pro quanto gratiam nostram caram habitis” per quanto abbiano a cuore la grazia (ed il favore) di papa Innocenzo, fornendo loro gratuitamente strame, legna ed alloggio; per quel che riguarda “victualijs et omnibus necessarijs” le vettovaglie e le altre necessità, vengano loro fornite “pro justo et convenienti pretio” per un corrispettivo giusto ed adeguato.
Ma non tutto va liscio. Il giorno 14 successivo, “ad pertractanda nollulla rei publice Amerie jncumbentia pro bono et publica utilitate” per trattare di alcune questioni riguardanti la Comunità amerina, per il bene e l’utilità della stessa, gli Anziani convocano quindici cittadini, fra i quali figurano il dottor Evangelista Racani e Pietropaolo ed Angelo Petrignani. Occorre prendere provvedimenti circa un increscioso inconveniente che si è venuto a determinare in seguito alla presenza delle soldatesche del Vignola. Antonio Maria, figlio di Roberto, Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, presente in Amelia, “jndignatus existit contra Communitatem et Cives Amerinos” si è mostrato indignato contro la Comunità ed i Cittadini di Amelia “propter nonnullos rumores et altercationes maximas exortas jnter amerinos cives contra nonnullos pedites qui per vim Civitatem hanc intraverint” a causa di notevoli disordini e violenti alterchi sorti fra i cittadini, nei confronti di alcuni militi che, con forza, pretendevano di entrare in città. Si tratta di trovare un rimedio a tutto ciò ed Evangelista Racani propone “quod mittatur ad Reverendum Dominum Hyblectum S.mi D. N. Conmissariun Generalem” che si invii al Reverendo Monsignor Ibletto, Commissario Generale del papa, un’ambasceria, con il compito di presentare allo stesso “excusationes Communitatis, que omni studio et jndustria recommendatur” le scuse della Comunità, che gli venga raccomandata con massimo impegno e solerzia ed “attenta affectione Civium Amerinorum in S. R. E. ac etiam sterilitate Civitatis huius” in considerazione della devozione degli Amerini nei confronti di Santa Romana Chiesa e della mancanza di mezzi della loro città, “dignetur Civitatem hanc commendatam suscipere” abbia per raccomandata (e, quindi, scusata) la detta città. “Ac etiam supplicetur dicto domino Conmissario quod provideatur de bladis et de frumento in alijs locis circumstantibus” supplichi, inoltre detto Commissario che (il suo esercito) si provveda del fabbisogno di cereali in altri luoghi circonvicini.
Si propone, altresì, che “fiantque die noctuque custodie per omnem Civitatem usque quo adererint dicte gentes armigerarum” si allestiscano sentinelle in tutta la città, sia di giorno che di notte, finché permarranno in loco le genti armate. (2010)
3 - Nella seduta consiliare del 3 Dicembre 1527 si dibatte circa il da farsi nei confronti “de duobus de montorio ad presens captis per quosdam de monte campano” di due uomini di Montoro catturati da alcuni di Montecampano, molto probabilmente in azioni di guerriglia. “Nobilis vir dominus Federicus unus ex consiliarijs in dicto numero existentibus, qui dominus Federicus ex domo cansacchorum est”. Il consigliere Federico, che il solerte cancelliere tiene a specificare appartenente alla famiglia Cansacchi, “dixit et consuluit quod fiat examen de eis per potestatem et torqueantur statim nunc, et postmodum fiat prout juris est” propone che vengano sottoposti ad esame da parte del Podestà e si proceda immediatamente alla loro tortura, secondo le procedure di legge. Dopo di che, gli Anziani “deputaverunt ad jnterveniendum examini et torture captivorum de montorio Jnfrascriptos spetiales viros, quorum nomina sunt” nominarono a presenziare tanto all’esame che alla tortura dei due disgraziati carcerati di Montoro le seguenti due persone: Pier Giovanni di Maestro, Anziano in carica ed Evangelista Nacci.
E buon divertimento! (2011)
3 - Luca Geraldini, con l’assenso dei colleghi, nell’udienza consiliare del 3 Dicembre 1540 espone che “homines laborantes in fabrica Perusij continue jnsalutato hospite redeunt, in damnum et preiudicium Communitatis. Quid agendum?” gli uomini addetti ai lavori nella fabbrica di Perugia continuamente -senza alcun preavviso- abbandonano il posto di lavoro e fanno ritorno in Amelia, in danno e pregiudizio della Comunità (che li deve pagare). Cosa fare? Trattasi certamente degli operai richiesti da Paolo III per l’edificazione della Rocca Paolina, voluta dal pontefice a Perugia. Nello stesso consiglio, Dardano Sandri -“vir gravissimus”- propone “quod mittatur Archangelus qui illos jnterteneat cum protestatione de damnis et jnteresse contra eos facienda si discesserint ante tempus per quod fuerunt soluti” che s’invii Arcangelo che li faccia trattenere sul posto di lavoro, sotto la minaccia di un’azione contro di essi per danni e quant’altro, compresi interessi, se lasciassero il cantiere prima del tempo per il quale furono assunti. “jtem scribatur ad Commissarium quod dictos homines descedere non permittat, absque eius bullectino, sub poena (quae) per eum sibi videbitur illis imponenda” ed, inoltre, che si scriva al Commissario (addetto evidentemente alla sorveglianza del cantiere) che non permetta ai detti operai di lasciare il lavoro senza sua licenza, sotto la pena che ad esso sembrerà più opportuno applicare a loro carico. La proposta riporta unanimità di consensi.
Nella stessa sede, si passa all’esame di altro argomento: “Petrus Jo. pape et Nicolaus Farratinus electi ad reparandam stratam Piaiole petunt mutuo 25 salmas lapidum existentium prope Portam Pisciolinam. Quid respondendum?” Piergiovanni Papa e Nicolò Farrattini, eletti sovrintendenti con l’incarico di presiedere ai lavori per la riparazione della Strada della Piaggiola, chiedono che vengano loro concesse 25 salme di pietre esistenti presso la Porta Busolina; cosa rispondere? Lo stesso Sandri propone: “quod dentur mutuo cum conditione quod idem Petrus Joannes et Nicolaus obligentur reportari facere dictos lapides” che si concedano pure in prestito dette pietre ai due sovrintendenti, purché le riportino dove le hanno prese. Ma se le pietre fossero state impiegate nella riparazione della strada, come avrebbero dovuto fare i poveri sovrintendenti a riportarle indietro? Mistero!
(2012)
4 - Con il sistema della “candela vergine”, il 4 Dicembre 1616 si pongono all’incanto le seguenti gabelle per un anno e con i risultati di cui appresso:
Castagneria: non vi furono offerte. Foglietta: restò aggiudicata a Giovan Paolo eugubino, per scudi 82. Pesi e Misure: agiudicata a Bartolomeo Sturba, a scudi 25. Uva passa: aggiudicata a Filippo Armillei, a scudi 40,60. Cenciaria: aggiudicata a Giovanni Lelli, a scudi 48,50. Hosteria: aggiudicata a Giovan Paolo eugubino, a scudi 22,50 (con il patto di poter vendere il vino “un quatrino più la foglietta a quelli della Città, secondo il prezzo che corre, et doi quatrini più alli forastieri”). Cancelleria criminale: aggiudicata a Flavio Misticoni, a scudi 104,60. (2000)
4 - Il 4 Dicembre 1898 il periodico AMERIA si occupa dei prezzi della carne:
"...abbiamo constatato personalmente che i prezzi praticati nelle limitrofe città di Narni e Terni, in ispecie in quest'ultima, sono molto inferiori a quelli che perennemente si praticano qui (£. 1,50). Infatti ivi si vende a £. 1,20 al Kg. della carne ottima e a £. 1,05 quella di secondo taglio. Questo fatto si deve unicamente alla lega dei nostri esercenti, che non avendo concorrenza, s'infischiano delle giuste lagnanze de' cittadini. I prezzi del bestiame sui nostri mercati, uguali ed anzi inferiori a quelli limitrofi, rendono chiarissima la coalizione. L'Autorità potrebbe immischiarsene un momento, perché trattasi di un genere divenuto di popolare necessità, contribuendo moltissimo anche sulla pubblica salute". (2006)
5 - Nella liturgia della Diocesi Amerina il 5 Dicembre veniva celebrata la festività di S. Olimpiade martire, quale patrono minore. Attualmente, S. Olimpiade viene considerato compatrono di Amelia e la sua festività cade il 1° Dicembre, nell'Ottavario dalla festa di S. Fermina, anche se viene per lo più associato alla festività di quest'ultima.
Olimpiade venne designato dall'Imperatore Diocleziano Prefetto di Amelia, con il compito di estirpare la fede di Cristo, per la cui diffusione la Vergine Fermina veniva prodigando tutte le sue energie. Convocata Fermina alla sua presenza, cercò inizialmente di farle rinnegare la fede cristiana con la minaccia dei mezzi coercitivi della legge; quindi, invaghitosi della sua persona, tentò con ogni mezzo di conquistarne il cuore. Impotente di fronte alla fermezza della Santa ed ammirato della sua virtù, cedette egli stesso al fascino che da lei emanava e, vinto dall' entusiasmo della Giovane per la fede cristiana e dalle sue preghiere, volle abbracciare anche lui la fede del Cristo.
Giunta notizia della sua conversione alle orecchie di Diocleziano, questi, al colmo dell'ira, inviò in Amelia il consolare Megezio, il quale sottopose Olimpiade ai più atroci tormenti, fìnché non sopraggiunse la morte, che, secondo la tradizione agiografica, sarebbe avvenuta il 1° dicembre dell'anno 303.
La Vergine Fermina avrebbe, poi, sottratto il corpo del martire all'ira dei suoi carnefici, facendolo seppellire in segreto nel suo possedimento presso Agoliano (comunemente, ma non concordemente identificato in località Luchiano), dove anch'essa, subito il martirio il 24 novembre del 304, venne a sua volta seppellita e dove il Vescovo Pasquale, in virtù di un sogno divinatorio, avrebbe, secondo la tradizione, rinvenuti i corpi dei Martiri, per traslarli, poi, nella Cattedrale amerina nell'anno 869. (1996)
5 - Il 5 Dicembre 1466 si discute, in pubblica cerna, circa un fatto incresciosissimo. Si tratta, infatti, di uno “scelus nefandum commissum per aliquos ex fratribus Sancti Francisci”, che però non viene precisato, in quanto si aggiunge soltanto dal cancelliere verbalizzante “prout omnibus notum est” com’è a tutti noto. Su tale doloroso avvenimento si dà menzione che venne scritto al Ministro Provinciale dell’Ordine “ut huc se conferat et puniat delicta commissa” perché venga in Amelia e provveda come meglio crederà alla punizione dei colpevoli di tali delitti, adoperandosi, nei modi più opportuni, “ad conservandam devotionem beati Franciscj” perché non venga ad essere intaccata la devozione verso il Beato Francesco.
Si propone, fra l’altro, di nominare da tre a cinque cittadini che coadiuvino il detto Ministro per l’accertamento della verità, affinché la punizione cada soltanto sui colpevoli, che “eradicentur de Civitate Amerie” siano allontanati (il testo dice letteralmente “sradicati”) dalla Città di Amelia e “ceteris vero transeat in exemplum” la punizione stessa serva di esempio agli altri. Si consiglia, anche, che “provideatur de bonis et honestis fratribus” si facciano venire -magari avvicendandoli ogni anno- degli altri frati di indubbia condotta, “uti frater Antonellus, frater Ludovicus, frater Romanus et frater Berardus” come frate Antonello, frate Ludovico, frate Romano e frate Berardo, che vengono citati quali esempi di onestà e vera devozione. (2010)
6 - L’Intendenza di Finanza di Terni il 6 Dicembre 1938 scriveva al Podestà di Amelia la seguente lettera:
“La Lotteria E 42 deve costituire la propaganda più popolare all’Esposizione Universale del 1942, al cui scopo la vendita dei biglietti deve essere diffusa quanto più è possibile fra ogni ceto di cittadini. Ho già inviato a codesto Ente Comunale di Assistenza alcuni biglietti della detta lotteria, che Vi prego di far vendere nel modo che riterrete più opportuno, anche tra gli impiegati di codesto Comune, svolgendo opera efficace con quei mezzi, che sono a Vostra disposizione”.
La lotteria suddetta non ricordo se venne mai estratta, ma l’Esposizione non ebbe certamente luogo per ragioni belliche.
Ad ogni modo, i mezzi di persuasione più o meno occulta di quei tempi per invogliare all’acquisto di un biglietto di una lotteria facevano ridere, se confrontati con quelli di oggi! (1999)
6 - Il 6 Dicembre 1524, con atto ricevuto dal notaio Francesco di Cristoforo, Giuditta, un’ebrea residente in Amelia, rinuncia all’eredità del padre. Il notaio riferisce che la rinunciante “juravit in litteris hebreis” giurò sulle scritture ebraiche, ma l’atto inizia, com’è giusto, “In Christi Nomine” nel Nome di Cristo. Tanto per dare a ciascuno il suo! (2014)
7 - Il 7 Dicembre 1438, nel Palazzo del Popolo, alla presenza del magistrato e dei testimoni, secondo quanto prescritto dalle consuetudini locali, il notaio Paolo Paolelli verbalizzò la pace fatta fra Giacomo M. di Amelia e Giovanni N. di Narni, lasciandocene la seguente edificante ed imperitura memoria:
“...fecerunt sibi ad invicem pacem et remissionem perpetuam pacis osculo interveniente de omnibus et singulis iniuriis, contumeliis et offensionibus hinc inde factis et perpetratis”; cioè si scambiarono il bacio della pace, perdonandosi vicendevolmente tutte le ingiurie, le contumelie e le offese “malo modo et irato animo” l’un l’altro arrecatesi.
E’ un bellissimo esempio di vivere civile che i nostri antenati ci hanno lasciato ed è un vero peccato che simile usanza si sia ormai perduta. Infatti, al giorno d’oggi, quanti sarebbero disposti a fare pubblica ammenda dei propri torti? (1998)
7 - Con atto ricevuto dal Notaio Giovanni Brancatelli il 7 Dicembre 1400, Il Priore della Chiesa di S. Fermina, Ven. Manno, a richiesta del chierico dela stessa chiesa Filippo Petruccioli e con tutte le formalità di rito ("secundum morem et consuetudinem") della Curia, convoca i canonici della Cattedrale, per accettare e ricevere "in canonicum et in fratrem" cioè come canonico e fratello "et stallum in choro et locum in capitulo", con la dignità dello stallo nel coro e del posto nel Capitolo, lo stesso chierico Petruccioli, "vigore cuiusdam brevis seu bulle apostolice" in virtù del breve del Pontefice Bonifacio IX, che lo nomina canonico della Chiesa di S. Fermina. Il canonicato si era reso vacante "per obitum" per morte di Santoro Ser Arcangeli. L'esecutore pontificio assegna al Petruccioli la terra della prebenda, "sita in contrata Burgi, vocabulo Civitavecchia, juxta muros" situata in contrada Borgo, al vocabolo Civitavecchia, presso le mura cittadine ed il Petruccioli, in segno di presa di possesso, coglie simbolicamente dell'erba nel terreno prebendale, perfezionando, in tal modo, l'accettazione del canonicato. (2005)
7 - Nel consiglio del 7 Dicembre 1527 si discute, fra l’altro, di una questione di razzia bovina:
“Cum fuerit et sit quod quidam boves per homines de monte campano fuerint via prede ablati hominibus de civitate hortana” poiché è avvenuto che alcuni buoi furono predati da parte di uomini di Montecampano agli uomini di Orte (una volta tanto si invertono le parti!) “inter quos boves sunt duo boves ambo pilaminis marinj et cum ob bonam viciniam et ad bonum esse et pro pace et quiete populorum hinc inde sit commissa restitutio per magnificos d.nos Antianos” tra i quali buoi ve ne sono due di pelame “marino” (che non si sa a cosa corrisponda) e poiché per ragioni di buona vicinanza e per il permanere del vicendevole pacifico stato e quiete fra le due comunità, ne è stata ordinata la restituzione dagli Anziani “et ad presens restituantur dicti boves pilamini ut supra Anselmo meneci capitis Albi de horte patrono dictorum boum ut supra ut dicitur” ed oggi stesso detti buoi dal pelame sopra citato verranno restituiti ad Anselmo di Menico Capobianco di Orte, che si dice essere il padrone degli stessi, “et quia forsan in futurum aliquis possit insurgere de proprietate dictorum boum tam contra communitatem Amerie, quam contra homines de monte campano” e poiché, forse, in seguito, qualcuno potrebbe rivendicare la proprietà dei detti buoi, tanto contro la Comunità di Amelia, che contro gli uomini di Montecampano, “ea propter Egregius vir d.nus Laurelius de Laurelijs de Ameria constitutus coram prefatis mag.cis d.nis Antianis”, a tal effetto, l’egr. Sig. Laurelio de’ Laurelis, amerino, costutuitosi dinanzi agli Anziani, alla presenza del notaio e cancelliere rogante e dei testimoni all’uopo assunti, promette solennemente agli Anziani stessi, stipulanti ed accettanti per conto e nell’interesse della Comunità amerina e degli uomini di Montecampano, di offrire ogni garanzia da qualsiasi danno che potesse derivar loro “dictorum boum ut supra redditorum occasione” dalla restituzione dei detti buoi. Segue la più ampia promessa di impegnare tutti i suoi beni per ovviare a ogni possibile evento dannoso nei loro confronti. In fine -ma proprio in fine- “dictus Anselmus dictum d.num Laurelium indemnem a dicta obligatione conservare promisit” Anselmo, il presunto proprietario dei buoi, promette di conservare indenne dalle conseguenze della sua assuntasi obbligazione il povero Laurelio Laureli.
E’ chiaro che, a scanso di equivoci, la Comunità amerina e gli uomini di Montecampano preferivano avere a che fare con uno di loro, di cui ben conoscevano la solvibilità, piuttosto che con l’ortano Anselmo! (2010)
7 - Nel consiglio del 7 Dicembre 1527, fra l’altro, viene affermato che “Magnificus Dominus Nicolaus de Jenga, qui ad presens hospitari dicitur jn castro macchie petit sibi provideri de aliqua victualiarum quantitate” il magnifico Signore Nicolò della Genga, che si dice sia presentemente nel Castello di Macchie, chiede che venga rifornito di una certa quantità di vettovaglie. Non sappiamo quali fossero i rapporti di detto Signore con il Comune di Amelia e per quale ragione ed a che titolo si trovasse a Macchie. Le riformanze, in proposito, dicono soltanto che “Eximius Ju. u. doctor Dominus Antonius Mannosius, unus ex consiliarijs” l’esimio Dottore in entrambi i diritti (civile e canonico), uno dei consiglieri presenti, “super dicta proposita dixit et consuluit quod mictatur dono unus sacchus panis” propone che si invii in dono (e quindi sarebbe da escludere un qualsiasi rapporto di dipendenza) al suddetto Nicolò un sacco di pane “et quod exponatur quod victualie que supererant sunt disposite inter homines pauperes de castro colcellj” e che si faccia presente che quanto dovesse avanzare di detto pane si distribuisca fra le persone indigenti del Castello di Collicello. La proposta viene approvata all’unanimità. (2011)
(2014)
7 - Il 7 Dicembre 1556 il Vescovo Giovan Battista Moriconi fa testamento con il notaio Fazio Piccioli. Dopo le consuete raccomandazioni dell’anima e richieste di perdono dei peccati per intercessione della Vergine, dichiara di voler venir sepolto nella Cappella di S. Biagio in modo modesto e con un piccolo tumolo, per il quale non si spendano più di quindici ducati. Lascia legati a tre figlie di suo fratello Stefano ed una possessione del valore di duecento ducati al suo allievo (“alumno”) Vico; tutto il resto al fratello Stefano. Nulla a chiese, monasteri ed all’altro fratello Antonio. Ma il 20 Giugno dell’anno successivo 1557, pentitosi, lo revoca. (2015)
8 - Si avvicinano le feste di fine anno e gli Anziani, l'8 Dicembre 1455, desiderosi che gl'interessi della comunità siano sempre ricordati e perorati presso le persone che possano comunque giovarle, dietro autorizzazione avuta dal Consiglio generale della Città, riunitosi il 23 Novembre decorso, stabiliscono di provvedere al donativo di pignattelli di fichi da fare al papa (Callisto III Borgia) ed a vari Cardinali, secondo il seguente elenco:
Al papa, 80 pignattelli; al Patriarca, 80; al Cardinale Colonna, 50; al Cardinale Firmano, 50; al Cardinale Orsini, 50; al Cardinale di S. Maria Nuova, 50; al Cardinale di Bologna, 30; al Protonotario Cardinale di Caprarola, 20.
Viene designato tal Giovanni Battista di Benedetto "ad inveniendos dictos pignatellos" alla ricerca dei fichi e, quindi, si conferisce al "provvidum virum Castagnelus Artemisi" l'incarico di partire per Roma, per effettuare la consegna del dolce frutto, corrispondendogli la somma di 50 bolognini per ogni centinaio di pignattelli, "cum hoc pacto quod dictus Castagnelus teneatur stare Rome pro dicto insenio fiendo" con l'obbligo che l'incaricato della consegna dei donativi si trattenga a Roma "duobus diebus continuis expensibus suis" per due giorni a proprie spese, "et si plus esset necesse stare, quod pro illis diebus ultra dictos duos dies stabit ad discretionem dominorum Antianorum" e se dovessero occorrere più di due giorni, per l'eccedenza si tratterrà a discrezione degli Anziani. (2007)
8 - L’8 Dicembre 1431 viene letta in consiglio la petizione di donna Margherita, vedova di Simeone di Sambucetole, la quale espone di venir continuamente molestata e richiesta di dover pagare le dative che s’impongono dal Camerario comunale. “Et cum ipsa sit pauperrima et habeat filios parvulos ita quod ipsamet et eius filios proprijs sudoribus suis et parentium elemosinis sibi datis nutrire opporteat” ed essendo lei poverissima con figli piccoli, tanto che le è necessario nutrire se stessa ed i figli con i propri sudori e con le elemosine largitele dai parenti, non vede come le sia possibile pagare dette dative. Chiede, pertanto, “amore dej et intuitu pietatis et misericordie” che le venga fatta grazia di ogni imposta sia presente che futura.
Il consiglio le accorda quanto richiesto “et pro futuro quousque suj filij erunt in pupillarj etate” esentandola da ogni imposta, finché i figli saranno in età minorile. (2009)
8 - Sotto la data dell’8 Dicembre 1527 nelle riformanze è riportato che gli Anziani, unitamente ad un rilevante numero di cittadini, “proponi fecerunt per me Angelum cancellarium jnfrascriptas propositas”, a mezzo del cancelliere Angelo, fecero effettuare le seguenti proposte, cioè:
“cum sit quod civitas diligenti indigeat custodia ob milites hinc inde prope quasi menia tumultuantes” poiché si è constatato che la città abbia necessità di una accurata custodia, a causa della presenza, fin quasi sotto le sue mura, di genti armate da più parti tumultuanti “et quia ultra populares ad cautiorem negociationem cives cum eis insimul custodiam agere in quibuscumque locis civitatis sanum et sanctum esset” e poiché sembra cosa giusta e sensata, a garanzia di una maggiore efficiente custodia della città, in tutti i diversi punti della stessa, che popolani e cittadini agiscano di comune accordo, “placeat maturo in hoc providere consilio”, si chiede di prendere su ciò una rapida e adeguata decisione. Il consigliere Pompilio Geraldini, definito “nobilitate prestans”, propone che “juvenibus et capitaneis electis” a giovani truppe scelte ed ai loro comandanti” sia conferita “omnimoda auctoritas et facultas” ogni migliore e più ampia ed estesa autorità “agendi faciendi et ordinandi, dispensandi et addendj prout eis visum fuerit” di agire, fare, ordinare, distribuire ed aggregare a sé altri, come sembrerà meglio, a loro esclusivo giudizio. La proposta riscuote unanimità di consensi.
Altra proposta riguarda un tal Fidio Roscetti, il quale “supplicat humiliter” umilmente supplica che per la pena alla quale è stato condannato il fratello Placido, per pagar la quale egli si è reso garante “occasione spretorum mandatorum jn casu sanitatis” avendo lo stesso trasgredito agli ordinamenti in materia di sanità, “sibi indulgeri, vel ad aliquam summam levem reduci” gli venga usata clemenza o, comunque, venga ridotta ad una minor somma e questo chiede “de gratia specialj” gli si conceda come grazia particolare. Il consigliere Laurelio Laureli propone “quod pena Phidij reducatur et sit reducta ad quinque ducatos de auro, solvendos per totam diem crastinam et de cetero fiat ei gratia liberalis” che la pena per la quale è tenuto a pagare Fidio venga ridotta a cinque ducati d’oro, da saldare entro l’indomani e, per il resto, gli si faccia grazia liberale. La proposta viene approvata con 14 voti favorevoli e 3 contrari. (2011)
8 - L’8 Dicembre 1392 il podestà esibisce in consiglio un “privilegium seu bullam” privilegio o bolla, rilasciatagli “in curia papali” nella curia papale, secondo la quale “cives et comitatini civitatis Amelie non possint nec debeant vocari seu trahi ad iudicium in primis causis civilibus et criminalibus extra civitate Amelie, ipseque potestas teneatur et debeat recipere et habere a dicto communi per complimento solutionis sui salarij” i cittadini e gli uomini del contado amerino non possono, né debbono esere citati in giudizio nelle cause civili e penali di prima istanza fuori della città di Amelia e lo stesso podestà -stante l’aggravio di lavoro a suo carico- dovrà percepire e pretendere dal Comune un aumento sul suo stipendio, che, per gli anni già trascorsi, è calcolato in circa 190 fiorini, salvo errore di calcolo (“eiusdem offici preteriti in Clxxxx florenis vel circha, salvo et reservato semper errore calculi”). E così gli amerini gli dovranno pagare anche gli arretrati! (2014)
8 - Al Comune di Amelia, in endemica carenza di contante, occorrono denari per saldare alla Camera Apostolica l’importo della fornitura del sale “et pro illius augmento”, dovendone anche accrescerne la quantità. Per provvedere i fondi necessari, ammontanti a centosettanta scudi, da dieci giuli l’uno, i quattro Anziani ed i quattordici cittadini eletti dal Consiglio Generale fra i nobili amerini l’8 Dicembre 1542 ricorrono -non potendo far di meglio- al Monte di Pietà, agli ufficiali del quale sono costretti a dare in garanzia la gabella del macinato, finché il debito non sarà stato completamente estinto. Sempre la solita storia: per coprire un tavolo, se ne dovrà sparecchiare un altro! (2014)
8 - Stefano di Bastiano, che era stato adottato da Fermiano di Giacomo, domanda di essere sciolto da tale adozione, “cum intendat et velit cum suo proprio patre stare, habitare et morari” intendendo e volendo restare ad abitare e vivere con il suo vero padre. L’adottante, riconoscendo la legittimità della richiesta, lo scioglie dall’adozione e da ogni obbligazione che ne possa derivare. Ma non ci potevano pensare prima? Dopo di ciò, l’8 Dicembre 1466 Stefano acquista dall’ex suo padre adottivo un terreno per ventiquattro ducati d’oro, quasi certamente sborsati dal padre effettivo. (2015)
9 - Dalla residenza anzianale il Segretario Raimondo Ciatti, in data 9 Dicembre 1816, fa pubblicare la seguente
“Notificazione
Adesivamente alla risoluzione consigliare dell’infrascritto giorno, dovendosi venire pria del novello anno alla elezione del Moderatore de’ pubblici orloggi, per anni due secondo prescrive il Moto proprio delli 6 luglio ultimo, colla solita provisione di scudi 20 annui, e col peso non solo della giornaliera moderazione, ma ancora della loro manutenzione in buon essere a conto proprio, quindi si porge al publico la notizia, affinché possano concorrervi quelli, che sono della professione, per farsene, dopo il corso di giorni quindici, la scelta per voti segreti dal Consiglio medesimo”.
Chissà se un “moderatore de’ publici orloggi” si riuscirà a trovare anche ai giorni nostri, in cui il tempo (ma soltanto sui quadranti dei detti “orloggi”) sembra siasi fermato ormai da molti mesi, magari senza dover attendere l’avvento del prossimo millennio? (2000)
9 - Il 9 Dicembre 1456, viene inviata agli Anziani una lettera "di tratta" del Capitano e Governatore dei Borgia (Callisto III era stato eletto papa da un anno ed otto mesi), per parte di un certo Andreasso di Terni, che aveva inviato ad Amelia dei suoi famigli, per farsi consegnare (a che titolo?) 50 some di grano. Gli Anziani fanno intendere al Governatore che, "a causa della morìa" (cioè della peste) non si è potuto seminare a sufficienza ed il raccolto del grano in Amelia è scarsissimo e, quindi, "humilmente suplicano S.S. Ill.ma che non permecta se ne cavi per alcuno, che saria cagione tollere la sostantia ali povari huomini li quali hanno bisogno, saria loro necessario andarsene via dove trovassero da vivere".
Speriamo che una tale ostentazione di miseria abbia commosso il Governatore e convincerlo a desistere dal suo ordine di prelievo, ma, avendo a che fare con i Borgia, ci è lecito dubitare del buon esito della supplica. (2001)
9 - "Cum magnificus dominus Tartalia de Lavello Capitaneus, etc. dicte Civitatis Amelie pro Sancta Romana Ecclesia Gubernator, hijs proximis futuris diebus, dante domino, ducere debeat eius magnificam consortem" Poiché il magnifico Signore Tataglia di Lavello, Capitano ecc. Governatore della Città d'Amelia per la Santa Chiesa Romana, nei prossimi giorni, per concessione divina, deve impalmare la sua magnifica sposa... Con questo preambolo si dà lettura, il 9 Dicembre 1418, alla prima proposta da discutere nel Consiglio dei X. "Cuius nuptijs et festivitati quamplurimi domini et magnates ac ambaxiatores circumstantium Civitatum et locorum debeant interesse" alle cui nozze e festeggiamenti molti signori, pezzi grossi e ambasciatori delle città e luoghi circostanti dovranno intervenire "et eidem M.co d.no Tartalie et dicte eius magnifice consorti dona et ensenia plurima presentare" ed offrire allo stesso Tartaglia ed alla sua magnifica consorte numerosi doni ed omaggi "et per nonnullos cives dicte Civitatis Amelie dicatur condecens et honorabile esse quod pro parte dicti Communis Amelie idem magnificus d.nus Tartalia in dictis nuptijs et festivitate visitetur et obstendendo gratitudinem de benefitijs et gratijs per dictum Commune a dicto mag.co d.no receptis et que speratur in posterum deo propitio recepturis" e da molti cittadini di Amelia si dica che, da parte del Comune sia cosa opportuna ed onorevole far visita, in occasione delle sue nozze e relativi festeggiamenti, al detto magnifico signore Tartaglia e dimostrargli gratitudine dei benefici e favori dallo stesso ricevuti e che, con l'aiuto del cielo, potranno ottenersi in futuro, "sibi aliquod honorabile donum et ensenium pro parte cuiusdem communis tribuatur et presentetur" ad esso, da parte del Comune, si offra e venga presentato qualche degno donativo.
Poiché la cosa riveste notevole importanza, si decide... di far decidere al consiglio generale, da convocarsi per il giorno successivo 10. Ed, infatti, in esso si propone che "donentur pro parte communis predicti centum floreni de auro" si donino al nubendo, da parte del Comune, 100 fiorini d'oro. Ma poiché -e ti pareva!- "ad presens penes Camerarium d.ti communis pecunia non existat" attualmente nelle casse comunali non vi è traccia di denaro, si propone che "sit imposita dativa" sia imposta una tassa adeguata alla bisogna, "solvenda tam per exemptos quam per non exemptos" da pagarsi da tutti, compresi gli esentati da altre imposizioni "que dativa solvi debeat pro tertia parte pro foculari et pro tertia parte pro capite hominum et pro reliqua tertia parte per granum et bladam de presenti anno recollectos" la quale tassa dovrà essere pagata per un terzo per focolare, per altro terzo "pro capite", cioè come imposizione personale e, per il restante terzo, dal raccolto di granaglie dell'anno corrente. Ma poiché per la presentazione del donativo "celeris expeditio requiratur" occorre provvedere celermente, "et dicta dativa tam ocius exigi non posset" e tale tassa non può venir riscossa altrettanto velocemente, si ricorra al credito da parte di coloro che saranno tenuti a pagare per la tassa testé imposta, cioè si chiede loro di anticipare quanto dovuto, con facoltà di scomputarlo poi da quel che risulterà ad essi richiesto.
Ci mancavano le nozze del Tartaglia a complicare la vita degli Amerini, come se non bastassero le preoccupazioni di tutti i giorni! (2006)
9 - Il 9 Dicembre 1330, fra l’altro, si delibera l’acquisto di una tromba (“ematur una Tuba”) “in servitium dicti communis et pro ea habenda, det et solvat camerarius communis C. soldos cortonenses” per utilità del Comune e, per averla, il camerario viene autorizzato a spendere 100 soldi cortonesi.
Inoltre, si delibera il pagamento di sette libre “Nerio magistri Jannis pro operibus et tegolis missis per eum in conciamine guardiolarum communis” a Nerio di Mastro Janni per il suo lavoro e per le tegole da lui fornite per racconciare le guardiole comunali.
Come si vede, la moneta corrente nel 1330 era ancora la libra di denari cortonesi, mentre nel nuovo statuto del 1346 figura già la nuova libra di denari perugini. (2008)
9 - Il 9 Dicembre 1753 viene letta in Consiglio una lettera scritta al Governatore di Amelia dalla Contessa Porzia Cenci Manfroni, la quale lamenta che “la strada detta del Pantanello”, che serve le sue proprietà, si è resa impraticabile, a causa delle molte frane e smottamenti dei terreni adiacenti e chiede, in modo abbastanza autoritario ed arrogante, che la Comunità provveda al suo riattamento. Segue un’esauriente perizia redatta da Luigi Falorgna e dal geometra Carlo Dionisi, relativa a detta strada, “principiando sotto e poco distante dalla V. Chiesa della Madonna SS.ma del Carmine detta delle Cinque”. Da essa, emerge che, dagli argini dei terreni di proprietà della Contessa Vittoria Archileggi, “sono calate alcune slamature di terreno, che occupano buona parte di essa strada”. I detti periti sono del parere “che la medesima Signora Archileggi debba far riaprire la forma antica per lo spurgo dell’acqua” e che, per eseguire il tutto, occorre “buona breccia, ad uso d’arte”, che “convien prenderla nel fosso detto di Spiccalonto”.
Il Capitano Olimpiade Studiosi, uno dei Dieci, espone che, dalla perizia, risulta “che il devastamento della strada del Pantanello sia proceduto per colpa dell’adiacenti, che non hanno mantenute le forme per lo spuorgo dell’acqua”. Propone, quindi, “che dagl’adiacenti istessi, et a spese de’ medesimi s’aggiusti la detta strada, tanto più che la strada del Pantanello non è strada consolare, e benché per essa possa andarsi a Viterbo, serve per una scortatora (scorciatoia), essendo la strada che conduce a Viterbo quella di Via Piana, adaggiata e commoda, dove passano tutti vetturali”. La proposta dello Studiosi viene approvata all’unanimità. (2008)
9 - Nell’assemblea del 9 Dicembre 1527 urge provvedere a diverse incombenze, fra le quali “fratres confessores sanitatis petunt sibi provideri unde vivant, tam de pane, vino et carnibus et alijs opportunis et necessarijs ad victum” i frati confessori che si occupano dei malati chiedono che vengano riforniti di mezzi di sussistenza: pane, vino, carne e quant’altro necessario al loro vitto. Si propone che, alle esigenze dei frati, si provveda con denari ricavati dal pagamento delle pene “evenientibus ab inobedientibus propter pestem” provenienti dall’applicazione delle multe iinflitte a coloro che non osservarono le disposizioni emanate per evitare il contagio della peste, nonché dal ricavo della vendita dei pegni depositati “penes hebreum” presso l’ebreo.
Inoltre, sta per giungere “cicchus de Viterbio ferrarius, qui requisitus et vocatus extitit sepe sepius per licteras communis ut huc se conferat ad laborandum, cum promissione apotece gratis” il fabbro Cecco da Viterbo, il quale più e più volte è stato sollecitato con lettere del Comune per convincerlo a venire qua ad esercitare la sua arte, con promessa di fornirgli gratuitamente la bottega. Si propone “quod grate cicchus ferrarius recipiatur et provideatur ei de domo pro habitatione et de apotheca expensis et sumptibus communis” che ben volentieri si riceva il fabbro Cecco e che lo si provveda sia di casa di abitazione, che di bottega, a tutte spese del Comune. Si vede proprio che gli Amerini, in quel periodo, avevano un gran bisogno di fabbri e che, sul luogo, non si trovava nessuno capace di “battere un chiodo”! (2010)
9 - Nel consiglio decemvirale del 9 Dicembre 1537 fra gli argomenti da trattare, che vengono proposti dall’Anziano (“Prior”) Pompilio (Geraldini), figura una supplica presentata da Angelo Trafalzani, condannato a pagare tre ducati per blasfemia. Il maggior consiglio, riunitosi lo stesso giorno, gli riduce la pena ad un terzo. Si esamina, quindi l’istanza di Onofrio Assettati, creditore verso il Comune per la somma di dieci scudi: la decisione del consiglio generale è la seguente: “solvantur in aliqua gabella non obligata, quae est gabella Platee, videlicet pro qualibet sextaria scutum unum” il credito dell’Assettati si soddisfi con i proventi di una gabella non ancora impegnata e, precisamente con quelli della gabella di Piazza, in ragione di uno scudo per ogni sei mesi e, quindi, l’Assettati riavrà i soldi che avanza nel giro di cinque anni. Aspetta e spera ...
Un altro argomento riguarda come finanziare la fabbrica del torrione di Porta Busolina. Il consigliere Bartolomeo Petrignani, “vir prudens”, propone di destinarvi la metà di quanto ricavato dalle pene pecuniarie applicate per reati commessi, “ad hoc ut citius edificari queat”, affinché la costruzione possa procedere con maggior celerità. Si approva con un solo voto contrario.
Si passa, quindi, a trattare di un argomento di carattere mercantile: si chiede che “quilibet mercator” ogni commerciante “mensurare debeat cum brachio seu passetto magno et non parvo, sub pena scutorum quinque” debba misurare la merce avvalendosi del braccio, ossia del passetto grande e non di quello piccolo, alla pena di cinque scudi. Le misure lineari anteriori all’adozione del metro potevano variare da luogo a luogo: il passetto poteva oscillare da oltre un metro a circa sessanta centimetri; c’è, comunque, da scommettere che il provvedimento adottato tendesse a difendere i consumatori dalla speculazione dei commercianti, propensi ad adoperare misure che li avrebbero favoriti. La proposta viene approvata, pur con sette voti contrari, quasi certamente di provenienza ... “commerciale”! (2012)
9 - L’Associazione (“Arte”) dei fabbri, nei suoi capitoli, prevedeva un articolo, secondo il quale, nelle ore vespertine dei sabati, il lavoro nelle officine doveva cessare. Sorta controversia sulla sua applicazione, se ne discute il 9 Dicembre 1510 davanti al Vicario del Vescovo, Rev.do Pier Domenico de Amandola, il quale, dopo aver ascoltato i singoli, sentenzia doversi rimuovere quella disposizione, lasciando però libertà a chi volesse seguitare ad osservarla. Il verbale viene redatto dal notaio Francesco Cristofori. (2014)
10 - Nelle riformanze viene puntualmente trascritto il testo "cuiusdam brevis Apostolici" di un breve apostolico, con il quale papa Alessandro VI Borgia esorta il suo Luogotenente di Terni-Rieti-Amelia, in data 10 Dicembre 1502, affinché ai "Magnificis viris Dominis Antianis, Amicis et tamquam fratribus" sia rivolta la seguente richiesta:
"Cum consuetum sit in festo Nativitatis Domini nos venerabilibus fratribus nostris S.R.E. cardinalibus dona et ensenia mittere" poiché è consuetudine che, nella ricorrenza del Natale, noi (papa) mandiamo ai nostri fratelli cardinali regali ed omaggi, a tal fine vi richiediamo "ut per istam provinciam vestram per illius Communitates venationes et aucuparia fieri faciant" che, dalle comunità della vostra provincia si approntino cacciagioni ed uccellagioni, "ac quicquid animalium et avium capi poterit copia per ipsas communitates ad nos mitti facias, ac capones et gallinas et alia altilia in qua poterit copia" e farci mandare qualunque quantità di animali si possano prendere dalle dette comunità, nonché capponi, galline ed altro grasso pollame, nella maggiore quantità possibile.
In buona sostanza, i doni del papa ai cardinali dovevano uscire dalle tasche (e dai piatti!) dei poveri Amerini! (2004)
10 - Il 10 Dicembre 1527 nelle riformanze è riportato un singolare contratto:
“Cum fuerit et sit quod quedam equa xisti de pedecolle detineatur in hospitio ad jnstantiam superstitum sanitatis pro quadam pena per eum jncursa ut dicitur dicte sanitatis causa” poiché fu ed è tuttora tenuta presso l’ospedale, a richiesta del soprastante della sanità, una cavalla di proprietà di Sisto di Piedicolle, in scomputo di una pena da lui incorsa per aver contravvenuto a disposizioni in materia di sanità, viene stipulato, con tanto di testimoni, un vero e proprio contratto di affidamento della cavalla di Sisto, da parte degli Anziani, a Giovan Battista Archileggi, il quale “dictam equam in se suscepit et dicte eque se depositarium vocavit” prese in consegna la bestia, dichiarandosi depositario della stessa “et eam ad instantiam communis et jn ea interesse habentium promisit tenere et eam non reddere sine licentia dictorum d.norum Antianorum”, promettendo di custodirla a richiesta del Comune e degli aventi diritto e di non restituirla senza la espressa licenza degli Anziani.
E, così, per colpa -o, in questo caso, per merito- del padrone ed in sua vece, la cavalla di Sisto si ritrovò a compiere una buona azione, aiutando gli ammalati degenti in ospedale! (2010)
11 - Sta per giungere dalle nostre parti l’esercito di Carlo VIII, calato in Italia, invogliato da Lodovico Sforza e da Alessandro VI e si teme il peggio. Nella seduta consiliare dell’11 Dicembre 1494 si decide “mictere statim unum sufficientissimum oratorem” mandare immediatamente un valido oratore -che verrà nominato in persona di Giacomo di Salem de Sandris- al re di Francia e “ad Rev.mum Dom. Cardinalem Sancti Petri ad Vincula et eisdem supplicare ut dignent felicissimum (!) exercitum Sue Magestatis a regionibus nostris avertere” al Cardinale di S. Pietro in Vincoli, supplicandoli che si degnino far passare il “felicissimo” esercito di Sua Maestà lontano dalle nostre regioni “ne quid dampni et detrimenti Communitati Amelie exinde proveniat” affinché non ne possa derivare qualche danno e perdita alla Comunità amerina. Felicissimo quanto si vuole, ma a debita distanza! (2008)
11 - “Ad tutelam civitatis opus esset habere hic aliquem hominem qualitatis, famae, et conditionis” per la sicurezza pubblica, occorrerebbe aver qui una qualche persona di gran qualità, reputazione e condizione: è quanto si legge fra le “urgenze” sulle quali decidere sotto la data dell’11 Dicembre 1527; “et cum Ill.mus D.nus horatius de balionibus sit Protector civitatis Amerie et in eo multum confidamus” e poiché l’illustrussimo Orazio Baglioni è il Protettore (di turno) della Città di Amelia ed in lui si ripone la massima fiducia, “bonum esset ad suam d.nem recurrere et ab eo jmpetrare aliquem qui hic suo nomine resideat”, sembrerebbe un buon espediente ricorrere al suo benevolo dominio e da lui impetrare l’invio di persona di sua fiducia, che possa risiedere, a suo nome, sul luogo. Si propone, da parte di Giovan Battista Archileggi -“nobilitate fulgens et eloquio” uomo rifulgente per nobiltà ed eloquenza- “quod jmploretur a d.no horatio quod unus de duobus aut d.nus Stefanus Sandrus vel d.nus Pyrrhus geraldinus huc se conferat eius nomine per sex aut octo dies pro communibus occurrentijs” che si richieda al Baglioni di inviare qui a suo nome o Stefano Sandri o Pirro Geraldini, per sei o otto giorni, per sopperire alle impellenti necessità della Comunità “et qui eorum venerit gerat secum Patentes licteras prefati d.ni ad hoc ut civitas habeatur jn maiori respectu, sue enim dominationis jntuitu miranda erit civitas et non tangenda” e chi dei due verrà, porti con sé la lettera patente consegnatagli dal Baglioni, affinché la nostra Città acquisti più ampia considerazione e, a maggior prestigio di quest’ultimo, sia piuttosto da ammirare, che da prendere sotto gamba.
Ad ogni buon conto ed a scanso di sorprese, il bravo Archileggi propone che la scelta cada su di una persona di provata capacità ed esperienza e -soprattutto!- che sia Amerino! (2010)
12 - La predicazione di Fra’ Fortunato da Perugia, dell’Ordine dei Frati Minori, contro l’usura praticata dagli ebrei in forza delle condotte stipulate con il Comune di Amelia, comincia a sortire i suoi effetti.
Il 9 Dicembre 1470 il Gonfaloniere Angelo Petrignani, nel Consiglio dei X, fa presente la gravità della situazione venutasi a determinare in seguito al monopolio del credito in mano ai banchieri ebraici e, quindi, su esortazione del detto predicatore, propone di nominare quattro o sei cittadini , per cercare, come si è già fatto nella Città di Perugia (fin dal 1462) ed in molte altre città, di costituire e dar vita ad un Monte di Pietà.
Il Consigliere Artinisius q. Benedicti presenta la proposta di convocare per il dì seguente il Consiglio Generale degli Anziani, per deliberare, fra l’altro, la nomina di quattro cittadini deputati ad incontrarsi con il predicatore Fra’ Fortunato, al fine di predisporre, in associazione con esso, le norme che dovranno regolare l’attività del costituendo Monte di Pietà.
All’unanimità, il Consiglio Generale degli Anziani nomina Ser Artinisio del quondam Benedetto, Ser Alberto Jacobi di Veraldo, Pietro Ciardi ed Arcangelo del quondam Luca “ad predicta ordinanda, deliberanda et exequenda” per il disbrigo ed il perfezionamento di quanto deliberato.
Finalmente, il 12 Dicembre 1470 segna la data di nascita della nuova istituzione benefica. Gli Anziani Angelo di Giovanni Petrignani, Gonfaloniere, Gabriele di Ludovico e Pietropaolo (alias Larriccha) ed i quattro come sopra eletti, in corpo e deputazione si recano, dalla Piazza di Santa Maria di Porta alla Chiesa di S. Francesco e, quivi, si incontrano con Fra’ Fortunato predicatore. Riunitisi in una cella del convento, “fecerunt longum et varium ratiocinium” fecero un lungo e articolato conciliabolo, stilando l’atto costitutivo del nuovo Monte di Pietà, che prese il nome di “Monte de la Pietà et de la Fraternita de Santa Maria de li Layci d’Amelia”.
Per dotare la nuova istituzione del capitale operativo iniziale, si stabilì di alienare una parte dei beni della detta Confraternita, quanti ne fossero necessari per ricavarne cento ducati d’oro.
I ventidue capitoli dell’atto costitutivo del Monte di Pietà vengono, poi, commentati, nella forma e nella organizzazione, dal Vescovo Mons. Ruggero Mandosi, con sua pastorale del 17 dicembre e Padre Fortunato, da parte sua, in una predica tenuta dal pulpito di S. Francesco per il seguente giorno di S. Stefano, li illustra convenientemente al popolo di Amelia. (1997)
12 - Il 12 Dicembre 1860, le Marche e l’Umbria sono unite all’Italia. (1998)
12 - Nei "Capitula Montis Pietatis Confraternitatis S.te Marie Laycorum" stipulati il 12 Dicembre 1470, "acciò che tutto el populo amerino sia levato de tanto grande et nefandissimo pecchato ed de usure et scomonicationi in le quali erano incorsi per capituli usurari facti per la comunità d’Amelia con Magistro Salamone de Magistro Emanuele da Orto" nell’anno 1460, si stabilisce, innanzi tutto, che detti capitoli "se intendano essere cassi, irriti et annullati et de nullo valore". Inoltre, al punto 7, si stabilisce che gli addetti all’esercizio del Monte “non possano prestare a nissuna persona più che tre ducati in tucto, a bajocchi septantaduj per ducato in una volta o più nel tempo de nove misi né a più persone” facenti parte di una stessa famiglia ("socto uno focho"). (1999)
12 - Nel consiglio decemvirale del 12 Dicembre 1478, poiché "gratia omnipotentis dei factus sit aer saluberrimus in Civitate nostra et alienus ab omni suspicione pestilentie et alibi non sit ita" per grazia di Dio, l'aria, nella nostra Città, è tornata saluberrima e libera da ogni sospetto di pestilenza, mentre altrove non è così, occorre provvedere a mantenerla in tale felice stato. Nel maggior consiglio che si tiene il dì seguente, si stabilisce "quod ianitores portarum teneantur, vinculo iuramenti non permittere intrare quempiam forensem nisi per portam Pisciolini" che i guardiani delle porte cittadine, sotto vincolo di giuramento, siano tenuti a permettere l'accesso a qualsiasi forestiero soltanto dalla porta Busolina, sotto pena di mezzo ducato per ogni trasgressione; inoltre, che, per detta porta ogni forestiero possa entrare soltanto esibendo uno speciale permesso ("bullectino") rilasciato da cittadini a ciò delegati. Ancora, che i venditori ambulanti che vengono da Giove, Attigliano, Guardea, dal territorio di Todi ed altrove, "possint intrare libere et secure" possano liberamente entrare "cum iuramento tantum quod non venerint de locis pestiferis" ma debbano attestare sotto giuramento che non provengono da luoghi dov'è ancora la peste. Ma ci sarà poi da fidarsi del solo giuramento? (2007)
12 -Il 12 Dicembre 1472 Antonio Vetti Moriconi -quasi certamente un membro della nobiltà cittadina- presenta nel consiglio decemvirale una supplica nella quale espone di essere stato condannato dalla curia del podestà a pagare 50 libre di denari in seguito ad un processo formato dall’ex podestà Carolo de Cesis, a causa di una presunta rissa con Francesco Paolelli, Andrea Menici ed altri, con percosse che si dice da esso inferte ad uno dei suoi interlocutori. Aggiunge, inoltre, che in detto processo, il supplicante non ha ottenuto i benefici della confessione del reato e della pace avuta con gli altri litiganti, perché da lui non richiesti, in quanto la presunta rissa ebbe inizio “animo ludendi et iocandi ut fit inter socios et amicos” per scherzo e per gioco, come avviene tra compagni ed amici e poiché “tam postea quam prius inter ipsos fuit et sit continuata et continuatur bona amicitia sotietas et pax ac benevolentia” tanto prima, quanto dopo tale episodio, fra di loro vi sia restata e vi sia tuttora buona amicizia, alleanza, pace e benevolenza; non sarebbero stati quindi necessari né la confessione, né un apposito istrumento di pace, come previsto dallo statuto in simili casi, “attento quod pax et benivolentia viget et est inter ipsos”, in considerazione che tra di essi vi è tuttora un rapporto di reciproca buona amicizia. Il supplicante chiude la sua perorazione chiedendo che, in considerazione di quanto esposto, non gli vengano negati i detti benefici.
Nel consiglio generale del giorno seguente, ottiene quanto richiesto. (2008)
12 - Nel consiglio decemvirale del 12 Dicembre 1478 vengono esaminate alcune suppliche.
La prima è quella di Desiderio detto Francioso “che conciosia cosa ipso sia venuto per habitare vivere, et morire in questa V. M. Ciptà et cusì desydera l’exemptione et per alcuni tempi finché non fa qualche fundamento in decta Ciptà non vorria essere gravato ad alcuno pagamento et exactione personale et foculare, per laqualcosa humelmente supplica alle prefate V. M. S. se dignino farlo exempte et immune de capofoco et de altre graveze (che) se poneranno per lo advenire ... per quel tempo (che) parerà alle V. M. S. consyderato anchi che più habilmente (facilmente) se po fare perché alpresente omne cosa se paga per gabella, anche V. M. S. siano usate de farlo alli altri (che) vengono ad habitare in questa V. M. Ciptà et quantunche sia iusto et honesto et de rascione, nientedemanco lo receverà ad gratia singolare dalle V. M. S. quale dio exalti et conservi come quelle desiderano”.
Altra supplica viene presentata “per parte del vostro fidelissimo servitore hippolyto de cechino deAmelia, dicente et exponente che dellanno presente fo constrecto dalli officiali del potestà che era in quel tempo et misso in nella camera (carcere) per piccola cascione et perché in quel tempo se giva ad metere, essendo desyderoso de guadagnare, lo decto supplicante uscì per la finestra della decta camera et per questo fo condennato in L.ta (50) ducati de denari come se referisce allacti, per laqual cosa recurre lu decto hyppolito alle V. M. S. che per acto de misericordia li siano remissi li benefici tucti como alli altri è solito ad fare et de quello che vene condennato ... se obliga gire in servitio del comuno o vero dare lavorio (prestare opera) in palazo che se fa (si costruisce), attento la sua povertà et simplicità et questo se domanda de gratia speciale dalle V. M. S. le quale dio ad vota conservi”.
Una terza supplica è presentata “per parte del vostro fidelissimo servitore Petruccio de Antonio dalla Penna, exponente como per lu Spec.le homo petropaulo de Betto da Peroscia (1473) già potestà de Amelia fo condennato in lavita perché se dice lui retrovarse in la tenuta de Amelia ad pigliare Antonio de Manni dal decto castello della penna, el che non fo né porriase mai trovare con verità. Et de questo farà fede per (si potrà provare da) tucti li homini della penna (che) lui era de lugni (lontano) dal decto Antonio quando fo preso et menato più de uno miglio et mezo. Et trovandose la cosa essere cusì como decto petruccio expone, se reccomanda ad V. prefate S. che essendo lui et li soi sempre essere stati fidelissimi servitori et schiavi della decta ciptà et homini de epsa, se dignino decta causa recommettere (rivedere) et trovandose innocente como lui è, ve dignate farli cassare decto processo et condemnatione, acciò possa uscire et praticare in la V. M.ca Ciptà como innocente et como sempre ha facto. Et questo quantunche li pare iusto per la sua innocentia, tamen (tuttavia) lo receverà dalle V. prefate S. ad gratia singolare, le quale dio conservi in prospero et felice stato amen. Et della decta condemnatione contra lui facta dice apparire (risultare) in nelli libri delle condemnationi facte al tempo del potestà decto, delle quale appare per mano de Ser Mariano de Ludovico da Vissi (Visso) allora notaro de malificij desso messer lo potestà, al quale ipso supplicante se referisce”.
Le decisioni in merito, prese nel maggior consiglio del giorno successivo, prevedono, per Desiderio, immigrato di chiara origine francese (Francioso), l’esenzione da imposte per 25 anni, da iniziare “quando ducet uxorem suam” da quando andrà a condurre seco sua moglie; per Ippolito, che gli si concedano tutti i benefici di legge e il residuo della pena “scomputetur sibi in faciendo laborerium pro comuni” lo scomputi in prestazioni d’opera per la Comunità. Quanto, poi, a Petruccio di Penna, se il fratello di Antonio Manni, deceduto, lo scagionerà, avuta con lui la “pace”, si proceda alla revisione del processo e si assolva da ogni accusa. (2009)
12 - Nel consiglio del 12 Dicembre 1527 tra gli altri argomenti, si tratta della relazione di una particolare ambasciata:
“d.nus Pyrrhus geraldinus orator missus ad d.nam Panthasileam de’ balionibus pro impetranda aliqua frumentorum quantitate ab ea” Pirro Geraldini era stato inviato a Pantasilea Baglioni, per la concessione, da parte sua, di una certa quantità di grano. In proposito, occorre fare alcune precisazioni. Bartolomeo d’Alviano, che aveva sposato Pantasilea in seconde nozze, era passato al soldo della Serenessima fin dal 1498. Deceduto nell’Ottobre del 1515, sua moglie, con il figlio Livio, era giunta a Pordenone -concesso in feudo da Venezia a Bartolomeo per i meriti da lui acquistati nei confronti della Serenessima- nel 1517, a prenderne possesso e, nel 1527, era ancora lassù, dove resterà fino alla maggiore età del figlio Livio, nel 1529, quando si trasferirà definitivamente ad Alviano. Si deve, quindi, credere che l’ambasceria del Geraldini sia avvenuta non a Pordenone -data l’enorme distanza- ma ad Alviano, durante uno dei frequenti spostamenti della vedova di Bartolomeo in quest’ultimo centro, dove i suoi eredi possedevano ancora dei beni. Di ritorno, il cronista rende noto che il Geraldini “refert multa de bona jntentione dicte domine” fece una dettagliata relazione circa le buone intenzioni di Pantasilea ad accondiscendere alle richieste fattele, tanto che il consiglio delibera “quod d.no Pyrrho oratori destinato reddantur grates” che all’ambasciatore incaricato sia tributato un ringraziamento ufficiale. (2010)
12 - Per non incorrere nel pericolo di carestie, in Amelia è vietata l’esportazione del grano. Il 12 Dicembre 1505 Nicolò di Menico Capostoppe trasgredisce e viene arrestato. Angelo Antonio Geraldini garantisce per lui e Nicolò viene rimesso a piede libero. (2014)
13 - Papa Paolo IV, a mezzo di Mons. Fabio Mirto, Vescovo perugino, Governatore Generale della S. Sede per la città di Perugia e per tutti i castelli e luoghi dell’Umbria, facenti parte del Patrimonio di S. Pietro, fa richiedere, ai Comuni soggetti, il pagamento del sussidio annuale, da versare per far fronte alle esigenze finanziarie della Sede Apostolica.
Gli Anziani di Amelia, convocati il 13 Dicembre 1556 in Consiglio Generalissimo, su proposta del suo membro Vincenzo Crisolini, eleggono quattro persone che stipulino con esso Governatore l’atto di concessione del sussidio.
Con tale istrumento, viene pattuito in 950 scudi d’oro l’ammontare di quanto dovuto per il detto titolo.
Paolo IV, ma quanto ci costi! (1998)
13 - Il 13 Dicembre 1415 Capitan Tartaglia di Lavello scrive agli Anziani:
"Per altra lettera ve scrivemmo che ve piacesse havere recomendato lo Spectabile Cavaliere messer Berardo vostro potestà et agevelarlo (sic) delloffitiali et dela famigla (sic) come fu agevelato et tractato messer Gregorio de Marcellini nellofficio suo precessore (predecessore) Et non pare habiate facto niente, dela qualcosa ce maraviglamo (sic). Et pertanto de nuovo ve pregamo. Et omnino (assolutamente) volemo che lo dicto messer Berardo vostro podestà sia tractato et agevelato delli offitiali et famigla nela forma che fo (fu) tractato messer Gregorio predicto perché none (non è) de menore conditione messer Berardo che fosse messer Gregorio. Et pure sapete che messer Berardo è tucto nostro si che deverite fare senza contentione (resistenza)".
La lettera, scritta da Toscanella (odierna Tuscania), richiama gli Anziani all'obbedienza, per non aver con la dovuta sollecitudine trattato nel modo più riguardoso Berardo, che gode dell'amicizia del Tartaglia, che lo considera "tutto suo". Chi vuole intendere, intenda! (2007)
13 - Il 13 Dicembre 1490 il consiglio decemvirale è chiamato, fra l’altro, a prendere atto della supplica presentata da “Gaietano de Lupo Schiavo el quale advenga prima statesse (stesse) certo piccolo tempo in Amelia et suo contado, partecte per povertà; hora novamente è ritornato con cinqui figlioli ad habitare nel vostro Castello de Sancto focetulo, advenga mo staga (stia) ne la capanna de fora ad effecto ... de vivere et morire luj, lifiglioli et tucti soi in dicto loco, sopto la ombra de questa magnifica Comunità. Ma perché la povertà el grava et ha gran fameglia, se recommanda ale V. M. S. ale quale supplica li piacerà et per intuito de pietà exentare luj et li figlioli tucti almeno per annj vinticinque comensando mo, o secondo ad V. M. S. piacerà, ad ciò che in lo tempo de la sua immunità da concederli se (che) non possa né per dativa, né per altra graveza o pagamento de qualunche cosa sia essere in alcuno modo né da officiali né altri per cagione de alcuno peso o conditione molestato. El che demanda de gratia speciale et per misericordia da le V. M. S. le quale Dio conserve in bono stato et exalte. Et questo non obstante alcuna cosa in contrario”.
Altra supplica viene presentata da “Matheo Zoppo Sclavo, dal vostro Castello de Sancto focetulo scriviona (schiavone), condennato in certa somma de denari, como in libri de mallefici appare, per cagione del maleficio da luj commesso como in libri predicti se demostra, in la persona de Blasio Sclavo del dicto loco, unde è condennato in octo o dudici librj (libre) de denarj, o circa, secondo in dicti libri se contene, oltre che essendo lapso (scaduto) el tempo, in maior pena è caduto. Unde se recommanda ale V. M. S. et prega li faccia gratia liberale, attenta la sua fede et povertà, et che se li casse el processo. El che rechiede de speciale gratia da le V. M. S. quale Dio exalte”.
Nel maggior consiglio del giorno seguente si delibera di concedere a Gaetano di Lupo esenzione da ogni imposta per i prossimi venticinque anni ed a Matteo Zoppo che, pagati due ducati, gli venga fatta grazia del residuo della pena. (2010)
14 - Sotto la data del 14 Dicembre 1787 risultano trascritte nelle riformanze comunali due dichiarazioni rese dinanzi agli Anziani, del seguente rispettivo tenore:
1) Dichiarazione resa dal Canonico Carlo Assettati:
"rappresentando (cioè fa presente) come tenendo in educazione due suoi fratelli nel Collegio di S. Angelo di questa Città, sotto la cura delli P.P. Somaschi, (i) quali hanno l'obbligo ... per il legato del fu Flavio Boccarini nostro patrizio di mantenere di vitto e Maestri 20 giovani nobili, o cittadini, ed essendo questi per lo più trattati da questi P.P. così male, che oltre la scarsissima tavola, li danno per lo più il pane di cattiva qualità ed a conto (cioè contato) e perciò non sufficente al di loro sostentamento ed essendomi io stesso fin da due anni fà portato dal P. D. Giuseppe Pauseri antecessore dell'odierno P. Vicario D. Andrea Rossi a ricorrere per il sopradetto cattivo trattamento che si dava alli giovani alunni, il medesimo ebbe il coraggio di strapazzarmi in maniera che giunse ad intimarmi che non avessi ardire d'entrare più nel Collegio; a tutto questo ora s'aggiunge che il detto P. Andrea Rossi sempre continuando di male in peggio, essendo fin giunto a dare a bere alli medesimi il raspato di cattivissima qualità, facendoli altresì continuamente mancare il pane, attesa la scarsezza che gle (sic) ne fa dare, onde determinai di portarmi, unitamente con il Sig. Canonico D. Giovanni Guazzaroni, che v'ha due nipoti, il Sig. Conte Giovanni Piacenti ed il Sig. Giacinto Vera, che ambedue vi tengono un loro figlio, per il medesimo effetto la sera delli 8 del corrente mese, a ricorrere dal detto P. Vicario, il quale, con il cappello in testa come da fuori in quel momento era ritornato, c'introdusse nelle di lui cammere e senza darci da sedere, con somma improprietà rispose alle nostre giustissime istanze, trattandoci da susurroni calunniatori, ed altri simili termini, e sopragiunto il laico Fratel Giovanni Menghi con aria torbida e minaccevole, stimammo bene d'andarcene per usare tutta la prudenza, ed in quest'atto senza che il medesimo usasse quell'atti di convenienza che porta il dovere, ci fece soltanto accompagnare con il lume dal laico. In vista dunque di quanto ho esposto, mi sono determinato di presentarmi alle Sig.rie Loro Ill.me perché vedino non solo di riparare a sconcerto così grande, ma altresì prendere un necessario rimedio sopra la qualità de' Maestri d'educazione e di scuola . Confida dunque il Comparente che voglino degnarsi prendere quei mezzi necessari, che possono condurre al fine di riparare una volta a tanti disordini non solo per l'educazione e dottrina che per il vitto; ed in caso contrario si protesta di ricorrere in Roma a Chi sarà di raggione".
2) Dichiarazione resa dal Conte Giovan Maria Piacenti e da Vincenzo Guazzaroni:
"... quali avendo i di loro rispettivi figli in educazione in questo Collegio detto di S. Angelo sotto la direzzione dei P.P. della Congregazione di Somasca, quali sono obbligati di mantenere sì di Maestri, che di vitto nove giovani o nobili, o cittadini, come per il legato del fù Flavio Boccarini nostro amerino patrizio, e siccome non ostante le rappresentanze fatte dalli nostri figliuoli a questo P. D. Andrea Rossi odierno Proposito di questo Collegio, per cui in corpo gli si presentarono, acciò rimediasse al cattivo trattamento che da lungo tempo soffrono sì per il vitto, e segnatamente per la scarsezza del pane, che glielo danno a conto, e ancora perché invece di vino gli si fà bevere il raspato di cattiva qualità, ed infine perché non solamente nella cammerata sono carichi d'immondezze, ma di tutti l'insetti, che per pulizia non si nominano, aggiungendo a tutto questo venir essi obbligati ai servizi non convenienti alla loro nascita, e perciò trattati assai peggio dei laici del Collegio, essendo uno di essi laici quello che regola il tutto, attesa l'età giovanile del nominato Superiore, che appena tocca l'anni trenta, e non avendo i poveri figlioli potuto ottenere niente, che anzi ne ricevettero una fierissima strapazzata dal detto P. Proposito con la minaccia che in avvenire gli avrebbe trattati assai peggio, seguitoli quanto si è detto, manifestarono a noi sottoscritti quanto gli accadeva, perché rimediassimo a tanto disordine, per tale effetto ci determinassimo la sera degl'otto corrente di andare a fare con tutta convenienza la rappresentanza di quanto succedeva al detto P. D. Andrea Rossi, il quale ebbe il coraggio di trattarci con una maniera così impropria non che villana, che ci vergognamo rammentarla, per cui non avendo potuto ottenere dal medesimo niente di ciò che per dovere è obbligato, ci siamo determinati di presentarci alle Sig.rie Loro Ill.me, che avendo avuto sempre a cuore tanto i studi, che il buon trattamento a vantaggio de' giovani alunni tenuti nel nominato Collegio, vogliano con tutta la maggior premura rimediare non solo a tanto aggravio, ma prendere riparo sull'interessante affare dei Maestri, per i quali il nostro Pubblico paga alli medesimi centocinquanta scudi annui per far la scuola alla gioventù della Città, quali Maestri attesa la loro giovanile età, sono incapaci di far scuola, che anzi hanno essi estremo bisogno di riceverla, fremendo i poveri nostri Concittadini di vedere gittato così inutilmente il sopradetto pagamento, motivo assai forte per cui sperare mai potremo di avere giovani capaci e bene educati, mancando sì al Superiore, che alli Maestri tutto ciò che si richiede, per cui si vedono mancare il concorso alle scuole ogni anno più, accorgendosi pur troppo ognuno della Città di quanto da noi si è rappresentato, non hanno i Comparenti alcun dubbio che le Sig.rie Loro Ill.me non tralasceranno premura per un affare così premuroso, per cui prenderanno quei necessari espedienti, che siano di riparo a danni così rilevanti, che in caso diverso si protestano i sottoscritti di ricorso al Supremo Tribunale". (2006)
13 - Il 13 Dicembre 1485 viene stipulato un singolare atto fra alcuni maestri comacini presenti in Amelia ed i canonici del Capitolo:
“I maestri fabbricatori Martino di Pietro de Acutio, diocesi di Como, Martino Tartaglia di Vagli di Valle Lucana, Pietro di Antonio di Valle Lucana, Stefano di Cristoforo di decta Valle, Beltrame di Mastro Antonio di decta Valle, Tomaso Giovannini di Como, Giovanni Giacombini del Lago Maggiore, Cristoforo di Meneco di Val Lucana, Bertolomè di Antonio di Domo Dosine (?), Pietro di Gianni di Como, Cristoforo di Lucano, tutti lombardi, a nome anche di altri lombardi che stanno a fabbricare in Amelia, o che vi verranno in avvenire, indotti dalla massima lor divozione a laude ed onore verso dell’onnipotente Creatore e della gloriosa Sua Madre, la dolcissima Vergine Maria e della beata Vergine e Martire S. Lucia e di tutti Santi e Sante, promettono e convengono coi canonici capitolarmente congregati in coro, di riparare, fabricare, edificare, murare a tutte loro spese la chiesa di S. Lucia -pareti, volte, tetto- ed ivi fare e conservare tre o quattro sepulture per loro uso, a queste condizioni: che il Rettore pro tempore di S. Lucia sia obbligato alla cura delle loro anime, esistenti insino ad un miglio fuori della Città et accedere ad confitendum et ad comunicandum come per gli altri parrocchiani di S. Lucia, associare i loro cadaveri e farli seppellire in dette sepolture e ciò va inteso anche pe’ lombardi che in avvenire dimorassero in Amelia, e che i lasciti fatti o da fare a favore della Chiesa siano amministrati da due lombardi e da un canonico eletto dagli stessi”.
E’ quanto leggesi fra gli appunti autografi tratti dagli atti del notaio Alessandro di Angelo, da Mons. Angelo Di Tommaso, già Priore della Cattedrale di Amelia. (2014)
14 - Nel Consiglio speciale del 14 Dicembre 1415 si fa presente che "cum undique ab inimicis nostris simus ossessi et sit de summa necessitate attendere ad bonam et sollicitam custodiam nostre Civitatis et comitatus" poiché da più parti siamo assediati dai nostri nemici ed è della massima necessità provvedere ad un'efficace e sollecita custodia della Città e del contado "et facere expensas quamplurimas pro reparatione status nostre Civitatis" ed improntare tutte quelle spese che necessitano al riguardo "et aliqua quantitas pecunie non est in commune pro ipsis expensis faciendis, oportunum est ergo providere unde et qualiter fiant dicte expense" ed in Comune non vi sono soldi bastanti a provvedere a tali spese, si ritiene perciò opportuno decidere dove e come possano trovarsi i soldi. Si delibera di trattarne nel consiglio generale, che viene convocato lo stesso giorno. Qui Ugolino Jacobuzzi propone "quod dominus potestas et Antiani debeant eligere unum hominem pro qualibet contrata et illi electi una cum ipsis dominis habeant auctoritatem fieri faciendi custodiam civitatis et comitatus" che il podestà e gli Anziani eleggano un uomo per ciascuna contrada, i quali, insieme ai detti podestà ed Anziani, abbiano autorità di provvedere alla custodia cittadina e del contado "et possint et valeant imponere prestantias quibus et quantum eis videbitur expedire" e possano imporre prestiti forzosi per quegli importi che essi riterranno necessari "et habeant plenam auctoritatem durante tempore guerre quam habet totum commune Amelie" e la loro autorità si conservi per tutto il periodo che durerà lo stato bellico nel territorio amerino. Ma poiché l'incarico degli eletti dovrà durare un solo mese, gli Anziani ed il podestà dovranno provvedere, con scadenza mensile, ad eleggere cinque nuovi uomini, sempre ciascuno per contrada. Ed a ciò si proceda "usque ad guerram finitam" finché la guerra non sarà finita. (2007)
14 - Il 14 Dicembre 1723, dinanzi agli Anziani ed ai rappresentanti dell’Ospedale di S. Maria dei Laici, viene formulata la seguente proposta:
“Mons.re Ill.mo e R.mo nostro Vescovo, che con indefessa cura et attenzione invigila al bene di questa Città, propose al nostro Segretario che sarebbe stato non solo ben fatto, ma necessario di provedere, come in altre Città, di due Maestre per le Ragazze povere, che si vedano disperse vagar per la Città, senza chi le istruisca nel timor de Dio, nelli Misteri, et erudimenti della Fede, e nelli lavori donneschi; e perché ciò porta di necessità qualche spesa, dovendosi proveder sufficientemente dette due Maestre, si è pensato apegnarli (destinarvi) due dell’elemosine dotali, che era solito dare il nostro Ospedale; e per il resto sua Signoria Ill.ma si espresse, che le farebbe provedere di qualche onesta quantità di grano dalle Confraternite della Città”.
La proposta, “ridondando in onor di Dio, et in util così evidente del prossimo”, viene approvata. (2008)
14 - Gli Anziani, a mezzo dell’aulica prosa del Cancelliere Battista Mariani Sanctis de Quarantoctis di Norcia, il 14 Dicembre 1472 scrivono a Nicolò Cocle “de Peloponniso” la seguente lettera:
“Tibi Strenuo Equiti domino Nicolao Coclidi concivi nostro dilecto, tenore presentium ac vigore nostri offitij, bonis et rationabilibus causis mentes nostras monentibus, damus et liberaliter impartimus in custodiam et tutelam ad beneplacitum nostrum et nostrorum in offitio successorum unum petium terre silvatum situm in tenimento eiusdem nostre Civitatis Amelie in Vocabulo Sancti Focetuli in contrata Sancti Leonardi, juxta et prope muros Ecclesie Sancti Leonardi, fossatum Sancti Angeli et fossatum Sancti Leonardi et alia latera, cum potestate arbitrio et baylia detinendi et accipiendi animalia secures ac res et bona quecumque cuiuscumque hominis et persone in dicta silva damnum dantis propria auctoritate”. Eccone una libera traduzione:
A te, strenuo cavaliere e Signore Nicolò Cocle, nostro diletto concittadino, a tenore della presente lettera e per autorità del nostro ufficio, con le nostre menti stimolate da degni e ragionevoli motivi, diamo e liberalmente concediamo in affidamento e tutela, per il nostro beneplacito e per quello dei nostri successori nell’ufficio, un appezzamento di terreno boschivo, sito in territorio della nostra Città, in Vocabolo Sambucetole, in contrada S. Leonardo, a confine con i muri della Chiesa di S. leonardo, i fossi di S. Angelo e di S. leonardo, oltre ad altri confini, con poteri, arbitrio ed autorità di sequestrare e ritenere animali, scuri e qualsiasi altra cosa di ogni e qualunque persona che fosse trovata in detto terreno ad arrecar danno.
Cicerone, se ci sei, batti un colpo! (2009)
14 - Sotto la data del 14 Dicembre 1527, nelle riformanze risulta annotato quanto segue:
“Eximius Artium et medicine doctor Magister Jo. bap.ta Petrutius de mevania, Phisicus communis Amerie, qui se hinc de diebus elapsis contulit” l’egregio dottore delle arti mediche Maestro Giovan Battista Petrucci di Bevagna, medico-fisico del Comune di Amelia, che da qui era partito nei giorni passati, “et cui ad remeandum concessa fuit aliqualis dilatio et standi aliquantis per ulterius jn patria” ed al quale era stata concessa una certa proroga per tornare ed il permesso di rimanere per alquanto tempo nella sua patria, “sub dicta die xiiij dicti mensis Ameriam redijt, et coram mag.cis d.nis Antianis se exhibuit” sotto il detto giorno 14 del citato mese tornò in Amelia e si presentò ai Magnifici Signori Anziani. (2010)
14 - Nel consiglio del 14 Dicembre 1527, con il concorso di gran numero di cittadini, si dibatte su argomenti della massima rilevanza. “Habetur novum certum S.mum D. N. clementem septimum jn civitatem Urbis veteris nuper advenisse applicuisseque” Si ha notizia certa che papa Clemente VII sia giunto e si sia stabilito ad Orvieto “procul dubio sanum et sanctum esset” e non v’è alcun dubbio che sia cosa ragionevole e doverosa “ad condolendum de adversitatibus, congratulandum de libertate et dona dandum ad suam Beatitudinem destinare oratores” inviare ooratori a Sua Beatitudine per manifestargli le condoglianze per le avversità da lui sopportate, a congratularsi con lui per la riacquistata libertà e ad offlirgli doni.
(Vale la pena, a questo punto, ricordare sommariamente che tipo di “adversitates” erano occorse al papa. Dopo l’irruzione, in Roma, dell’esercito di Carlo V, avvenuta il 6 Maggio precedente, il seguìto sacco della Città e la prigionia del pontefice in Castel S. Angelo per ben sette mesi, dopo lunghi negoziati e l’esborso di molto denaro, con la compiacenza di alcuni ufficiali, il 7 Dicembre Clemente VII riuscì a fuggire dal Castello, lungo il “Passetto” di Borgo e lasciare la Città, travestito da venditore ambulante e, quindi, riparare ad Orvieto. Di materia per dolersi prima e rallegrarsi poi ce n’era anche troppa!)
Aurelio Boccarini propone di inviare due oratori “et pro nunc eant sine munere; qui dum erunt jn urbe veteri jntelligant si alie communitates dederunt munera” e, per il momento, non portino alcun dono al papa; una volta giunti ad Orvieto, s’informino se le altre comunità abbiano recato doni. In caso positivo, “rescribant et postmodum provideatur de munere et quod fiant luminaria et favores sollemniori modo poterit” lo facciano sapere ed, in seguito, si provveda al regalo; per il momento, si eseguano luminarie e manifestazioni di simpatia, nel modo più solenne possibile. Laurelio Laureli è, invece, del parere che “ad hoc ut tempus jn eundo et redeundo non conteratur”, per non perdere troppo tempo nell’andare e tornare, “gerant munus centum ducatorum in argento si poterit reperirj ad evitandum graviores impensas” per evitare maggiori spese, portino con sé cento ducati in argento, se si potranno trovare; altrimenti “gerant centum scudos” portino cento scudi e “si alie communitates obtulerunt munera, ipsi etiam offerant” se le altre comunità offriranno doni, facciano altrettanto. Quest’ultimo parere sembra improntato a maggior buonsenso e riporta l’approvazione.
I due oratori da inviare al papa risultano eletti nelle persone di Laurelio Laureli e Giovanni Battista Archileggi. (2011)
14 - Il 14 Dicembre 1535 il Luogotenente Gabriele Bianchelli scrive da Terni agli Anziani e al Podestà di Amelia la seguente lettera:
“Magnifici Viri Amici nostri carissimi, ce fa intendere Messer Octaviano Sorbolo già vostro potestà essersj appellato da una sententia contra lui data da li scindicj sentendose grandemente gravato di (da) quella; pertanto ... siamo certi (che) V. M. non dovete pensare, pendente termino appellationis seu prosequtionis eiusdem (in pendenza del termine di appello o di prosecuzione della causa) innovare alcuna cosa, nientedemeno per tenore de la presente vi ordinamo et commettemo, sotto pena de ducati cinquecento di oro da applicarse ala Camera apostolica, non debiate alcuna cosa, pendente decto termine, jnnovare né pensare se innovj contra dicto Messer Octaviano overo sue securtà né farlj impedimento o molestia alcuna sin tanto che la causa non sia terminata dali superiorj nantj (innanzi a) li qualj luna parte e laltra reportarà bona justitia ...”.
Nel consiglio speciale seguìto il giorno 16, Pier Francesco Racani propone che la questione del Sorbolo venga esaminata e discussa nel consiglio generale, che si riunisce lo stesso giorno. In esso, Pompilio Geraldini -definito “vir gravissimus et Amator Patrie”- propone -”divina prius facta invocatione” premessa un’invocazione a Dio- che “si Dominus Potestas (cioè il Sorbolo) solverit” se pagherà 25 ducati e 74 bolognini, “de reliquo fiat sibi gratia sine preiudicio tertij” del residuo gli si faccia grazia, senza pregiudizio delle eventuali ragioni di terzi. La proposta viene approvata con 42 “palluctas albas, non obstantibus octo nigris” palline bianche e 8 nere.
Non si conoscono le accuse mosse all’ex-podestà in sede di sindacato, né se quest’ultimo avrà accettato la detta proposta del Geraldini ma, “pro bono pacis”, è assai probabile che ciò sia avvenuto. (2012)
15 - Il 15 Dicembre 1471 si esaminano alcune suppliche.
La prima è presentata da “cuiusdam pauperrimi Zenchari vagabundi detenti in compedibus per curiam presentis potestatis occasione mallefitij commissi in et contra personam Joannis Pauli filij Ser Benedicti Petri rasi de Amelia” un tal poverissimo zingaro vagabondo tenuto in ceppi dalla curia del podestà, per un reato commesso contro Giovanni Paolo, figlio di Ser Benedetto di Pietro Rasi di Amelia e chiede di venir liberato “cum habeat pacem cum parte offensa” avendo avuto il perdono dall’offeso. Gli vengono condonati i tre quarti della pena e viene rimesso in libertà.
Altra supplica viene presentata da Angela, moglie di Ventura di Astolfo e da Giacomo, figlio dello stesso Astolfo, che espongono di essere stati condannati dalla curia del podestà per aver, essa Angela, nel passato mese di Agosto, percosso “una alapa presbiterum Paulutium” con uno schiaffo, prete Paoluccio ed il di lei figlio Giacomo, nello stesso periodo, aver percosso lo stesso prete Paoluccio “cum una furcha de ligno in flancho” in un fianco con una forcina di legno. Poiché la condanna venne pronunciata in contumacia “et indefensi propter ipsorum ignorantiam et paupertatem” e senza che si siano potuti difendere, a causa della loro ignoranza e povertà ed esponendo, essi ricorrenti, “fuerunt et sunt potius offensi quum offendentes” di essere loro la parte lesa, piuttosto che quella offendente, chiedono di potersi opportunamente e legittimamente difendere “ne subeant penis ubi non est culpa et ne innocentia ledatur” per non essere assoggettati a pene quando non vi è colpa e non venga punita l’innocenza. La loro richiesta di una revisione del processo viene accolta.
Si esamina, infine, la supplica presentata da tal Giacomo Antonio Marte, di Foce, il quale espone di esser venuto alle mani con suo fratello Francesco, ora deceduto e di averlo ferito ad un orecchio con fuoruscita di sangue, per la qual cosa venne condannato dal podestà a pagare 105 ducati. Dichiara di aver avuto pace con l’offeso e con i suoi eredi ed, essendo poverissima persona, si è reso latitante, vagando “hinc inde” qua e là, considerandosi privato anche del luogo di nascita. Chiede di poter godere di una riduzione della condanna, offrendosi di tornare nel Castello di Foce “sicut prius habitabat” come vi abitava in precedenza. La decisione del consiglio gli riduce la pena pecuniaria ad un quarto, da pagare ai suoi figli e l’obbligo a partecipare, a proprie spese (per conto della comunità amerina) al “ludum Testaciorum Rome per duos annos proxime futuros” al gioco del Testaccio a Roma, per i prossimi due anni. (2008)
15 - E’ giunto -abbastanza in ritardo, rispetto a quanto si pratica oggi- il tempo “macinandi olivas” di molire le olive ed il giorno 15 Dicembre 1398 “ordo sit dando per consilium generalem quanto pretio salma olivarum debeat macinarj” dev’esser dato l’ordine da parte del consiglio generale a qual prezzo alla salma debba essere eseguita la relativa molitura. Si propone di riconfermare il prezzo dell’anno precedente e non oltre.
Si esamina, poi, la supplica presentata “pro parte pauperum et humilium servitorum Guardiani et fratrum loci et ecclesie vestre S. Francisci” da parte dei poveri ed umili guardiano e frati del convento e chiesa di S. Francesco, i quali, “ad istantiam et requisitionem eiusdem communis et dominorum Antianorum mutuaverint ... communi prefato quatraginta salmas calcis pro constructione arcis collicelli” su richiesta e ordine del Comune e degli Anziani, prestarono allo stesso Comune 40 salme di calce, da impiegare nella rocca di Collicello. “et pluries a dictis fratribus fuerunt requisiti Antiani prefati qui minime eorum votum adimplere curaverunt” e, pur essendo stati gli Anziani richiesti dai frati più volte, per la restituzione della calce, non se ne dettero per intesa. Poiché “dicti fratres dicte calcis indigeant pro reparatione loci prefati” i frati hanno necessità di detta calce per riparare il loro convento, “intuitu pietatis nec non debito rationis ita et taliter providere ut eisdem fratribus de dicta calce satisfiat vel saltem de condigna mercede” a titolo di pietà, se non anche per debito di ragione, venga provveduto alla restituzione ai frati della calce o, per lo meno, di un equivalente in denaro. Si delibera di provvedere quanto prima (“celerius”) a spese del Comune. (2009)
15 - Il 15 Dicembre 1541, d’ordine degli Anziani, si riunisce il comitato dei cittadini, eletti dagli stessi l’11 precedente, nelle persone di Cioccio Baglioni, Paolo Carleni, Simon Pietro Farrattini e Marco Cascioli, per esaminare i Capitoli sulla fornitura del sale alla comunità di Amelia, presentati da Ser Gerolamo Geraldini, dopo bandimento fattone dal “trombetta” Gian Francesco di Marco “per totum diem S.te Marie, qui fuit 13 dicti mensis” per tutto il giorno di S. Maria, che fu il 13 del mese.
I Capitoli esibiti dal Geraldini sono i seguenti:
“Jo Hieronimo Geraldino offerisco dare el sale de la Comunità de Amelia dandome la Comunità li denari per le spese de dicto sale et andare ad mie spese per mio victo.
“Jtem voglio che la Comunità me dia un julio per Rugio (rubbio), per distribuire … , secundo la Comunità ordinarà ne(l) libro computatore, el sale del Colcello et Fractuccia.
“Jtem accadendo alcun danno in decto sale non voglio essere tenuto ad danno alcuno, cioè de guerra et de peste che Dio el cessi et de jndunatione (inondazione) de acque et de represaglie et de esser rubato.
“Jtem si alcuno de quelli (che) me serranno (risulteranno) scriptj allibro del sale et non venissero ad pigliare el sale che dala Comunità li fosse ordinato, non voglio essere obligato ad rescotere, ma li S.ri Antiani ne habiano la cura.
“Jtem li denari che se rescoterando (riscuoteranno) de decto sale me offero pagarli in mano de lj S.ri Antiani et mostrare et rendere conto del ricevuto.
“Jtem la Comunità me dia per calo vinti libre de sale per rubio, excepto del Colcello et Fractuccia.
“Jtem del sale de Porchianesi osservare quello (che) è stato fatto per Cotone (un probabile precedente fornitore).
“Jtem tucti quelli pagarando (che pagheranno) el sale debiano pagare ad bona moneta de sale”.
Detti capitoli, “coram eos exhibita et per eos recte visa pluriesque perlecta et mature considerata et inventa pro Communi meliora” dopo l’avvenuta esibizione ai cittadini eletti per il loro esame e dopo essere stati dagli stessi scrupolosamente esaminati e maturamente considerati, essendo stati rinvenuti i più convenienti per la Comunità, “prefati cives electi unanimes et concordes dicta Capitula elegerunt darique dictum sal mandaverunt dicto Ser hieronymo” vengono unanimememte e concordemente approvati dai preposti e concessi al Geraldini per l’appalto della fornitura. (2012)
15 - Il 15 Dicembre 1508 il notaio Taddeo del fu Giovanni Artinisi redige il testamento di Giacomo del fu Polideo Franchi, con il quale lascia erede universale sua figlia Vittoria, avuta da Smeraldina, ma se Vittoria dovesse morire senza prole, il testatore istituisce eredi le “pizzocchere” di S. Francesco, compresa la sua casa in Via Piaggiola, dove esse potranno andare ad abitare.
Il nome “pinzoco” o “bizzoco”, di origine incerta, denotava anticamente uomini e donne generalmente appartenenti al terz’ordine francescano, organizzati in associazioni che, nei secoli del basso medioevo, conducevano la vita in devozione, con o senza voti di povertà e castità, in protesta contro il lusso dell’alto clero. (2014)
16 - Tale Andrea “altramente dicto Forlano”, cioè di probabile origine friulana, aveva presentato, fin dal 24 Novembre, petizione agli Anziani ed al Podestà “conciosia cosa che luj sia desposto ne la vostra terra demorare quanto dio li prestarà la vita et exercetare la sua arte del ferro cioè serrature, statere et altri ferri li quali al presenti per li magistri de questa terra non se sanno fare”. La richiesta era stata approvata con 82 voti favorevoli e 7 contrari (fra i quali ultimi non è da escludere qualche permaloso concorrente).
Poco tempo dopo, il 16 Dicembre 1422, il buon Forlano si trova costretto a tornare alla carica, perché, per poter fare “statere nove et racconci et assecti de le vecchie”, gli necessita che gli “diano li pisi (cioè i pesi approvati dal Comune) “come se richiede”.
Da buon friulano, Andrea non vede l’ora di iniziare a lavorare e attende con impazienza che gliene venga data la possibilità, non essendo per lui concepibili le lungaggini della nostra burocrazia! (1998)
16 - E' il 16 Dicembre 1387. Occorre urgentemente reperire fondi per numerose, pressanti spese. Necessita provvedere "pro stipendio famulorum missorum in campum contra Civitatem Narnie, rebellem S.te Matris Ecclesie" per pagare gli armati mandati contro Narni, ribelle alla Chiesa. Bisogna, inoltre, rinnovare il privilegio concesso alla Città di Amelia da "T. de Orsinis, Cardinale de Manoppello". Occorre pagare anche gli stipendi alle scolte notturne all’esterno della città e pensare di reperire fondi "pro honore faciendo (cioè per le onorificenze da fare) Magnificis Militibus d.no Karolus Brancatio et d.no Johannes Augut" ai Magnifici Militi Carlo Brancaccio e Giovanni Acuto (il celebre condottiero John Hawkwood, meglio conosciuto come Giovanni Acuto, che Paolo Uccello immortalò nella chiesa di S. Maria del Fiore, per i meriti acquistatisi al servizio di Firenze). C’è da pensare anche al salario per un messo da inviare incontro al napoletano Bartolomeo Carafa, nominato Vicario di Amelia.
Urge provvedere anche alla riparazione dei molini ad olio, "cum tempus sit mandandi olivas" essendo giunta l’ora di molire le olive. "Et pecunia nec introitus sint in Comuni ad presens". Ma non ci sono denari. Che fare?
La questione è assai importante e richiede la decisione del Consiglio Generale, che viene convocato per l’indomani.
Si propone di imporre nuove tasse, essendo questo anche allora l’unico sistema conosciuto per rimpinguare le esauste finanze pubbliche e gli Amerini sono chiamati ancora una volta a porre la mano in tasca ed a tirare la cinghia. (1999)
16 - Il 16 Dicembre 1415 Paolo Orsini scrive da Narni ad Anziani, consiglio e Comune di Amelia:
"Notificamovi come (che) semo in Nargne. Se voy volete essere servitori de Sancta Chiesa come credemo de sì piacciave de volere stare come servitori de Sancta Chiesa, et non vivere partialmente come altre volte havete facto. Se questo volete fare la intentione nostra è de vivare et vicinare (avere rapporti di vicinanza) bene con voy. Piacciave dichiararci de vostra intentione. Ceterum (inoltre) ne maraviglamo come non havete remandate le cose de Mezobudello, piaciave subito remandarle et non falli".
Gli Anziani, il giorno seguente 17, rispondono all'Orsini:
"Havemo receputa vostra lettera, de la quale inteso el tenore respondemo (che) noy sempre fummo semo et intendemo dessere figluoli de santa chiesa. Et de cio quelli che sono Rectori et governatori de sancta chiesa sono pienamente informati. (Per) Gratia de dio in noy altra partialità non è. Nostra intentione è de ben vicinare con tucti quelli che sonno (sic) servitori de Sancta Chiesa. Et maxime (specialmente) con voy essendo (che siete) servitore et amico de sancta chiesa como (come) dite. Vero è che noy semo sotto 'l governo del Magnifico Capitano Tartaglia Rectore del patrimonio per sancta chiesa, al quale notificaremo vostra lettera et secondo che per lui ci sarà comandato, così faremo noto a la Magnificenza Vostra. Dolemoci assay de modi tenuti in questi dì contra de nuy dal Nargnesi, coi quali amichevolmente (ma non troppo!) vicinavamo con pacti fermi et con loro sugelli che sì mortal guerra cianno (ci hanno) mossa senza cascione non guardandoci da loro. E che più ce dole havere prese le nostre femene cosa inusitata. La roba de Mezo budello havemo facta rendere como scrivete".
La replica dell'Orsini non si fa attendere. Il 18 scrive:
"Veduta vostra lettera ala mia responsiva (in risposta alla mia) replico come mia intentione è bene essere fedele et servitore de santa chiesa et che (questo) sia vero possete mandare a Monsignore lo legato a saperlo et trovarete questo essere verità. Ma che voy vogliate dire che sete sotto al governo de Tartaglia et che secondo (quanto) da esso ve sarà comandato cossì farrite, dico che né Tartaglia né altri non possa impacciarsi de vostri facti né daltro governo in nome dela ecclesia, senno (se non) quanto sarà piacere et volontà de Monsignore lo legato. Et così so (sono) certo (che) voy site de simile volontà. Et per ciò io aspecto vostra finale risposta. Et se trovo vuy disposti ala ubidientia prefata senza altro riservo (riserva) ve tractarò come cari amici. Et essendo el contrario, el contrario farrò, benché io penso sirrete (sarete) savij". Per quanto riguarda le donne -della vicenda delle quali non è dato sapare di più- l'Orsini scrive "procurarò farle rilassare".
Il giorno successivo, 19 Dicembre, nuova risposta degli Anziani:
"Respondemo ala vostra nela quale dite che Tartaglia ne altri savara (si avrà) ad impacciare de nostro governo più che sia de volontà de Monsignor lo legato, dicemo chel M.co C.(apitano) T.(artaglia) ci fu dato ed assegnato per Rectore et governatore, come appare per bolla patente de Monsignore lo legato e del collegio, e cossì semo disposti ubedire ali comandamenti soi per fino a tanto chel contrario non apparesse. De la parte che (Per quanto) dite sappiamo da Monsignore se (che) voy intendete essere servitore de sancta chiesa, questo senza altro domandare lo credemo, et enci a noy (è a noi) molto caro. Le femine nostre pregamo la M. V. nele facciate rendere e questo riputaremo da voy assingolar piacere".
Come bene emerge dalla sopra riportata corrispondenza fra Paolo Orsini e gli amministratori amerini, troppi erano a comandare in nome della Chiesa ed il maggior rischio, per coloro che dovevano ubbidire, era di inimicarsi qualche potente e subirne ricatti, soperchierie e ritorsioni. (2007)
16 - Il 16 Dicembre 1471 viene stipulato un atto di donazione, da parte del Comune di Amelia, a favore del greco Nicolò Cocle “de Peloponiso”, di un terreno di circa tre quartate, parte coltivato a vigna e parte sodivo, in agro di Sambucetole.
E’ interessante esaminare qualche parte dell’atto, anche per avere un’idea della forma ampollosamente fiorita adoperata in quel tempo dai notai in tal genere di stipulazioni.
Da parte del Comune, si costituisce il Sindaco e procuratore Giacomo di Torriana (“sindicario et procuratorio nomine communis et hominum Civitatis Amelie”), il quale agisce “cum consensu presentia et voluntate atque decreto” con il consenso, la presenza, la volontà e l’autorizzazione degli Anziani Ser Abele di Ser Paolo, Porfirio Barti e Paolo Berca, assente il loro collega Cherubino Nicolai. Lo stesso Giacomo di Torriana, “vice et nomine dicti communis” in nome e per conto del Comune, “sponte, titulo donationis inrevocabiliter inter vivos donavit dedit tradidit cessit concessit transtulit atque mandavit et remisit domino Nicolao Coclidi de peloponiso de partibus grecie civi Ameliensi, presenti, stipulanti et recipienti per se suisque heredibus ac successoribus unum petium terre partim vineate et partim sodive situm in territorio Civitatis Amelie in Contrata S.ti Focetulj factum tre quartatarum vel circa, juxta rem Ecclesie Sancti Blasij, rem Georgij ... de Lacuscello et bona dicti Communis et alia lata, cum omni jure actione petitione successione reale et personale utili et directa tacita et expressa” ecc. ... La donazione viene fatta sotto condizione che il donatario Nicolò Cocle, per i prossimi dieci anni, non possa vendere, pignorare o donare il terreno ricevuto. E’, infine, singolare rilevare il luogo dove avvenne la stipulazione dell’atto: “in coquina superiori palatij residentie dominorum Antianorum” nella cucina superiore del palazzo anzianale!
La donazione faceva probabilmente parte degli accordi stipulati tra il Comune di Amelia ed il Cocle, quando lo stesso assunse l’impegno di portare alcune famiglie di suoi connazionali a ripopolare il Castello di Sambucetole. (2009)
16 - Il 16 Dicembre 1412 il Rettore del Patrimonio Michele Cossa, che si definisce e si firma -senza ombra di pudore- “domini nostri pape nepos” nepote del papa o, meglio, dell’antipapa Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa), scrive da Viterbo agli Anziani la seguente missiva:
“Maravigliamone assai non avete mandati sexcento ducati del sussidio deli quali come savete N. S. ne a gran bisugno (e chi ne avrebbe dubitato?) et non avete facto vostro dovere et se volete allegare che li denari vengono ad pericolo (cioè viaggiano senza garanzia che possano arrivare) Sapete bene chel debito è aduciate lidenari e qui (ce li facciate pervenire) come anno facto et fo (fanno) laltre terre circunstante Et poi che ogi occorse lavenuta de Armando et de pilao et del fratello et de Francisco nostro famiglo che erano in tucto da xx cavalli potevano li dicti denari venir securi. Tamen (tuttavia) per satisfare a vostra intentione simo suti (stati) co messer Francisco comissario de N. S. Et operato si che per nostro amore et contemplatione ve a facta la quitanza de la decta quantità (quanta premura!) laqual ve mandamo per ludecto Francisco nostro famiglo accompagnato come vederite alqual darrete la decta quantità de vjc (seicento) ducati et sej ducati per ludecto comissario come de rascione et de usanza glivene (che chi riscuote abbia un proprio tornaconto, sembra più che giusto!). Et tucto questo avemo operato per vostro respecto et amore (e chi ne dubita?!), Et se parte de lidecti denari avete in moneta procurate o de mandare tucto oro, o mandate ludebito lagio dela moneta (se non saranno tutte monete d’oro, dovrete inviare la differenza di valore), Jnsuper (inoltre, vi facciamo presente che) de comandamento de N. S. simo domeneca admatina per andare ala S. sanctità. pertanto perché simo et serrimo sempre disposti a tucti vostri piaciri in genere et spetie quanto per nostri figloli (quanta benevolenza!). Mandatecelo adire se alcuna cosa avimo dafare et farimolo volontieri. (l’unica cosa che avrebbero desiderato gli Amerini è di non essere più molestati!) Valete feliciter (State bene felicemente, se ci riuscirete!). (2011)
17 - Dalla Direzione Provinciale di Polizia di Spoleto, il 17 Dicembre 1818 viene comunicata al Gonfaloniere di Amelia la seguente disposizione:
“La Santità di Nostro Signore (il papa) è stata informata che parecchi Sudditi Pontifici si sono portati a studiare le Scienze nelle Università degli Stati Esteri. Questa notizia ha fatto con dispiacere conoscere a Sua Santità, che i suoi Sudditi posponendo le Università dello Stato alle straniere, danno al publico una idea di avvilimento nel ramo di publica istruzione dello Stato Pontificio, quando all’opposto la Università di Bologna è fornita di buoni Precettori, i Collegi di Ravenna e di Cesena sono fornitissimi, contando circa novanta Convittori, che fanno progressi nella Pietà e nello Studio e per tacere tant’altri stabilimenti di publica Educazione. La Università della Sapienza di Roma, ed il Collegio Romano somministra alli Studiosi un largo campo di potersi perfezzionare(sic) nelle Scienze.
“Se altri Sovrani non permettono ai proprj Sudditi di trasferirsi in Suolo Straniero per apprendere le Scienze, a più buon titolo deve Sua Santità adottare questo sistema, nella vista non solo di economia publica, ma eziandio di Religione, sul rifesso, che i Precettori delle rispettive Università e Collegi dello Stato essendo approvati dal Sovrano sono da Lui conosciuti i morali principi di ognuno. Per tal motivo, la Superiorità mi ha ordinato di significare a V.S. di non permettere di ora innanzi a’ suoi Amministrati di recarsi alle Estere Università, negando loro il Passaporto, e di non reiterarlo a quelli, che già vi si trovassero trasferiti qualora ritornino alla Patria”. (2000)
17 - Da Toscanella (l'odierna Tuscania) Tartaglia, Rettore del Patrimonio e "armorum gentium Capitaneus" Capitano di genti d'arme scrive il 17 Dicembre 1415 agli Anziani di Amelia, consegnando la lettera al suo "strenuum sotium et consanguineum Christoforum de Lavello" valoroso socio e consanguineo Cristoforo di Lavello "cum certo numero nostrarum gentium equitum et peditum", presentatosi con un congruo seguito di cavalieri e fanti, facendo loro presente che lo stesso Cristoforo viene destinato dal Tartaglia "pro nonnullis nostris arduis negotijs" al disbrigo di alcuni suoi delicati e difficili affari. Esorta, quindi, gli Amerini "quatenus dictum Christoforum benigne recipiant et pertractent, sibique in omnibus per eum requirendis presidium conferant et que ipse preceperit exequantur" di accogliere e trattare benignamente Cristoforo e chi con esso, gli diano ausilio in tutte le sue richieste e venga obbedito in quanto verrà da lui prescritto, trattandolo "veluti nostro Commissario et gerenti" come commissario e vicegerente del Tartaglia, il quale chiude la missiva "reputantes omnia que ipso Christoforo tradentur, nostris proprijs obsequis fore data" con la considerazione che quanto verrà dato a detto Cristoforo sarà ritenuto fatto in ossequio allo stesso Tartaglia.
Purtroppo, com'era da prevedere, nel consiglio del 19 successivo occorre trovare i soldi "pro suffragio et substentamento suarum gentium armigerarum" per provvedere al mantenimento delle genti armate del Tartaglia e soci consanguinei. (2007)
17 - Il 17 Dicembre 1494 nelle riformanze risulta annotato, con la fiorita prosa del Cancelliere Giovanni Mazarono di Montemonaco, “Adventus Exercitus Gallorum” l’arrivo in Amelia dell’esercito francese. Si tratta della discesa in Italia di Carlo VIII, che, vantando sue pretese sul Regno di Napoli, come erede degli Angiò, dopo che il papa Alessandro VI si era riappacificato con Ferrante, concedendo suo figlio Goffredo a Sancha, figlia naturale di Alfonso di Calabria, incoronato re di Napoli dopo la morte di Ferrante, si era precipitato a calare in Italia, per rivendicare il suo diritto sul Regno. Ecco come il solerte Cancelliere descrive tale evento:
“Anno D.ni N.ri Yhu Chr. a salubri eius nativitate M°CCCC.LXXXXIIIJ duodecima Inditione, sedente divo Alexandro Romano Pontifice sexto, anno eius tertio, mensis decembris dicti anni die XVII dicti mensis decembris ut supra Ill. D.nus D.nus C. de Bertania (Bretagna) Scalchus ac Christianissimi Francorum Regis Locumtenens generalis cum maximo gallorum exercitu venit Ameriam ubi publicis sumptibus perbenigne ac abundanter recepti fuere et cum tanta moderatione et honestate se se gessere ut difficilius esset scribere. Ideo longiori sermone me non impe(n)diam, sed brevissime scribendum duxi ut omni posteritati innotescat”.
Secondo il Cancelliere, i nuovi arrivati, ricevuti a spese pubbliche molto amichevolmente e con larghezza di mezzi, si comportarono con tanta moderazione ed onestà che sarebbe assai difficile scriverne e, pertanto, il buon Mazarono non ci si impegna con un lungo racconto, ma soltanto con la massima brevità, affinché l’evento venga fatto conoscerere alla posterità.
Passati circa 5 giorni da quanto sopra narrato, il 22, dopo aver annotato che allo “Illustrissimo Domino C. Bertanie Scalcho elargita est quedam cuppa argentea valoris centum ducatorum auri” venne donata una coppa d’argento del valore di cento ducati d’oro, “ut ipsa Communitas benefitiorum ab eodem receptorum minime videretur ingrata” affinché la Comunità di Amelia non sembrasse minimamente ingrata per i benefici da lui ricevuti, il Cancelliere dà notizia della partenza “felicissimi exercitus Christianissimi francorum Regis” del felicissimo esercito del cristianissimo re di Francia, il quale “iter versus Romam accipiens transiens per Interamnensem Civitatem et demum per Sabinam Romam profectus est”, allontanandosi da Amelia, passò per Terni e, quindi, attraverso la Sabina, fece volta verso Roma.
Re cistianissimo ed esercito felicissimo, ma non altrettanto per coloro che si trovavano sul loro cammino! (2009)
17 - Il 17 Dicembre 1466 si presentano dinanzi agli Anziani i notai Ser Ugolino Nicolai e Ser Alessandro Angeli, entrambi di Amelia, “qui humanissime petierunt quod cum ipsi scripsissent multas cartas et quinterna extractas de archivio comunis Amerie” i quali, con molto garbo, fanno presente che, avendo essi scritto numerose pagine e documenti, estratti dall’archivio comunale di Amelia, “maxime de certis libris reformationum et aliorum librorum pertinentia ad jura dicti comunis Amerie” e, in particolare, da diversi libri delle riformanze e da altri libri, relativi ad alcuni diritti vantati dal detto Comune, “que mictende sunt Rome et producende jn causa quam dictum comune Amerie habet cum claravallensibus et Tudertinis”, quali scritture sono da inviarsi a Roma e da prodursi nella vertenza giudiziaria che detto Comune ha con i Chiaravallesi ed i Todini; “quare placeat eis providere dictorum mercede et salario competenti, secundum discretionem et voluntatem ipsorum dominorum Antianorum” pertanto, piaccia agli Anziani, secondo loro volontà e discrezione, di provvedere alla corresponsione da farsi ai medesimi dei rispettivi onorari. Gli Anziani nominano Ser Bartolomeo di Giovanni di Stefano e Ser Ricco di Ser Francesco “ad videndum supradictas scripturas et ad declarandum mercedem et salarium” ad esaminare le suddette scritture e a stabilire l’entità del corrispettivo.
Il giorno successivo 18, i due eletti, dinanzi agli Anziani, “unaminiter (sic) et concorditer” con accordo unanime, stabiliscono che i notai Ser Ugolino e Ser Alessandro debbano avere, “jn totum et jnter ambos ducatos octo (successivamente scritto “sette”, poi cancellato) d’oro, “ad rationem septuagintaduorum bolonenorum pro quolibet ducato, valentes libras septuagintaduo” in ragione di 72 bolognini per ducato, corrispondenti a 72 libre. (2011)
17 - Il 17 Dicembre 1551 nelle riformanze risulta trascritta una supplica che un tal Lorenzo Tragi di Amelia intende presentare nel consiglio generale “pro mallefitio commisso per Johannem alias Diavolino eius filium in carcere constitutum” a favore di suo figlio Giovanni, detto “Diavolino” (un nome che è tutto un programma!), collocato in carcere a causa di un reato, non meglio precisato, da lui commesso ai danni di qualcuno che la supplica non nomina. Lorenzo “promisit solvere de pena seu gratia quam sibi faciet consilium in presentiarum ducatos otto de carlenis” promette di pagare, per la pena comminata al figlio -ammontante a trecento libre- otto ducati di carlini per il momento, in attesa della grazia che si aspetta da parte del consiglio, “residuum vero pene in instauratione menium Castri Mimoie”; per il residuo di quanto dovuto per la condanna del figlio, promette di impiegarlo nel restauro delle mura del Castello di Mimoia “et pro eo in forma depositi fideiussit” e, per esso, presta fideiussione in forma di deposito (della somma a ciò destinata). La dichiarazione di Lorenzo viene effettuata e ricevuta “Jn audientia palatij Antianalis, presentibus Ser Dardano Sandro et Jo. Berardino Cansacho testibus” nel Palazzo Anzianale, durante un’udienza ed alla presenza di Ser Dardano Sandri e di Berardino Cansacchi, in qualità di testimoni.
Lo stesso giorno si riunisce il consiglio dei X, nel quale, fra l’altro, si discute della supplica riguardante “Diavolino”, cui segue immediatamente il consiglio generale, nel quale Galieno Mandosi –“summe probitatis et rari consilij Vir” uomo di somma probità e dotato di singolare prudenza- propone che “Diavolinus solvat decem ducatos et concordata parte lesa, absolvatur” paghi dieci ducati e, dopo essersi accordato (e riappacificato) con la parte lesa, venga assolto da ogni sua colpa. La proposta viene approvata all’unanimità, salvo un solo voto contrario: forse di un irriducibile avversario di Diavolino?
Nello stesso consiglio si discute anche “super bullectis magistri Johannis Francisci perini” circa alcuni crediti vantati dal Maestro Gian Francesco Perini. Il medesimo Mandosi propone che l’illustre pittore venga soddisfatto di ogni suo credito “per Camerarium” dal tesoriere comunale. La proposta viene approvata.
V’è anche da esaminare una supplica presentata da Censorio Boccarini, “condemnati in libris vigintiquinque” condannato a pagare 25 libre. Si propone che al Boccarini “fiat gratia fierj solita per communitatem admissis ei benefitijs admittendis” si conceda la grazia che si suole concedere da parte della Comunità, con i benefici che vengono abitualmente concessi, verosimilmente consistenti nella riduzione ad un terzo di quanto dovuto. Si approva all’unanimità. (2012)
17 - Il 17 Dicembre 1469 l’Abatino di S. Salvatore concede in locazione, per ventinove anni, una parte del Monte Labro (oggi Monte S. Salvatore), ma si riserva il diritto di caccia, cioè uno spazio di cinquanta passi: per ricavarvi un boschetto per i tordi?
Cinque anni dopo, il notaio Ricco di Francesco il 17 Dicembre 1474 è chiamato da Giovanni Antonio Rotondi, di Genzano, in casa di Zaffino di Bartolo Colaj, sita in Amelia, per ricevere il proprio testamento. Dopo aver lo stesso notaio esordito dicendo che la violenza della malattia può spesso offuscare la volontà e, quindi, sia meglio esporre le proprie ultime volontà “dum in corpore quies est et in mente sobrietas” finché il corpo è tranquillo e la mente non è alterata, si appresta ad ascoltare l’egregio Dottore Giovanni Antonio Rotondi, di Genzano, diocesi di Albano, che, indossando l’abito degli eremitani di S. Agostino, “in statu sobrietatis mentis et corporis, per Christi gratia”, gli espone le sue volontà. Inizialmente, “quia anima est dignior corporis” poiché l’anima è più rispettabile del corpo, la raccomanda nelle mani del Creatore e lascia cinque soldi di denari “pro judicio generali”. Lascia anche cinque soldi al suo confessore e venti soldi alla Chiesa di S. Maria di Genzano, dove vuole essere sepolto, se ivi morrà. Lascia cinque soldi per ciascun figlio “quos ipse testator habet” che esso testatore ha; alla Curia di Genazzano nove denari; a Giacobetta sua madre lascia dieci ducati e cinque alla sorella Angelella. Alla Chiesa e Convento di S. Agostino, dove farà la professione, lascia cinque ducati. Di tutti gli altri suoi beni, istituisce eredi in parti uguali i fratelli Giacomo, Pasquale, Nicolò, Pietro e Matteo, ai quali impone di far erigere, nella Chiesa di S. Maria della Stella, nei pressi di Albano, ben dodici cappelle, in ciascuna delle quali “pigni facere” far dipingere un’immagine e, precisamente: nella prima, un Crocefisso, nella seconda, l’Annunziata, nella terza, S. Sebastiano e, proseguendo, S. Giuliano, S. Cristoforo, S. Lorenzo, S. Agostino, S. Nicola da Tolentino, S. Antonio, S. Secondo, S. Giovanni e S. Girolamo.
“Brisa per critichèr” -direbbero a Bologna- ma mi sembra che ci sia una evidente sproporzione fra i cinque soldi lasciati a ciascun figlio (e quanti ne aveva?) e la nomina ad eredi dei fratelli, con tutto che avrebbero dovuto far costruire ed affrescare le dodici cappelle! (2014)
17 - In Amelia si svolgono atti da cronaca nera. Un Gian Antonio di Como, aveva sposato “in etate preverdi et nondum matura viro” in età non ancora da marito, una tal Sabina di Stefano Fusagioli, amerina, con la quale consumò il matrimonio senza averne prole. Gian Antonio si dà, quindi, alla mala vita, commettendo dei furti ed altri reati. E’ arrestato, d’ordine del Pretore d’Amelia e condannato alla pubblica fustigazione attraverso alla città. Sentendosi svergognato (e meno male!), risolve di abbandonare per sempre Amelia. Il 17 Dicembre 1519, con atto del notaio Francesco di Cristoforo, Gian Antonio “ad manus dicti Stephani, se a dicto matrimonio absolvit”, nelle mani del suocero Stefano, si scioglie dal matrimonio con Sabina, per permettere a questa che “alio viro nubat meliori fato” abbia miglior sorte con un altro uomo. Stefano accetta il ripudio, anche a nome della figlia, che restituisce l’anello, riproponendosi, “consultata prius Sede Apostolica” dopo aver avuto l’autorizzazione dalla Sede Apostolica, di passare a nuove nozze. (2014)
18 - Nel volume “Il Palazzo Orsini a Bomarzo: opera di Baldassarre Peruzzi” (Ediz. Hirmer di Monaco di Baviera, 2002), il coautore Fabiano Tiziano Fagliari Zeni Buchicchio riporta la seguente notizia:
“Il 18 Dicembre 1520, in presenza degli scalpellini Lorenzo di Francesco da Amelia e Ludovico di Pietro Antonio da Viterbo, il pittore senese Pietro di Andrea, a nome di mastro Baldassarre Peruzzi da Siena, architetto e conduttore della fabbrica del palazzo di Giovanni Corrado Orsini a Bomarzo, dichiarò di aver ricevuto la somma totale di 476 ducati e 33 bolognini”.
Nella fabbrica del palazzo Orsini di Bomarzo lavoravano anche altre maestranze che, pur non essendo di Amelia, vi risiedevano, come si ha notizia dallo stesso volume sopra citato, nel quale è nominato un altro scalpellino: mastro Giacomino da Morco, diocesi di Como, residente in Amelia.
L’altro autore di detta opera, Christoph Luitpold Frommel, afferma che Baldassarre Peruzzi, per la costruzione del palazzo Orsini di Bomarzo, iniziato nel 1519, si sia ispirato al progetto del palazzo commissionato ad Antonio da Sangallo il Giovane da Mons. Bartolomeo Farrattini -canonico della Basilica Vaticana, Prefetto della Fabbrica di S. Pietro e reggente della Cancelleria Apostolica- che venne iniziato nel 1517 e può ancora oggi ammirarsi nella nostra Città, dopo un sapiente restauro. (2007)
18 - Il 18 Dicembre 1412 debbono venire approvate alcune spese straordinarie, dalle quali può dedursi quale travagliato periodo si viveva a quel tempo. Vediamone alcune.
“Magistro Antonio de Civitella pro pictura quatuor scutorum armorum ecclesie domini nostri pape et communis ad rationem iiij librarum pro quolibet scuto libre sexdecem”. A Maestro Antonio di Civitella per aver dipinto 4 scudi del papa (l’antipapa Giovanni XXIII, il napoletano Baldassarre Cossa) e del Comune, in ragione di 4 libre per scudo, libre 16.
“Ser Janni Paulellj ambassiatori misso ad dominum nostrum papam pro parte communis et ad dominum cardinalem de columna super damnis habitis et perpessis a Braccio et tudertinis libras octo”. A Ser Giovanni Paolelli, inviato ambasciatore al papa (antipapa) ed al Cardinale Colonna, per conto del Comune, circa i danni inferti da Braccio (Fortebracci da Montone) e dai Todini, libre 8.
“Ser Janni predicto et Andreello, ambassiatoribus destinatis ad M. d. Micchaelem Cossa super facto interdicti et subsidij pro eorum salario trium dierum ad rationem trium bononenorum in die pro quolibet summa libras xv soldos xv”. Allo stesso Ser Giovanni e ad Andreello, inviati ambasciatori al magnifico Signore Michele Cossa (nipote dell’antipapa), circa la revoca dell’interdetto ed il pagamento del sussidio (cioè della taglia imposta ad Amelia, di ben 600 ducati, “deli quali” come scriveva il nipote dell’antipapa il 16 Dicembre agli Amerini, lamentandosi del ritardo, “come sapete N.S. ne a gran bisugno”), per il loro salario di tre giorni in ragione di tre bolognini al giorno per ciascuno, in tutto 15 libre e 15 soldi.
Le altre voci di spesa si riferiscono, per lo più ad altre ambascerie a Roma ed a Viterbo per cercare di far levare ad Amelia l’interdetto papale e per far conservare ad Amelia gli antichi privilegi di cui godeva la Città.
Si era ancora nel periodo del grande scisma di occidente, con ben tre papi in carica: Gregorio XII (quello effettivo), Benedetto XIII e Giovanni XXIII antipapi. Amelia, soggetta a Roma, doveva obbedienza a quest’ultimo, insediatovisi il 17 Maggio 1410, dopo la sospetta morte dell’altro antipapa Alessandro V, avvenuta a Bologna, si disse per veneficio, al quale non doveva essere stato estraneo il Cossa. (2009)
18 - Gli Anziani, “in unum congregati” -collegialmente riuniti- “volentes obtemperare mandatis D.ni Locumtenentis Interamne etc.” volendo obbedire a quanto prescritto dal Luogotenente di Terni, (Rieti ed Amelia), il 18 Dicembre 1502 “mandaverunt et imposuerunt Joanni Barbuglie publico preconi Communis Amerie ut per loca consueta Civitatis jntelligibili voce bandiat, exponat (de) commissione et mandato S.mi D.ni N.ri pape et M.ci d.ni Locumtenentis Gubernatoris Amerie etc.” diedero mandato ed ordinarono a Giovanni Barbulia, banditore del Comune di Amelia, affinché, nei luoghi consueti, con voce ben comprensibile, bandisca e proclami, dietro richiesta fattane dal papa e dal Luogotenente Governatore di Amelia, “quod nemo civis sive comitatinus sive districtualis civitatis Amerie cuiuscumque graddus (sic) seu conditionis existat, audeat seu presumat jnferre aliquod auxilium, presidium seu favorem cum ipsis personis, armis, victualijs, seu quovis alio genere auxilij Dominis Sabellis rebellibus sue S.tis” che nessun cittadino, contadino o distrettuale di Amelia, di qualsiasi grado e condizione sia, ardisca o presuma recare qualsiasi aiuto, protezione o favore con la persona, con armi, con vettovaglie o con qualunque altro genere di ausilio ai Savelli, ribelli a Sua Santità (il papa). “Jmmo, si quis ex dictis d.nis Sabellis perveniret forte in Civitate, comitatu, sive destrictu Amerie, unicuique liceat illos ... capere et captos sub bona custodia retinere, sub pena rebellionis et confiscationis omnium bonorum suorum cuicumque contravenenti. Et de hoc fiet executio irremissibilis” Pertanto, se, per caso, alcuno dei detti Savelli venisse nella città o nel distretto di Amelia, a ciascuno sia lecito catturarlo e tenerlo sotto buona custodia, sotto pena, per chi dovesse contravvenire, di essere dichiarato ribelle e di aver confiscati tutti i propri beni. E detta esecuzione (contro di lui) non potrà trovare alcuna remissione.
Con tutti i cambiamenti di umore che, molto frequentemente, avvenivano nelle relazioni fra il papa ed i suoi parenti da una parte ed i membri delle famiglie degli Orsini, dei Colonna, dei Savelli, degli Alviano e di altre casate dall’altra, agli Amerini era necessario stilare un pro-memoria da aggiornare quotidianamente, per non rischiare di dare aiuto a nemici o di aggredire amici di casa Borgia! (2010)
18 - Con verbale redatto dal Notaio Giovanni Brancatelli in data 18 Dicembre 1396, si dà atto che, ad istanza “honesti et religiosi viri fratris Andree de Amelia Guardiani fratruum ecclesie et conventi S.ti Francisci” dell’onesto e religioso uomo Frate Andrea di Amelia, Guardiano dei frati del convento di S. Francesco, fu spiccata citazione in forma di monitorio al Vescovo Stefano di Amelia (il napoletano Stefano Bordoni), da parte di Mastro Matteo di S. Gemini, dottore in medicina, sovraintendente papale alla Provincia del Patrimonio. Fra Francesco di Lugnano porta la citazione al vescovado e, non trovandovi il Vescovo, ne attacca una copia “ad valvas episcopatus” ai battenti dell’Episcopato ed altra copia consegna ai canonici prete Silvestro Rubey e Santoro di Ser Arcangelo, vicari del Vescovo, affinché ne facciano consegna allo stesso, ma essi rifiutano di ricevere il documento, allegando il motivo di non aver alcun mandato “ad talia facienda” per far ciò. Non si conosce il motivo per il quale venne citato il Vescovo. (2014)
18 - Il 18 Dicembre 1575 troviamo una supplica di Giovanni di Pellegrino che, “avenno il peso et carco de sonaare all’Avemaria tre volte il giorno com’è solito et sonare ad altri divini offitij et il quale in ciò, come vulgarmente si sa, sempre se è mostrato diligente, desideraria essere compiaciuto da V.S.M. del relogio con li pesi et emolumenti che al presente è stato conceduto, repromettennosi de servirlo con ogni diligenza, atteso che li torna molto comodo, sì per la vicinità del luoco dove habita, sì anco haverci il carico e peso predetto et lo receverà per favore singularissimo da S.S. Magnifiche, chel N.S. iddio le conservi”. Si concede a Giovanni di affidargli anche la cura dell’orologio pubblico per un anno “cum honoribus et oneribus”, con i relativi vantaggi e pesi. Tanto fra pesi e suoni della campana e dell’orologio potrebbe anche venir fuori un bel concertino! (2014)
18 - Il 18 dicembre 1466, muore Tadeo de Claris, di Amatrice, giudice in Amelia e viene fatto l’inventario di quanto da lui lasciato nella sede podestarile in alcune casse, Vi si trovarono: quindici libri di legge su carta di papiro “cum tabulis” con illustrazioni, oltre ad un altro libro chiamato “Speculum” in carta membranacea, anch’esso “cum tabulis”, che venne posto sopra il suo cadavere, durante i funerali ed, inoltre, un mantello di panno paonazzo et un cappuccio rosa “pro hornamento ipsius corporis in suis funeralibus” ad onamento del suo corpo nelle esequie. Doveva essere un cadavere molto variopinto! (2014)
18 - Il 18 Dicembre 1442, il Vescovo Filippo Venturelli, che aveva stipulato con i suoi fratelli Nicolò, Paolello, Cecco e Luca l’atto di divisione dei beni di famiglia, avendone assegnati soltanto (si fa per dire!) due case in Borgo ed un terreno in Alvo, pur riconoscendo “non habuisse equalem partem cum suis fratribus” di non aver avuto parte uguale ai suoi fratelli, ma inferiore, si dichiara parimenti soddisfatto, in considerazione delle spese da essi sostenute “quando pervenit ad dignitatem episcopalem” quando venne eletto Vescovo. (2015)
18 - Il 18 Dicembre 1515, con atto del notaio Tommaso de’ Pretoribus, il Vescovo Giustiniano Moriconi , a mezzo del suo Vicario Pierdomenico Bruno di Amandola, acquista un terreno per dote della Cappella di S. Biagio. (2015)
18 - Con atto del notaio Francesco di Cristoforo del 18 Dicembre 1526, Claravalle de’ Claravallesi, “civis Amerinus” cittadino di Amelia, con suo testamento, dispone che si spendano centocinquanta ducati nell’erezione di una Cappella a S. Agostino e sia costruita di marmo o “de lapide tiburtino” o di travertino e vi sia scolpita la sua immagine. (2015)
18 - Il 18 Dicembre 1591 il consiglio decemvirale è chiamato a pronunciarsi su una questione di prestigio cittadino: “Essendosi inteso che sia stato dato memoriale a Nostro Signore (il papa)” -non si sa da chi presentato- che caldeggerebbe la nomina di un Vescovo che non fosse di origine amerina, Pierlezio Vezzio propone che si scriva “una lettera a Nostro Signore et dimandarli un Pastore di buona vita, essemplare, et per honore della Comunità, fusse ancora di questa nostra Città”, puntualizzando che ne “havemo hauti quasi sempre da duecent’anni in qua”; cercare, quindi, “di esaltare gl’huomini meritevoli della Patria, da li quali non se ne può sperare se non ogni gratitudine et buon governo”. A voti unanimi, la proposta del Vezzio viene approvata. (2015)
19 - E’ venuto il Vescovo di Montefiascone, Rettore del Patrimonio e quasi certamente non se ne riandrà a mani vuote.
Si annotano le spese sostenute dalla Comunità ”pro honore facto” durante il suo soggiorno in Amelia. A parte gli immancabili “sex paribus pollastrorum”, pane, candele, vino, spelta e pensioni pagate per alloggiarlo, il 19 Dicembre 1422 si registra -quel che dovette maggiormente “toccare” gli Amerini- che a “Dactilo hebreo, pro merito denariorum mutuatorum pro solutione prime tertiarie subsidij”, cioè per un prestito richiestogli per il pagamento della prima rata (terzeria) del sussidio dovuto alla Sede Apostolica, si pagarono interessi per nove libre.
Anche il 22 Febbraio dello stesso anno detto Presule era passato per Amelia e per lui si comprarono un paio di capponi, tre paia di palombe, due bolognini di pane, due lingue salmistrate, sei bolognini di vino.
Ma quanto piaceva, anche a quei tempi, la cucina amerina! (1998)
19 - Il 19 Dicembre 1329 vengono stipulati i capitoli fra il Cardinale Giovanni di S. Teodoro, legato della Sede Apostolica ed il Comune di Amelia, in rappresentanza dei suoi cittadini, che si erano ribellati alla Santa Sede, aderendo all'antipapa Pietro da Corbara (Giovanni XXIII) ed a Ludovico il Bavaro.
Con detti capitoli, gli Amerini ed il loro Sindaco "jurabunt fidelitatem Sancte Matri Ecclesie" giurarono fedeltà alla Santa Madre Chiesa ed al suo Pontefice Giovanni XXII (il guascone Giacomo di Cahors), riconoscendo e considerando "Petrum de Corbaria fuisse et esse hereticum et sismaticum et rebellem eiusdem Matris Ecclesie, et Ludovicum de Bavaria esse etiam hereticum et sismaticum" Pietro da Corbara e Ludovico di Baviera eretici, scismatici e ribelli alla Santa Chiesa, impegnandosi a non dare ricetto, "auxilium, consilium et favorem" aiuto, consiglio e favore a nessuno dei loro "complices, fautores et sequaces". Si convenne, inoltre, che il Vescovo Manno degl'Internibili, cui gli Amerini si erano ribellati durante la loro soggezione a Ludovico il Bavaro, restasse fuori della Città, in attesa di essere nominato ad altro incarico e, in sua vece, il Cardinale Legato doveva nominare un Vicario "qui regat et gubernabit dictum episcopatum" che assumesse la direzione del Vescovado. Fu altresì stabilito che gli ufficiali e gli uffici del Comune "erunt comunia inter ghelfos et gibellinos, equa parte divisa" fossero equamente attribuiti, e suddivisi in pari numero, fra guelfi e ghibellini e che esso Legato provvedesse affinché in Amelia fosse posto un Podestà "nemini parti subspectus", cioè ritenuto non sospetto da alcuna delle due parti. Inoltre, tutti i ribelli di Santa Chiesa dovevano venir banditi ed espulsi dalla Città, a giudizio di esso Cardinale legato, il quale s'impegnava a sospendere tutti i processi intentati "per inquisitionem heretice pravitatis" per accertare la presenza di perversione eritica contro il Comune ed i Cittadini, facendoli "tolli in totum" totalmente cancellare. Infine, gli statuti e gli ordinamenti della Città dovevano venire totalmente rinnovati.
Lo statuto del 1330 nacque molto probabilmente in attuazione di questo accordo. (2005)
19 - Il 19 Dicembre 1465 prete Bastiano, confessando di aver ricevuto trecento libre di denari quale dote promessa da parte di donna Cara, ora defunta e già moglie di Stefano, suo figlio, ne fa restituzione, con due terreni, al detto Stefano, che li riceve per conto dei suoi figli. Così tutto resta in famiglia! (2014)
19 - L’ “Arrengo” del Castello di Porchiano aveva applicato agli abitanti un contributo pari allo 0,50%. ma alcuni di essi, tra cui un Menico Bufalari, non avevano voluto soddisfare a quanto loro imposto. Il 19 Dicembre 1538 due ambasciatori del Castello e Comune di Porchiano si presentano dinanzi agli Anziani di Amelia, per protestare contro i renitenti, “portantes secum sigillum dicte comunitatis” portando con sé il sigillo della Comunità: caso mai dovesse servire! (2014)
20 - Il 20 Dicembre 1599 si delibera di offrire la protezione della Città al Cardinale Federico Borromeo. Questi risponde in modo affermativo il 25 marzo 1600 ed il 27 aprile successivo viene a lui inviata una lettera per ringraziarlo "con che amorevolezza et affecto di cuore habbia preso sotto sua protettione questa nostra Città, la quale vive felicissima per questa gratia che lei si è degnata farle. Le rendemo dunque humilmente le debite gratie, sicuri che vivendo noi sotto l'ali della protettione di V.S.Ill.ma e Rev.ma non potremo se non sperar di esser con ogni confidenza ben protetti, et agiutati in tutti li nostri bisogni". (2001)
20 - "Guerre undique preparentur" cioè si stanno per scatenare guerre da più parti ed occorre provvedere alla custodia della città e dei Castelli ed alla difesa del territorio. Nel consiglio speciale del 20 Dicembre 1397 si espone che "navis Portiglonis (sic) civibus et comunitate Amelinis nimium est dampnosa ex qua transeunt britones emuli dicte Civitatis" la barca sul Tevere, in località Portiglioni, nei pressi di Attigliano, costituisce un grave pericolo per i cittadini e la comunità di Amelia, perché su di essa vengono traghettati dalla sponda destra i brètoni, truppe avversarie e nemiche, partigiani dell'antipapa avignonese Benedetto XIII, succeduto il 3 Ottobre 1394 a Clemente VII. Poiché i cittadini "pro eorum laboritijs ... valeant a britonibus offendi" possono venir impediti e subir da essi aggressioni nelle loro coltivazioni, si propone di far affondare la barca, dando incarico a qualche volenteroso, che vi provveda.
Nel Consiglio generale del successivo 22 si delibera che, a spese del Comune, si paghino dieci libre di denari perugini a colui che riuscirà a far affondare la barca, "cuius nomen teneatur secretum", garantendo all' "affondatore" l'anonimato; certamente per non provocare rappresaglie contro di esso. (2005)
20 - Intorno al 20 Dicembre 1410 (non risulta una più precisa indicazione), viene riportata nelle riformanze una lettera di Niccolò di Andrea de Carduccis fiorentino, Tesoriere Generale della Provincia del patrimonio di S. Pietro in Tuscia, con la quale significa che il papa (antipapa) Giovanni XXIII, con sua lettera apostolica "more Romane Curie cum bulla plumbea et cordula canepis pendentis bullata", munita, secondo il rito della Curia Romana, di bolla di piombo, pendente da una cordicella di canapa, ha sollecitato il pagamento da parte di tutte le terre facenti parte della detta provincia e soggette alla Chiesa di Roma -Amelia compresa- del sussidio, ma più propriamente di una "taglia" per la complessiva somma di 10.000 fiorini di camera, da pagare "in condecentis spatium temporis" in un congruo termine, "debendis dilecto filio Nobili Viro Paulo de Ursinis" e dovute al "diletto figlio" Paolo Orsini, "et eius comitive" ed alla sua masnada, composta da "nonnullarum nostrarum armigerarum gentium" alcune nostre (dell'antipapa) genti armate.
In parole povere, Amelia, compresa in un lungo elenco delle terre soggette, risulta "tassata" per 700 fiorini d'oro, da pagare "in condecentis spatium temporis" dove l'aggettivo "condecens" suona leggermente ironico. (2007)
20 - “Cum ad presens in partibus istis et maxime in Civitate et comitatu civitatis Amelie sit bladi maxima caritudo” essendovi in queste parti e massimamente nella città e contado di Amelia una grandissima carenza di grano e donna Francesca, vedova di ser Tomaso Fariselli non ha grano onde alimentare i suoi nipoti carnali Tomasso e Giacomo, figli di ser Gezio del fu Tomaso, “nec habet pecuniam causa emendi bladum pro eorum guberna, nec res mobiles” e non ha denaro per acquistare il grano per il loro sostentamento, né beni mobili, col consenso dei suoi consanguinei e quale curatrice legittima di detti nipoti, con atto rogato dal Notaio Ugolino Jacobuzzi del 20 Dicembre 1405, vende, con patto di riscatto, ad Uffreduccio di ser Pietro di Amelia, una casa in contrada “Platee”, per il prezzo di cento libre. Meno male che, almeno quella, ce l’aveva! (2014)
20 - Il 20 Dicembre 1517, su richiesta ed ordine della Commissione dei Quattordici, si addiviene ad una tregua di due mesi fra le Famiglie Nacci e Mandosi, in lotta fra loro e la tregua si intenderà rinnovata, se non viene disdetta almeno quattro giorni prima. Ad ogni buon conto -e forse per garantirsi da ogni dimenticanza- le parti dichiarano disdetta la tregua alla scadenza dei due mesi. E’ quanto risulta dall’atto rogato dal notaio Francesco di Cristoforo, sotto la data sopra precisata. (2015)
21 - "A Mons. Ill.mo Governatore, per benefitio publico et per buon governo della Città, è parso d'ordinare", il 21 Dicembre 1614, "che il grano che si manda da ciascuno a macinare si debba prima pesare dal pesatore deputato et da deputarsi dalla Comunità, et così anco quando si riporterà la farina si debba ripesare, acciò ogniuno possa vedere d'haver il suo dovere et giusto, con quell'ordine, et capitoli che parerà bene si debba fare, et poiché non vi è altro che un luogo alla Porta Pisciolina dove è già ordinato detto peso, si propone se, per maggior comodità di tutta la Città, si debba fare et ordinare un'altra pesa in qualche altro luogo, acciò con l'uno et l'altro peso, ogniuno possa haver satisfattione".
I gabellieri, da parte loro, chiedono "che la misura del grano che va al molino, per quello che deve loro pagarsi, debba essere a ragione di misura rasa et non altrimente".
Ognuno tira l'acqua al proprio mulino! (2001)
21 - Il 21 Dicembre 1925 il rappresentante di una Compagnia Teatrale scrive, dall'Albergo Roma di Calvi, dove trovasi, al Presidente della Società Teatrale di Amelia la lettera che segue:
"Ho l'onore di presentarle una Tournée di prosa e musica di cui è a capo il conosciutissimo Cretinetti del cinematografo, che si presenta al pubblico in carne ed ossa con "tipi e "macchiette" e commedie di sua creazione.
"Da sabato prossimo la compagnia è disponibile, voglio sperare che acconsentirà a tale richiesta per allietare il pubblico di Amelia di questo grande personaggio".
E pensare che, al giorno d'oggi, con tutti i "Cretinetti" che ci ammanniscono televisione, cinema e... mondo della politica, il povero comico di ottant'anni fa non farebbe più ridere nessuno! (2004)
21 - Mastro Vincenzo sellaio "qui vult exercere artem suam Ameriae petit sibi aliquod patrocinium concedi a Communi" volendo esercitare la sua arte in Amelia, chiede che dal Comune gli venga concessa qualche protezione agevolativa, in termini di benefici economici. All'uopo, nella seduta del Consiglio dei Dieci del 21 Dicembre 1525, presenta idonea supplica. Questa viene esaminata anche nel Consiglio generale, il quale delibera "quod fiant ei blanditie" che cioè venga incoraggiato nel suo lodevole intento e "solvantur pro pensione domus duc. quatuor de carl. quolibet anno per quinquennium" gli vengano corrisposti, per pagarsi l'affitto di casa, quattro ducati di carlini ogni anno, per cinque anni "et habeatur pro cive omnino et fiat exemptus a dativis per vigintiquinque annos" ed, inoltre, che venga considerato cittadino a tutti gli effetti e sia esentato dal pagamento delle dative per 25 anni.
Mastro Vincenzo non può certo lamentarsi del trattamento fattogli! (2005)
21 - Nelle riformanze risulta trascritta una lettera del Governatore Domenico Gentile Riccio, inviata il 21 Dicembre 1482 da Spoleto agli Anziani, che chiama “Amici nobis peramandi”, del seguente tenore:
“Mandamovi jntroclusa a questa la copia del Breve che novamente havemo receputo da uno mandato de la S.tà de N. S.re (il papa) per la quale jntenderete la pace successa tra la Sua beatitudine et le potentie dela Lega. Commectemove adonqua debiate publicarla martidì proximo con tucte sollempnità possibile. Mandando ad exequtione quanto jn dicta copia se contiene per quanto dexiderate fare cosa anoi jmmo (anzi) a N. S. gratissima; per dicta caxione vogliate darce opera se facciano grande et apertissime demostratione de letitia et in ciò farete extrema diligentia. Benevalete (state bene)” ecc.
Il breve è riportato di seguito, ma, per la maggior parte, non risulta trascritto.
La Lega alla quale si fa riferimento sopra è quella che seguì l’armistizio concluso a Roma il 28 Novembre 1482 fra Sisto IV (Francesco della Rovere), Napoli, Firenze e Milano, tendente a difendere Ferrara e a tenere a freno Venezia. Gregorovius così descrive l’avvenimento:
“La città di Roma celebrò con feste la conclusione del trattato; il 13 di dicembre Sisto si recò alla chiesa di S. Maria della Virtù e le impose il nome di S. Maria “della Pace”. (2010)
21 - Il 21 Dicembre 1530 nel consiglio decemvirale vengono presentati, per la loro approvazione, i capitoli relativi alla costruzione di un molino da grano, che Mastro Francesco di Castel Durante -Ducato di Urbino- (l’attuale Urbania), si offre di costruire in Amelia. Eccone il tenore:
“Jn primis se obliga epso Mastro Francesco fare un modello piccolo ad sue spese per mostra a epsa Communità, per il quale se comprehenderà leffecto (il funzionamento) del Molino, et visto tale modello domanda per ladmissione (in anticipo) per fare el molino che con effecto macinarà, cinquanta scudj, sensa le macine et le macine alle spese dela Communità, et se obliga che dicto molino macinarà per ogne quattro hore una soma de grano, et caso chel molino non venisse ad perfezione et che non facesse el debito (il suo compito), lui se obliga de dar securtà (garanzia) o deposito da render dicta admissione che per dicto molino se spendesse; et quando dicto molino faccia loperatione (funzioni a dovere) come de sopra, domanda per suo subsidio et substentatione de sua famiglia subito ... cento scudi in contanti, et quattrocento altri scutj (sic) con commodità et tempo apto (conveniente) et alla communità et ad luj, con questa conditione, che dicta admissione de cinquanta scutj per dicto molino vada alle spese della communità ... et resti jl molino alla Communità; et quando (nel caso che) la Communità non volesse fare la soprascripta spesa, se obliga farla alle spese sue, con conditione che nisciunaltra persona el possa fare, tanto in Amelia, come in lo suo destrecto, cioè per sé et sui figlioli et parentj, mancando li figliolj, per spatio de ventj annj, possendo (con facoltà di) chiamare li compagnj che vorrà, recevendo (riscuotendo) le moleture honeste, come se useno jn Amelia”. Il maggior consiglio, riunitos lo stesso giorno, decide che si accettino i capitoli presentati da Mastro Francesco, se lo stesso provvederà alla costruzione a tutte sue spese. (2011)
21 - “Ob temporum penuriam maximam” a causa della grandissima carestia che regna nel periodo, il Podestà Francesco Nolfo di Fano, nel consiglio decemvirale del 21 Dicembre 1540 chiede di poter usufruire di una parte delle entrate ricavate dall’applicazione delle pene pecuniarie per reati commessi, “ut possit suam familiam substentare” affinché sia in grado di fornire gli alimenti alla propria famiglia. Nel maggior consiglio riunitosi nello stesso giorno, Laurelio Laureli -“vir spectata morum disciplina”- propone che “prout aliis concedj solitum est” come si è usato concedere in altri casi, “eidem Potestati concedatur maleficiorum quinta pars” allo stesso Podestà si assegni la quinta parte del ricavo dalle pene derivanti da reati commessi.
Altro argomento da dibattere è costituito dall’esame di una richiesta fatta dai frati di S. Francesco, i quali “petunt eis concedi super gabella Platee ducatos quatuor” chiedono che venga loro assegnata la somma di quattro ducati, da prelevare dalla gabella di Piazza, “pro tunica et expensis Predicatoris annuatim predicantis ... quadragesimali tempore” per fornire una tunica e far fronte alle altre spese del predicatore che, annualmente, è aduso salire sul pulpito nel periodo della quaresima. Si concede.
Vi è, inoltre, da dibattere circa un grave problema di sopravvivenza: “Comitatini de Castro Fractuccie ob eorum maximam paupertatem” i contadini del Castello di Frattuccia, a causa della loro massima indigenza, “petunt a continuis Communitatis gravaminibus jmmunes fieri, cum non habeant non modum unde solvere, verum unde vivere valeant” chiedono di venir esentati dalle continue gravezze fiscali del cui pagamento vengono richiesti dalla Comunità di Amelia, poiché non solo non hanno modo di soddisfarle, ma addirittura mancano di che vivere. Il maggior consiglio delibera che gli Anziani, insieme a quattro cittadini da eleggersi, abbiano autorità di decidere in merito e, se del caso, di concedere le richieste esenzioni.
A distanza di nove anni, il 21 Dicembre 1549 il consiglio decemvirale è chiamato a decidere su alcuni provvedimenti da adottare, fra i quali se ne espongono alcuni. Innanzi tutto, occorre obbedire a quanto richiesto dal Rev.mo Legato il quale vuole che un certo numero di fanti vengano inviati a Perugia. Nel maggior consiglio convocato lo stesso giorno, Vincenzo Crisolini -dal solerte cancelliere designato quale “numquam satis laudatus vir”, cioè uomo mai sufficientemente lodato- propone “quod Domini Antiani pro osservantia et obedientia superioris una cum prefectis Militie videant et procurent congregare et cogere numerum peditum petitum” che gli Anziani, in ossequio ed obbedienza alla superiore autorità del Legato, insieme ai prefetti delle milizie cittadine, provvedano a raccogliere ed inquadrare il richiesto numero di fanti, “qui ad omnem superioris requisitionem sint parati et expediti cum armis ad eundum perusie et quocumque voluerit” i quali, ad ogni superiore richiesta, siano pronti e convenientemente armati, per recarsi a Perugia o in qualunque altro posto dove fossero comandati. La proposta viene approvata con 32 voti favorevoli e soltanto due contrari, probabilmente appartetenti ad antimilitaristi.
Trattasi, altresì, “super provisione ludimagistri” di provvedere alla ricerca di un nuovo maestro di scuola. Tommaso Artemisi –facundus vir- “habita ad deum oratiuncula” dopo una breve invocazione a Dio, “de suggestu” dalla tribuna propone “quod Domini Antianj eligant quatuor Cives quibus committatur cura jnveniendj preceptorem, quo jnvento, fiat de eo proposita jn consilio generali” che gli Anziani nominino quattro cittadini cui affidare il compito di trovare un idoneo maestro e, trovatolo, se ne sottoponga la nomina al consiglio generale. La proposta viene approvata all’unanimità meno uno: il solito Bastian contrario! Per la cronaca, i quattro eletti alla ricerca furono: Camillo Carleni, Pannunzio Cerichelli, Giovan Antonio Laureli ed Angelo Petrignani. (2012)
21 - E’ il 21 Dicembre 1392. “Cum festum nativitatis domini adpropinquetur et in tali festo videlicet de sero in vigilia sit semper consuetum venientibus et visitantibus dominos Antianos facere honorem de potatione et confectionibus sumptibus communis” poiché la festività natalizia si avvicina, ed, in tale occasione e, in particolare, la sera della vigilia, sia consutudine per coloro che vengono a far vista agli Anziani, far loro omaggio con bevande e confetture a spese della Comunità “Et omnibus consideratis, fieri debet presenti anno multo magis solito” e, tutto considerato, in questo anno dev’esser fatto meglio del solito. si chiede cosa si debba decidere in proposito.
Coluccio Buzi prende la parola per dire: “faciant ut melius possint” si faccia come meglio sarà possibile; è difficile pensare di aver potuto trovare da dire qualcosa di più ovvio! Tanto, paga la Comunità! (2014)
22 - Si deve procedere all’estrazione dei nuovi Magistrati per il bimestre Gennaio-Febbraio 1614.
Il 22 Dicembre 1613, prelevata dalla chiesa di S. Francesco la cassetta del bussolo e “translata in Palatium Antianale”, presenti l’Ill.mo Governatore della Città Gaspare Murtula, genovese, “servatis servandis”, risultano estratti ed eletti:
Gli Anziani: Jo. Paulus Cansaccus, Milesius Milesij, Petrus Sandrus, Dionisius Clementinus.
Si procede, quindi, all’estrazione dei Vicari dei Castelli, con il seguente risultato:
“Joseph Cerichelli - Vicarius Castri Porchiani
“Stephanus Mandosius - Vicarius Montis Campani
“Antonius Geraldinus - Vicarius Colcelli et Frattuccie
“Paulus Petrignanus - Vicarius Focis et S.ti Focetoli
“Stephanus Cansaccus - Vicarius Macchie et Fornuli”.
Si estraggono, poi, gli Ufficiali dell’Ospedale, nelle persone di: “Antonius Mandosius, Prior; Maximus Petruccius, Trebonius Archilegius, Dionisius Clementinus, Antiani; Darius Mandosius, Camerarius; Dionisius Burlaschinus, Notarius; Eliseus Vannuccius, Nicolaus Berardini Venturelli, Sindici”.
Inoltre, vengono eletti:
“Benedictus Moriconus, Balionus Cioccius; Superstites (Soprastanti) Mercati Platee in die sabbati;
“Horatius Sandrus, Brancaleo Venturellus; Superstites Mercati beluarum die mercurij (mercato del bestiame del mercoledì)”.
Infine, depositari del Monte di Pietà vengono eletti:
“Mauritius Buccarinus, pecuniarium (preposto alle somme di denaro);
“Evangelista Venturellus, pignorum (preposto ai pegni)”.
Come si vede, tutti gli eletti facevano parte delle famiglie nobili amerine. (2000)
22 - Nell'aula del Palazzo Anzianale di Amelia, il 22 Dicembre 1601 si procede al rinnovo del bussolo, per l'elezione degli Anziani e delle altre cariche ufficiali, fra le quali i Viarii, l'avvocato ed il procuratore del Comune, i soprastanti ai mercati, i "Magistri viarum", gli "Aestimatores Communis", i "Viales Communis", i Santesi di S. Agostino, di S. Francesco e di S. Monica, il Priore dell'Ospedale, con i relativi Anziani, Camerario e Sindaci ed, infine, i Banderari.
Questi ultimi, che derivavano il loro nome dalla mansione di portabandiera nelle pubbliche manifestazioni, erano di estrazione popolare, venivano scelti fra e per ciascuna contrada o parte di essa, (tanto da essere chiamati anche "Capitani di contrada") ed erano preposti al mantenimento della pace e della concordia all'interno dei rispettivi rioni, ma potevano avere mansioni di vario genere, come l'assegna del bestiame da sottoporre alla relativa gabella.
Vale la pena di riportare i nomi, talora soltanto i soprannomi, di quelli eletti nella seduta sopra citata. Eccoli, con a fianco notata la contrada -o sua parte- cui l'eletto era preposto:
Piazza prima - Pintino
Piazza seconda - Vittorio di Tiritera
Valle di sopra - Antonio di Plinio
Valle di sotto - Matteo di Perpetua
Colle - Lucangelo di Ciucci
Sparupata - Girolamo Mancinelli
Pusterla prima - Paparello
Pusterla seconda - Giovanni Pisano
Pusterla terza - Stefano di Tomassaccio
Borgo primo - Luca di Moretto
Borgo secondo - Francesco di Ventrone
Borgo terzo - Menecuccio di Scarpone
Borgo quarto - Nardo d'Oratio
Borgo quinto - Tutto tanto
Borgo sesto - Hieronimo Corgnolo
Fra le contrade in cui era divisa la Città, indicate dagli statuti, non figura quella sopra nominata "Sparupata". Non si sa con certezza a quale zona si riferisse: forse la zona dell'attuale Via Scaricati? L'assonanza potrebbe autorizzarci a crederlo, tanto più che, in altre simili elezioni, dove detta contrada non figura, la "Colle' risultava avere due banderari. (2004)
22 - Il 22 Dicembre 1494 risulta annotato nelle riformanze quanto segue:
“Cum diebus superioribus de mandato S.mi D.ni N.ri Domini Alexandri divina providentia Romani Pontificis sexti fuerit retemptus Ill.mus D.nus Prosper de Columna S. Ro. Ecclesie armorum Generalis Gubernator ac amerine urbis precipuus benefactor et dominus” poiché nei giorni passati, per ordine di papa Alessandro VI, venne arrestato l’Ill.mo Prospero Colonna, Governatore generale delle armate pontificie e speciale benefattore e signore della Città di Amelia “cumque ipsa amerina communitas nimium dubitaret de illius interitu” e poiché la stessa Comunità amerina era fortemente dubbiosa circa la di lui rovina e pochi giorni più tardi era giunta notizia della sua liberazione, “que res quantum populo amerino grata perjcundaque extiterat” la qual cosa quanto sia stata gradita e grandemente bene accolta dal popolo amerino “ingenij mej imbecilitas capax scribendi non est” la inadeguatezza dell’ingegno del cancelliere che scrive non è in grado di esprimerla. Ma non ci sarà stata un po’ di esagerazione sia nella gioia del popolo che nella incapacità del cancelliere a descriverla? (2009)
22 - Il 22 Dicembre 1468 nelle riformanze si legge questa laconica annotazione:
“Supradicti dominj Antiani existentes in sala inferiori dederunt et concesserunt Licentiam et Auctoritatem Fulgentio de Montecampano facere in muris communis continis (sic) domus sue unam finestrellam sive balistreriam pro lumine sue domus, prout et sic retulit quod alij homines dicti loci habent” i detti Signori Anziani, riuniti nella sala inferiore (del palazzo anzianale), diedero e concessero licenza ed autorizzazione a Fulgenzio di Montecampano di aprire sul muro di proprietà comunale, contiguo alla sua casa, una finestrella (tipo apertura per balestra) per dar luce alla propria abitazione, allo stesso modo in cui, come egli stesso riferisce, possiedono altre persone dello stesso luogo. (2011)
22 - Occorre procedere alla nomina delle magistrature cittadine per i mesi di Gennaio e Febbraio 1550. Convocato il consiglio generale il 22 Dicembre 1549, gli Anziani in carica “sollemniter profecti sunt ad Ecclesiam S.ti Francisci unde substulerunt scriniolum Buxoli” in processione solenne si recano nella Chiesa di S. Francesco, dalla quale prelevano la cassetta del bussolo contenente i nomi dei nuovi magistrati da eleggere, e, quindi, “honorifice” con tutti gli onori, detta cassetta viene “delata in Aulam magnam Antianalis Palatij” trasportata nella Sala Maggiore del Palazzo sede della Residenza Anzianale e, qui, “per Jo. Franciscum publicum preconem aperta et riserrata fuit” viene aperta e, poi richiusa dal pubblico banditore Francesco, “ex qua de commissione et mandato M.ci d.ni Rodulphi de plebbe (sic) S.ti Stefani hon. Potestatis et Dominorum Antianorum” dalla quale, per espresso mandato del Podestà Rodolfo di Pieve Santo Stefano e degli Anziani, “fuit aperta quedam pixis in qua erant pallucte ceree Antianalis Magistratus viginti per me Cancellarium numerate et in pelvim sive labrum proiecte” fu estratta ed aperta una scatola contenente venti pallottole di cera della Magistratura Anzianale, contate dal Cancelliere e da questi poste in un apposito bacile e, quindi, per mani del Podestà, ne viene prelevata una che il Cancelliere apre “jmplorato prius summi opifici auxilio et ad laudem omnipotentis Dei eiusque Virginis Matris Marie sanctorum Apostolorum Petrj et Paulj Olimpiadis et Firmine protectorum huius inclite Civitatis” dopo aver implorato l’aiuto del Sommo Artefice ed a lode dell’Onnipotente Iddio e della sua Madre Vergine Maria, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, di Olimpiade e Fermina protettori di questa inclita Città “et ad felicitatem Sancte Romane Ecclesie sacri Collegij ac communis Amerie” e per la felictà della Santa Chiesa Romana, del Sacro Collegio e (finalmente!) del Comune di Amelia, “aperui jn qua inventi sunt” lo stesso Cancelliere apre la pallottola di cera, nella quale vengono trovati “e pecudina carta”, scritti su carta pergamena, “nomina futurorum Antianorum” i nomi dei futuri Anziani per i prossimi due mesi di Gennaio e Febbraio, che sono: Clemente Clementini, Cristoforo Cansacchi, Desiderio Geraldini, Gerolamo Ceracchini e Gian Francesco Perini, quest’ultimo nostro illustre pittore, non nuovo ad essere chiamato a ricoprire l’ufficio dell’Anzianato.
E questo complicato cerimoniale doveva ripetersi ogni due mesi!
(2012)
23 - Viene trascritta nelle riformanze una lettera inviata da Bassanello il 23 Dicembre 1460 agli Anziani da donna Elena de Ursinis. Il tono della missiva è improntato alla massima cordialità, addirittura definita "fraterna", ma ciò mal si concilia con il contenuto e le richieste in essa formulate. Eccovela:
"Magnifici domini et tamquam fratres Carissimi, etc. Havemo retenuto Anzelmo de Amelia et una soma de panno per cascione che le V. S. retengono li nostri prisciuni, et ancora lomo nostro. Quando le V.S. renderando (sic) li nostri prisciuni et lomo nostro nuj renderimo lo vostro. Nec alia. Bassanellj, die xxiij decembris 1460.
Helena de Ursinis etc."
Non conosciamo né in quale occasione, né quali fossero i motivi che portarono ad una situazione simile a quella presentata nella lettera di donna Elena, che detiene prigioniero un cittadino di Amelia con il suo carico di stoffe, fin quando gli Anziani non avranno deciso, a loro volta, di liberare i prigionieri fatti dagli Amerini.
Anche se non può dirsi un esempio di bello scrivere, la mittente doveva appartenere alla prestigiosa famiglia degli Orsini e la proposta di scambio di prigionieri lascia immaginare o un precedente fatto d'arme o, molto più probabilmente, l'esercizio di un diritto di rappresaglia, abbastanza usuale a quei tempi, forse per il mancato pagamento di qualche gabella. (2004)
23 - Gli Anziani il 23 Dicembre 1472 scrivono al Vicario di Porchiano Ser Nicolò di Carlo Boccarini “bonis et rationabilibus causis mentes nostras moventibus”, spinti da validi e ragionevoli motivi, affinché “capias captumque detineas sub bona et fida custodia” catturi e ponga sotto buona custodia “Magistrum Antonium ... incolam dicti castri Porclani” mastro Antonio ... contadino porchianese “nec ipsum relapses” né dovrà venir liberato senza loro autorizzazione. Il Vicario viene, altresì, incaricato di prelevare (“capias”) e conservare (“detineas”) “de bonis et rebus dicti magistri Antonij” dai beni e proprietà di detto mastro Antonio “quod ascendat ad summam et valorem L. ducatorum auri” fino alla concorrenza di un valore pari a 50 ducati d’oro. “Et contrarium non facias” E non faccia altrimenti.
Resta da conoscere cosa avesse mai combinato mastro Antonio e quali fossero i buoni e ragionevoli motivi che spinsero gli Anziani a tanto drastico provvedimento. (2008)
23 - Il 23 Dicembre 1541 il R.mo Padre Maestro Lorenzo di Bologna, Vicario Generale dell’Ordine dei Conventuali di S. Francesco, conferma un contratto di locazione, effettuato in Amelia dal Guardiano, su di un terreno dei Frati, sito al Voc. Urigliano, con l’apposizione della clausola che il conduttore (affittuario) debba, a sue spese, costruirvi la casa colonica entro quattro o cinque anni e pagare, ogni anno, a S. Maria d’Agosto, due some di buon grano, altrimenti si considererà decaduto sin da ora dalla conduzione. (2014)
24 - Il 24 Dicembre 1898 sul periodico AMERIA poteva leggersi la seguente notizia, titolata "Furteide":
"Nella notte dal 17 al 18 corrente, qualche ora circa dopo le dodici, vennero rubate tre galline, le più belle del pollaio, di proprietà del sig. Antonio Canali, in prossimità della sua abitazione. I ladruncoli, che finora non sono stati scoperti, penetrarono nell'orto mediante insalizione (sic) del muro di cinta, dalla parte del vicolo di Mario, quasi di fronte alla fabbrica dei maccheroni. Il muro è alto circa cinque metri e fu scavalcato con scala. Il rumore non fu avvertito benché, per consumare il furto, dovessero rompere la porta del pollaio che fu trovata con la serratura a terra. Due altre galline ivi esistenti, accortesi forse di capitare in mani che non erano padronali" -e poi si dice cervello di gallina!- "si salvarono entro una buca profonda e sfuggirono così alla preda".
Beati quei tempi, nei quali facevano notizia i furti dei rubagalline! (2006)
24 - In un’incursione nel territorio amerino, fatta da ortani capitanati da tal Andrea Bursia, vennero razziate molte bestie. Il 24 Dicembre 1396 nelle riformanze se ne elencano il numero ed i relativi proprietari cui vennero sottratte. Eccolo:
“Conventus Ecclesie sancti Agustini, unum asinum
“Macthiolus puchi unam asinam
“Ser Cola cellj unum asinum et duos boves
“Andreas petrucciolj unum asinum
“Dominus Egidius vicannis unum asinum
“Angelellus Jortij unum asinum
“Angelellus vannucolj unum asinum
“Cola mariutie unum asinum
“Angelellus fuctij unum asinum
“Petrignanus Ser paulj unum asinum
“Ser Berallus Andreoculj unum asinum
“Bectus mannutij unum asinum
“Johannes Romanutij unum asinum
“Ser Johenalis Ser Angeli unum asinum
“Ser Andeas mannutij unum asinum
“Petrus mannis Buccharinj unum asinum”.
Si vede che agli ortani piacevano più gli asini di Amelia, che quelli di casa loro! (2008)
24 - Il 24 Dicembre 1501 Cesare Borgia, nominato “protettore” della Città di Amelia fin dal 14 Novembre precedente, scrive agli Anziani una lettera di ringraziamento, da cui si traggono i seguenti brani:
“Intesa per li vostri Ambasatori (sic) la studiosissima voluntà et ferventissima affectione vostra jnverso de noi: Preso ne havemo piacere singulare et augumento grandissimo dela benivolentia quale prima per jnclinatione propria ve portavamo: Acceptato adunque havemo la vostra protectione volontierj, per non possere extendere ad riceptarve jn nostro dominio, come justissimamente demandavate, havendo per ferma deliberatione constituito non acceptare terre jnmediate subiecte adla Sede Apostolica, né ancora mediate (subiecte) ... Et si ad questo ce è intervenuta dilatione (ritardo nell’accettare l’offerta della protezione), sappiate non essere proceduto (dipeso) da altro che dallaver prima voluto bene resolvere ogne contraria difficultà ... Exhortamove ad vivere contenti et queti con lanimo remoto da offendere altri et certissimi de haverce ad omne justa defensione et debito favore vostro sempre disposti et prompti”.
Cesare accetta la semplice protezione di Amelia, non potendo includerla nel suo diretto dominio, essendo già fra le terre immediatamente soggette alla Chiesa. Vorrà dire che gli Amerini si dovranno accontentare.
Ma quanto sembrano simili a quelli del tarlo gli scrupoli del Valentino! (2010)
- 24 - Il 24 Dicembre 1470 ha ufficialmente inizio nella nostra città l’attività benefica del Monte di Pietà (“Montem Caritatis”) sorto “ad removendum et stirpandum de Civitate Amelia et eius comitatu et districtu abominabile et nefandum vitium usure” per rimuovere ed estirpare da Amelia e suo territorio l’abominevole vizio dell’usura, come affermato dal Venerabile Frate Fortunato di Perugia, dell’Osservanza Francescana, “divino spirito inspirato”, ispirato dallo spirito divino, mentre si trovava “in quadam cella refectorij S.cti Francisci de Amelia, versus ortus dicte Ecclesie” in una cella del refettorio di San Francesco, dalla parte dell’orto di detta Chiesa, insieme ad alcuni Anziani e ad altri cittadini, i quali tutti, “unanimiter et concorditer ordinaverunt et decreverunt quod in Civitate Amelia fiat Mons nonnullarum pecuniarum qui vocetur Montem Caritatis sive Fraternitatis que pecunie mutuentur habentibus necessatatem” unanimemente e concordemente ordinarono e decretarono che in Amelia fosse presente un Monte dotato di una quantità di denaro, da chiamarsi Monte della Carità o della Fraternità, da concedersi in prestito ai bisognosi. Ed il primo atto di tale benefica attività venne posto in essere, dando a mutuo a Matteo Cecchi Petriccioli di Amelia la somma di cinquanta ducati d’oro papali, da restituirsi nel termine di un anno. (2014)
24 - Il 24 Dicembre 1471 Fra Pasquale Menecuccij di Amelia, “Sacre Theologie humilis professor ac in provincia Sancti Francisci heretice pravitatis Inquisitor” umile professore in Sacra Teologia e Inquisitore della malvagità ereticale nella Provincia Francescana, emette una sentenza nei confronti di Mosé Lungo, ebreo di Terni, che però, non viene riportata dal notaio rogante. (2014)
24 - Il 24 Dicembre 1545 Prospero de’ Chiaravalle, particolarmente devoto alla Chiesa di S. Agostino, poiché in essa la celebrazione delle messe quotidiane e la recita diurna e notturna dell’ufficio, nonché le frequenti prediche si eseguono con grande edificazione, dispone, per testamento, che, in perpetuo, i suoi eredi forniscano un boccale d’olio al mese per la lampada del SS.mo Sacramento. (2014)
25 - Il padre guardiano dei frati minori della chiesa di S. Francesco, Frate Nicolò Cellj (probabilmente un Geraldini), in data 25 Dicembre 1395 rivolge una supplica agli Anziani ed al Consiglio, esponendo che i frati di detta chiesa hanno intenzione -”duce Deo” sotto la guida di Dio- di costruire presso la chiesa "quoddam opus inmense devotionis ad laudem omnipotentis Dei et gloriose eius matris Virginis Marie ad consolationem et commodum hominum et personarum dicte civitatis" un luogo di grande devozione, a lode dell’onnipotente Dio e della gloriosa Vergine Maria di Lui Madre, nonché a consolazione ed utilità di tutti i cittadini; chiede, pertanto, che, "ad ornamentum dicti operis, velitis et placeat dare et concedere colupnam comunis Amelie que sita est in platea Sancte Marie de Porta, in loco ubi fuit logia dicte platee", che, ad ornamento della costruenda opera, gli venga concessa la colonna sita nella piazza di S.Maria di Porta (attuale Piazza Marconi), dov’era la loggia di detta piazza, impegnandosi, Frate Nicolò, a costruire, nello stesso luogo, un’altra colonna della medesima altezza "de mactonibus coptis" in mattoni di terracotta; e ciò chiede "amore Dei et de vestra benigna et speciali gratia" per l’amor di Dio e per benigna e speciale grazia (degli Anziani)..
Il giorno successivo, Nicolò Jacobutij propone al Consiglio che "colupna postulata a dicto fratre Nicolao concedatur et detur pro dicto opere fabricando" che la colonna richiesta da Frate Niccolò gli si conceda per il fine sopra indicato, purché esso adempia a quanto promesso nella supplica.
L’attuale colonna sita in Piazza Marconi potrebbe identificarsi con quella dedicata a Stefano Colonna il 27 Ottobre 1479. (1999)
25 - Il giorno 25 Dicembre 1430 nelle riformanze risulta annotato che, a richiesta degli Anziani, venne presentata una lettera, inviata da parte del Protonotario della Sede Apostolica, tesoriere papale e Vicecamerario O. de Varris, al podestà di Amelia Anicio de Cuppis di Montefiascone, contenente l’ordine (“commictimus et mandamus”) di procedere (“procedatis”) “contra Andream petri de Castro Macchie Communitatis Amelie ac contra omnes alios suos fautores contra quos inquisistis occasione venenj per eos traditi matri ipsius Andree” contro Andrea di Pietro del castello di Macchie e contro tutti gli altri suoi complici, dallo stesso podestà posti sotto accusa di procurato veneficio della madre di detto Andrea, “eisdem Justitiam ministrando” e di amministrare la giustizia nei loro confronti.
Tanto per santificare il Natale! (2009)
25 - I Cardinali Colonna e Savelli scrivono agli Anziani in data 25 Dicembre 1493 la seguente letterina, che poco o nulla ha a che vedere con la ricorrenza che si celebra in questo giorno:
“Magnifici viri Amici nostri Amantissimi salute. Havemo aspectato tucto hogi, che è martedì, lu adventu (l’arrivo) del vostro Ambasciatore, per concludere secondo (quanto) Monsignore Savello ordinò con V. M.tie, quando fo lì, et non venendo (non essendo venuto il vostro ambasciatore), havemo comesso (dato incarico) al spectabile ciptadino Leonoro, oratore dela Comunità de Terani (Terni) che, facendo bisogno, se conferisca (rechi) personalmete lì ad referire lordine pigliato equì (avuto qui da noi), ciò è che V. M. ordeno (dispongano di) mandare docento homini bene impunto (equipaggiati) , insemi con questi (quelli) de Terani et Rhatini (di Rieti), li quali siano per tucta (entro) domenica futura ad Rhete, dove se trovarando (troveranno) nostri fratelli con altre genti et quilli li darrando (daranno) lordine quanto abenno (abbiano) da fare per consequire glorioso honore et effecto de queste cose de Norsia (Norcia), como piò ad longum (diffusamente) jntenderando (sapranno) V. M. dal dicto Leonoro oratore, al quale quelle li darrando (daranno) fede indubitata et ad esse ne (ci) offerimo paratissimi (prontissimi), que (le quali Signorie) bene valeant (stiano bene!)”.
E, così, invece di un messaggio di pace natalizio, i bravi Cardinali chiedono agli Amerini 200 armati, per una spedizione contro Norcia!
Tre giorni più tardi, nel maggior consiglio, si propone di ridurre le richieste del Colonna e del Savelli a 70 o, al massimo, a cento militi e, per le spese necessarie alla spedizione, si contragga un mutuo con Pierfrancesco Justoli di Spoleto, al quale -forse per ingraziarsene la benevolenza- oltre alla garanzia sul gettito delle gabelle comunali, si offre anche la cittadinanza onoraria di Amelia. E così sia! (2010)
26 - Il 26 Dicembre 1494 una folta rappresentanza di uomini di Attigliano, con a capo il prete Domenico di Giorgio, albanese, “constituti personaliter coram Magnificis dominis Antianis Civitatis Amerie”, personalmente presentatisi dinanzi agli Anziani di Amelia, “sponte ex certa eorum scientia nullo errore ducti” di loro spontanea volontà, pienamente consapevoli e non indotti in alcun errore, “promixerunt veram et indubitatam obedientiam et fidelitatem tam pro se ipsis quam pro eorum heredibus et successoribus et omnibus hijs de dicto castro qui ibidem residebunt ac pro hijs” promisero sincera e reale obbedienza e fedeltà, tanto per se stessi, quanto per loro eredi e successori e per tutti gli altri che venissero ad abitare in detto castello, nei confronti della “Amerinam urbem et eius comitatum et destrictum” Città di Amelia, suo contado e distretto “ac promixerunt fore et esse veros subditos comitatinos et bassallos” e promisero di essere e restare veri sudditi e vassalli della stessa Amelia “et sub illius protectione perpetuo vivere et a devotione fide legalitate et obbedientia dicte Civitatis numquam discedere” e di vivere in perpetuo sotto la sua protezione e dalla sua devozione, fedeltà ed obbedienza mai allontanarsi, “sub pena furche et privationis omnium suorum bonorum”, sotto pena della forca e della privazione di tutti i loro beni.
Lo stesso giorno e con lo stesso cerimoniale prestarono giuramento di fedeltà ad Amelia ache gli uomini di Guardea. (2008)
26 - Dopo la rinunzia alla nomina di medico da parte di Maestro Elia ebreo, occorre procedere ad una nuova elezione. Se ne parla nel maggior consiglio del 26 Dicembre 1474, facendo presente che, fra i cinque medici che si propongono, non si può sapere chi di essi sia il migliore “et voluntas cuiusque consiliarij non palam offendi possit” e non potendosi apertamente contraddire la volontà di ciascun consigliere, conviene procedere ad una votazione a scrutinio segreto “et qui ex eis maiorem numerum palluctarum habebit ille electus habeatur” e chi di essi avrà riportato un maggior numero di voti, sarà considerato eletto. La votazione dà il seguente risultato:
Il medico Maestro Nicolò da Veroli riporta 9 voti favorevoli e 37 contrari; Maestro Bartolomeo da Gualdo ha 21 voti favorevoli e 25 contrari; Maestro Giovanni da Trevi riporta 5 voti favorevoli e 41 contrari; Maestro Pietro da Bevagna totalizza 15 voti favorevoli e 31 contrari ed, infine, Maestro Lodovico da Visso riporta 7 voti favorevoli e 39 contrari.
Il meno peggio -è appena il caso di dirlo!- risulta Maestro Bartolomeo da Gualdo ed è a lui -chiamato nell’atto con cui si dà notizia dell’incario all’eletto “celebri et doctissimo artium ac medicine doctori” rinomato dottore nelle arti mediche e di riconosciuta grande abilità- che verrà affidata la salute degli Amerini per il prossimo anno, ad iniziare dal seguente 1° Marzo. Che Dio gliela mandi buona! (2009)
26 - Il 26 Dicembre 1471 nelle riformanze si dà atto che, “cum hoc sit quod petrus Stephanj de Castro fractutie” poiché Pietro di Stefano del Castello di Frattuccia venne condannato dalla curia del podestà per un delitto commesso nei confronti di un certo Antonio di Giacomo di Caserta nella bella cifra di cento ducati, “de qua summa constat solvisse ducatos tres”, della qual somma risulta ne abbia pagati tre; ed essendo stato deliberato “quod residuum sue condemnationis ipse petrus tenetur solvere” che il residuo della sua condanna lo stesso Pietro dovrà pagarlo “quando pro Commune Amelie reficerentur castella” quando, da parte del Comune, si porrà mano al restauro dei Castelli, secondo le risultanze delle delibere comunali verbalizzate dal Cancelliere Raniero di Gerolamo, il detto Pietro, costituitosi dinanzi agli Anziani, “volens contenta in dictis reformationis servare, adimplere et commune Amelie cautum facere” volendo rispettare quanto come sopra deliberato ed assicurare il Comune circa il suo preciso adempimento, si impegna solennemente “sponte, per sé suosque heredes et successores” di propria spontanea volontà, per sé, eredi e successori, a pagare al Comune “ducatos nonaginta et septem aurj residuum dicte sue condemnationis” novantasette ducati d’oro, quale residuo della condanna nel citato futuro restauro, “ad penam dupli” alla pena del doppio, in caso di inosservanza; il tutto “jurans ad sancta dei evagelia” asseverandolo con giuramento sulle sacre scritture.
Lo stesso giorno si dà, altresì, atto che gli Anziani “dederunt et consignaverunt Stephano Jac. pey de Amelia Massario seu conservatori Munitionum dicti communis” consegnarono a Stefano di Giacomo Pey, depositario e conservatore delle munizioni del Comune “septignentos sexaginta et septem verectones ferratos ponendos in dicta mutionione communis” 767 verrettoni ferrati, da riporre fra le munizioni stesse, “emptosque pro dicto communi per philippum pamponis de Amelia a petropaulo Bartocci Aromatario pretio quinque ducatorum pro pena sue condemnationis” ed acquistate per conto del detto Comune da Pierpaolo di Bartocci droghiere, per 5 ducati, con denari forniti da Filippo di Pomponio di Amelia, a causa di una sua precedente condanna pecuniaria.
Ma chi se lo sarebbe mai immaginato che i verrettoni si potessero acquistare dal droghiere, come la cannella?!
La paura della peste è sempre di attualità e non sono mai troppe le precauzioni da prendere e le raccomandazioni da fare. A distanza di sette anni, il 26 Dicembre 1478 si dà atto che il banditore pubblico Antonio di Trevi, su ordine avuto dal podestà, dagli Anziani e dagli uomini eletti e deputati per prendere provvedimenti “ad evitandam pestem”, ha riferito al Cancelliere comunale Giovanni Benedetto di Guglielmo di Norcia di aver provveduto ad eseguire “palam et alta voce, sono tube premisso” pubblicamente e ad alta voce, premesso un suono di tromba, i bandi a lui commessi, del seguente tenore:
“Per parte de miser lo potesta deli Signiori Antianj et de quillj de lo arbitrio se fa bandire et commandare a tucti portanari dela cipta de amelia tanto presenti quanto futurj che non debiano lassare jntrare nullo forestiero che fosse de terra o de loco alcuno dove fosse peste, alla pena de quaranta soldi al dicto portanaro per ciascuna volta et ciascuno forestiero.
“Jtem che niuno albergatore tabernario o ciptadino de qualonca grado et conditione sia debia allogiare ne tenere jncasa pernoctando nullo furestiero senza licentia et bollectino deli dicti Signori Antianj o vero deli dicti de lo arbitrio, alla pena de soldi cento senza alcuna diminutione, daplicarse per la mita al comuno damelia per la quarta parte alloficiale che ne facesse exequtione et per lo resto a quella persona che lo accusasse o denuntiasse.
“Jtem che li forestierj venenti de loco pestifero possano mangnare et bevere dalli hosteri fori dela porta secondo alloro piacera, pagando alli dicti hostieri la loro mercede et debito”. (2010)
27 - Il 27 Dicembre 1407 Johannes Pellegrini e Ceccutio Bartolelli presentano una supplica a Vicario, Anziani e Consiglio, esponendo che "dudum ambaxiatores eiusdem Communis transmissi ad castrum Guardeie" mentre esercitavano il loro incarico di ambasciatori del Comune presso il Castello di Guardea, inviati "ad dominum locuntenentem Magnifici et excelsi domini domini Francisci Corario" al luogotenente del magnifico ed eccelso signore il Signor Francesco Corario, "nepotem Sanctissimi domini nostri domini G(regorii) divina providentia pape xij" nepote del santissimo nostro signore il papa Gregorio XII, "in reditu eorum", durante il viaggio di ritorno, "capti fuerunt per gentes et armigeros moram trahentes in castro Alviani" vennero catturati dalle genti e uomini d'arme stanziati nel castello d'Alviano e da detto castello "fuerunt carceribus mancipati" furono scarcerati per lodevole interessamento ("laudabilibus opibus") del Comune di Amelia. Fanno comunque presente che "in dicta eorum captione" durante la loro cattura "fuerunt de infrascriptis tres bonis a dictis gentibus spoliati" furono derubati da dette genti dei seguenti tre beni, cioè al Pellegrini "una cappa panni lane coloris biscij cum cappuccio panni azzurrini, valoris x. libr. den." una cappa di panno bigio con cappuccio di panno azzurro, del valore di dieci libre di denari, "una daga valoris xxvj bol. una spada valoris unius ducati et unus guantus alterius floreni et xxvij bol." una daga del valore di ventisei bolognini, una spada del valore di un ducato ed un guanto del valore di un altro fiorino e ventisette bolognini. A Ceccuzio furono rubati "una daga uno lanciopto valoris et communis extimationis xxvj bol.", oltre ad una somma in denaro. Poiché i due sfortunati ambasciatori sono povere persone "ut vobis omnibus notorium est" com'è a tutti noto, chiedono "de eorum indempnitatibus misericorditer provvidere" che venga misericordiosamente provveduto a quanto a loro spettante "ut eis et pro alijs sit semper materia in necessitatibus communis operare" affinché da loro e per altri si possa sempre provvedere quando sia necessario alla comunità. (2007)
27 - Nel consiglio decemvirale del 27 Dicembre 1473 viene presentata una supplica da parte di Matteo di Valletta “dicente che per una sua condennatione de maleficio fo (fu) per gratia del consiglio facta allui remissione de tucto et che devesse pagare al comune dui ducati infra uno certo termine el quale serrà finito quisto lulglio che sequitarà. Ma perché luj è povero et cognosce la sua inopia che ad quillo tempo non poterà satisfare, prega le vostre S. farli cassare el processo per lo amore de dio, offerendo ala comunità che havendose ad mectere qualchuno ad mondare le fontanj de Porcelli vole mondare le decte fontanj et chiaveche con studio diligentissimamente per quello tempo (che) piacia al consiglio et ale V. S. ale quale continuo se recommanda”. Il maggior consiglio susseguente decide che si conceda a Matteo quanto da lui richiesto, ma se, per negligenza da parte sua, ne derivasse qualche danno alla fonte di Porcelli, perda ogni fatica e la grazia concessa venga revocata e sia tenuto a pagare quanto dovuto. (2009)
27 - Nel consiglio dei X del 27 Dicembre 1478 Ponziano, cassiere della fabbrica del palazzo anzianale, aveva dichiarato di aver pagato a Polidoro di Santa Vittoria, già podestà di Amelia, quale supplemento di sua spettanza della retribuzione salariale, circa cento libre, prelevando l’importo dal fondo relativo alla riscossione dei danni dati (cioè delle pene pecuniarie inflitte ai danneggiatori), “quia eodem tempore deficiebant pecunie in communi in officio camerarij, ex quibus dictum salarium solvi debebat” perché in quel lasso di tempo -troppo spesso ricorrente!- mancavano i fondi dalla cassa comunale tenuta dal Camerario, alla quale il salario del podestà si sarebbe dovuto attingere. Chiede, quindi, il buon Ponziano, che l’operazione finanziaria da lui effettuata venga approvata e regolarmente registrata nei libri contabili dell’amministrazione comunale, il che regolarmente avviene nel maggior consiglio del giorno successivo, in quanto tali spese -dopo attenta verifica- sono state considerate effettuate “pro rei publice comodo”, cioè per utilità della Comunità.
Nello stesso consiglio viene ascoltata la supplica presentata da Angelo di Andrea, di Fornole, ch espone “como luj, per debito (che) aveva, li fo necessità per non morire in la pregione per decto debito (che) havea con li homini dela Ciptà damelia e del decto castello de fornole, partirse et andare in altra patria et andò a stare a narne, dove è stato con la sua famiglia ... circa vinti annj. Al presente essendo confortato (incoraggiato) da molti ciptadinj damelia et ancho da homini del decto castello a tornare alla propia patria, perchè la natura el tira (lo spinge) adovere questo fare et vedi tornando (dopo essere ritornato) non trova niente ne casa ne nisunaltra cosa, che omne cosa è stato alienato per satisfare alli soi creditori, se recommanda alle V. S. prefate, le quale se degneno aluj et a doj figliolj (che) luj ha al presente grandj farlj exemptione et gratia de dative da jmponerse per lo advenire, cio è capo et foco per quello tempo (che) a ipse V. S. parerà et piacerà. Et questo quantonca sia uxato de fare a simile miserabile et povere persone, tamen (tuttavia) lo reputerà a gratia singularissima”. Gli si concede esenzione da ogni imposizione “durante tempore sex annorum hodie incohandorum” per la durata di sei anni, ad iniziare dallo stesso giorno. (2010)
27 - Sotto la data del 27 Dicembre 1468 nelle riformanze risulta trascritta una lettera, inviata agli Anziani di Amelia da parte degli Anziani e Consoli della Città di Bologna, con tanto di sigilli in cera rossa, di cui uno grande, con l’immagine del Vescovo (S. Petronio) e un altro, piccolo, con impressavi la Croce, scritta da Bologna il 6 Settembre precedente. Se ne riporta qualche stralcio:
“Magnifici et potentes dominj tamquam fratres et domini nostri carissimi. Cum venerabilis et eximius doctor Dominus Johannis de Venturellis civis vester Amerinus, longe tempore in hac nostra Civitate commoratus fuerit” Magnifici e potenti Signori, come fratelli e signori nostri carissimi. Poiché il venerabile ed esimio dottore Signor Giovanni de Venturellis, vostro cittadino di Amelia, risiedette per lungo tempo nella nostra Città “partim Auditor R.mj D.nj Cardinalis Reatini Bononie tunc legati, partim eius Locumtenens” in parte in qualità di Uditore del Rev.mo Cardinale Reatino, allora Legato di Bologna, in pate quale suo Luogotenente, “tantam in omnibus suis actionibus pre se tulit prudentiam modestiam ac integritatem ut summis eius laudibus (erroneamente trascritto: “ludibus”) hec Civitas prosecuta fuerit ac nostram et universi huius populi gratiam sibi merito venditaverit” si comportò in ogni sua azione con tanta prudenza, modestia ed integrità, e si acquistò meritatamente la grazia nostra e di questa intera popolazione, “ita ut eum ac suos omnes cives nostros creaverimus” tanto da venirgli conferita la nostra cittadinanza, estensibile ai suoi familiari.
La lettera prosegue con ulteriori lodi al Venturelli, che definisce “summo civitatis vestre ornamento” sommo ornamento della Città di Amelia.
E’ confortante constatare che, almeno nel passato, qualche nostro cittadino si sia fatto onore! (2011)
27 - Il 27 Dicembre 1524, con atto del notaio Francesco Fariselli, il Canonico Pietro Paolo Farrattini, Rettore della Chiesa parrocchiale di S. Pietro di Fornole, riceve una donazione per la chiesa di un piccolo terreno e compra un calice. Nello stesso periodo, nei Conventi d S. Manno, di S. Caterina e di S. Stefano vengono monacate alcune nobili fanciulle. (2014)
28 - Il 28 Dicembre 1481 vengono sancite delle disposizioni "de vestibus portandis per d.nos Antianos" circa gl’indumenti da indossare da parte degli Anziani.
Si prescrive che gli Anziani di nuova elezione, prima dell’inizio del loro ufficio, siano tenuti ad indossare "clamidem sive mantellum sine scapparutium longam ad minus usque ad mediam gambam coloris rosati sive pavonatij sive nigri sive bruschini"; un mantello senza cappuccio, lungo almeno fino a metà gamba e di determinati colori (rosa, paonazzo, nero o di un non meglio identificato colore “bruschino”); e chiunque volesse iniziare il suo ufficio senza il detto mantello "longitudinis et coloris predicti, non admictatur modo aliquo ad officium" della lunghezza e del colore sopra precisato, non sia in alcun modo ammesso a detto ufficio, sotto pena di 50 libre.
Inoltre, ogni domenica e nelle festività comandate, gli Anziani siano tenuti a recarsi in chiesa per assistere ai riti religiosi "collegialiter et cum pompa ad divina officia, tum pro reverentia divini cultus, tum etiam pro honore communitatis Amelie" collegialmente e con la dovuta solennità, sia in ossequio verso il culto divino, sia ad onore della Comunità amerina. (1999)
28 - Con un "breve" datato 28 Dicembre 1501 (erroneamente trascritto nelle riformanze: 1502) papa Alessandro VI, da buon papà, vuole che il viaggio della "sua diletta figlia in Christo (!)", che si reca da Roma a Ferrara, ad impalmare Alfonso d'Este, sia riverita e fornita di quanto le occorra lungo la strada da parte di tutte le comunità dei territori che attraverserà. Il Commisario papale Giacomo Pechinolo di Civita Castellana il 5 gennaio successivo intima agli Anziani di Amelia "sub pena mille ducatorum et rebellionis" sotto pena di mille ducati e dell’accusa di ribellione, di inviare a Terni "trenta some di biada et questo farete per tucto domane per quanto volete schifare (sic!) la indignatione de Sua Sanctità et desiderate havere la sua gratia. Item, mandarete polli para cinquanta, candele di sevo libre cinquanta, candele de cera libre vinti. Item una soma de ova et non manchi".
Ed in Amelia stavano da un pezzo tirando la cinghia! (2001)
28 - Il Comandante del Reparto Prigionieri di Guerra di Amelia, del 205° Battaglione Fanteria di Milizia Territoriale, il 28 Dicembre 1915 invia al Presidente della Società Teatrale della nostra Città la seguente lettera:
"I prigionieri di guerra assegnati a questo Reparto, i quali prossimamente saranno internati nei locali della ex-casa penale di questa Città, dovranno sostare per forse due giorni e due notti nella chiesa di S. Angelo, attigua al Teatro Sociale di Amelia. Occorre però di sistemare per qualche breve tempo una piccola latrina da campo, nel prato che sta fra il Teatro e la chiesa di S. Angelo, mediante lo scavo di una fossa, che verrebbe poi richiusa, rimettendo le cose nel primitivo stato.
"Tale operazione verrebbe eseguita dai militari di questo Distaccamento e senza alcuna spesa da parte di codesta On. Società.
"Si fa pertanto appello alla ben nota cortesia della S.V. Ill.ma ed al patriottismo ognora dimostrato dai Cittadini di Amelia, affinché codesta On. Società voglia compiacersi di concedere l'invocata autorizzazione ad eseguire il lavoro di cui sopra”.
Si risponde affermativamente, con la preghiera di recar il minor danno alla vegetazione e di provvedere alla accurata sterilizzazione dei liquami.
I prigionieri della prima guerra mondiale vennero internati nella ex casa penale di S. Giovanni, presso il Duomo e si è conservata memoria che venissero impiegati come manodopera per lavori edili, nella messa a dimora di alcune piantagioni e nella confezione di mobili e di cesti di vimini. (2004)
28 - Da parte di Dionisio Giovanni "de Mediolano et nunc habitator Civitatis Amelie" milanese, ma abitante in Amelia, il 28 Dicembre 1404 viene presentata al Vicario, agli Anziani ed al Consiglio una supplica, nella quale espone "cum ipse sit testor lane et intendit dictam artem exercere in Civitate Amelie ut alij testores" di essere un lanaiolo, disposto ad esercitare la sua arte in Amelia, come altri già presenti in Città "ideo petit quod ipse sit et fiat exemptus per commune Amelie ab omni honere personali, videlicet ab igne et custodia a capitibus que in Civitate Amelie solent exigi" chiede, però di venir esentato da ogni onere personale, cioè dalla tassa per focolare, dalla custodia e dall'imposizione "pro capite", che in Amelia sogliono venir applicate e, ciò, per la durata dei prossimi 10 anni. Dà, quindi, assicurazione -anche fideiussoria- che, "elapsis dictis x. annis", trascorsi detti dieci anni, pagherà tutte le dative "ut alij cives" come gli altri cittadini "et hoc amore dei et intuitu pietatis petit et de gratia speciali sibi fieri" e questo chede gli venga concesso come grazia speciale, per l'amore di Dio e a titolo di clemenza.
La supplica viene esaminata e si decide che l'esenzione richiesta gli venga concessa "solummodo pro tempore quinque annorum et non ultra" soltanto per cinque anni e non di più, a patto che Dionisio s'impegni -con cauzione fideiussoria- "de habitando pro tempore futuro in dicta Civitate et de solvendo omnia onera realia et personalia sicut alij cives et habitatores conformes sue qualitati" di abitare in avvenire in Città e di pagare tutte le imposte reali e personali, come gli altri cittadini, in conformità alla sua qualifica (di artigiano). (2007)
28 - Il 28 Dicembre 1471 il consiglio decemvirale esamina alcune suppliche.
Una è stata presentata da “Mario de Menicuccio de Zeppetella de Amelia el quale dice narra et expone come in li dì passati venne ad questione con Biasio de Puntiglione suo cognato el quale (Mario) lo ferì per modo (che) li è stato formato lo processo et de poi condennato in fiorini trenta ... et collo dicto Biasio ha hauta et ha bona pace, la quale pena non serria mai possibile ad poterla pagare perché lui non possede ne stabele ne mobile”. Si decide di convertire il pagamento della pena con mille verrettoni ferrati da consegnare al Comune (forse Mario era un armaiolo!) e la quarta parte della somma da lui dovuta sia passata a sua moglie.
Altra supplica viene prodotta da “Bartoccio de Squatra da Fornuli et Antonio del Torto da Foce che con ciò sia cosa che ipsi suplicanti siano per lo presente Messer potestà et sua corte condennati in certa quantità de denari, cioè lo dicto Bartoccio in libre de denari lxxv. et lo dicto Antonio in libre L. de denari, duplicatali la pena perché lo citato delicto sia stato commesso de nocte tempo perché se dice ipsi suplicanti havere tolto certo mele (miele) in la possessione de Pandolfo de Ser Joanni ... et invero ipsi suplicanti furono seducti ad tale delicto per uno figliolo de Scarinci da Fornuli, dicendo alli dicti suplicanti che la possessione dove stava lo dicto mele era la sua et così ipsi suplicanti ce andarono che per niente altramenti serriano andati”. In considerazione della loro povertà, si riduce la pena al pagamento di 15 bolognini per ciascuno.
Nello stesso consiglio si delibera circa “quodam curru deguastato” un certo carro malandato che si trova nella possessione di Stefano di Francesco, usato a suo tempo “pro portanda bombarda contra oppidum Canalis” per portare una bombarda contro la rocca di Canale. Ne hanno fatto richiesta i frati della Chiesa di S. Giovanni Battista “pro opportunitatibus fabrice illius loci” per utilità nella fabbrica della stessa chiesa. Si delibera “quod dictus currus libere largiatur dicte Ecclesie S.ti Johannis Baptiste pro dicta fabrica amore dei et S.ti Olimpiadis” che il carro sia liberamente donato alla detta chiesa, per l’amore di Dio e di S. Olimpiade. (2008)
28 - Il 28 Dicembre 1472, per decisione consiliare, viene eletto “medicus communis” medico condotto “eximius Arctium et Medicine doctor Magister Franciscus de Panarijs de civitate castellana pro uno anno proxime futuro incipiendo die primo mensis Martij 1473” l’esimio dottore nelle arti mediche Maestro Francesco de Panarijs, di Civita Castellana, per la durata di un anno, da iniziare il 1°marzo del venturo anno 1473, “cum salario et provisione centum ducatorum ad rationem lxxij bononenorum pro quolibet ducato sibi per Camerarium communis Amelie, de sextaria in sextariam persolvendorum” con lo stipendio di cento ducati, in ragione di 72 bolognini per ducato, da venirgli corrisposti dal Camerario comunale di semestre in semestre, “computata in dicto salario domo pro habitatione dicti medici” compresa nello stipendio la casa di abitazione per lo stesso “et cum ijs pactis capitulis et conditionibus, videlicet quod non possit se absentare a civitate et comitatu Amelie sine expressa licentia dominorum Antianorum Ameliensium” ed ai patti e condizioni seguenti: cioè che non si possa assentare dalla Città e comitato di Amelia senza espressa licenza degli Anziani “et quod teneatur curare et medicare omnes et singulas personas civitatis et comitatus Amelie solventes onera et dativas communis et habentes immunitates a dicto communi gratis et sine premio aliquo” e che sia tenuto a curare e medicare gratis e senza pretendere alcun corrispettivo tutte le persone della Città e del contado che pagano le imposte al Comune e quelle che godono franchigie comunali, “exceptis a comitatinis dicte civitatis Amelie a quibus habeat vecturas equi seu equorum et sumptus ac impensas” eccettuati i contadini, dai quali abbia la vettura di uno o più cavalli ed il rimborso delle spese. “A forensibus, autem, possit solvi pro libito voluntatis sue” Dai forestieri, però, possa farsi pagare a suo piacimento. (2009)
28 - Nel maggior consiglio del 28 Dicembre 1482 si decide circa la supplica presentata il giorno innanzi nel consiglio decemvirale dal barbiere Andrea “senex infirmus et pauper” vecchio, infermo e povero e da donna Perna, vedova di Giovanni Marini, anch’essa persona poverissima, i quali avevano chiesto che, “actenta eorum et cuiuscumque ipsorum extrema paupertate et etate decrepita” in considerazione della loro estrema povertà ed età assai avanzata, “gratiam liberalem facere de quibuscumque dativis jmpositis a communi amerie usque jmpresentem diem et de jmponendis jnfuturum toto tempore eorum vite” venisse loro fatta grazia liberale e remissione di tutte le imposizioni fiscali disposte dal Comune di Amelia fino al giorno della presentazione della loro istanza, nonché di tutte le altre che venissero imposte in futuro durante la loro rispettiva vita. Per le ragioni sopra esposte, si concede quanto richiesto. (2010)
28 - Sotto la data del 28 Dicembre 1467 nelle riformanze risulta trascritta la seguente supplica, portante in calce un rescritto del Governatore. Eccone il testo completo:
“Supplicase humelmente et devotamente per parte del vostro fidelissimo servitore Bartolomeo de Ser Girardo, Citadino damelia dicendo et exponendo come hogi xxij del presente mese è stato cavato et extracto dalbossulo deloffitio delantianato per lidui misi proximi davenire et per la data (imposta) de bolognini viiij et denari v. (della) quale è stato trovato debitore allibro delu Specchio è stato stracciato, la quale data è più desei misi lapagò ad uno tomasso de antonio de ser angelo, allora camorlingo come appare ala sua jntrata per lemani del presente Cancelleri Et perché non lipare chel defecto daltri et la neglientia (sic) deli notarij delicatasti aldicto offitio deputati labbia anocere per non haverlo casso havendo pagato del dicto specchio, pertanto recorre ala V. R.ma S. vepiaccia per vostro benigno et gratioso rescripto comandare ali S. Antianj presenti me debiano recevere et admecterme almio luocho. Et benche questo sia usato farlo apiù persone et sia iusto et rasionevole, lo reputarà agratia singolare dala vostra R.ma S. laquale dio conserve inprospero et felice stato et con longa vita”. (Di seguito:) “Placet quod admictatur actentis predictis. Ja. Episcopus perusinus gubernator. Datum Amerie sub Jmpressione nostri minoris sigillj die xxiij december Mill.o CCCC.o lxvij” Si approva che venga riammesso, considerato quanto sopra. Ja. Vescovo perugino Governatore. Dato in Amelia, sotto impronta del nostro sigillo minore, il giorno 23 dicembre 1467.
E, così, sia la dignità, che la nomina ad Anziano di Bartolomeo di Ser Girardo sono fatte salve! (2011)
28 - Fra gli appunti autografi lasciatici da Mons. Angelo Di Tommaso e dallo stesso tratti dagli atti notarili dell’Archivio Mandamentale di Amelia, sotto la data del 28 Dicembre 1454 risulta annotato quanto segue:
“Il Podestà Ser Mariotto de Bernardinis di (Città di) Castello, i sei Anziani del Popolo, col consiglio de’ X buoni uomini, i xxx del popolo ed i xv capi delle contrade, per terminare la lunga e micidiale guerra che arse tra Amelia e Todi, eleggono una commissione di sei cittadini, con a capo il dottore in ambe (le leggi) Pace de Cirichellis e le conferiscono pieni poteri al fine di conchiudere la pace coi Priori e Consiglio di Todi od altri legali rappresentanti di esso comune.
“Il giorno stesso, la medesima commissione è fatta plenipotenziaria, per trattare e combinare la pace coi Priori e Consiglio di Narni”.
Gran giorno quel 28 Dicembre! E si auspica sia stato foriero di buoni risultati: lo stesso nome del capo commissione: “Pace” non poteva lasciar sperare di meglio! (2014)
29 - Piermatteo di Manfredo o -come usavasi chiamare nell’ambiente umanistico- “de’ Manfredis”, pittore che la recente critica ha giustamente rivalutato, elevando la sua arte allo stesso rango dei maggiori artisti contemporanei, nacque presumibilmente in Amelia tra il 1445 ed il 1448. Fu certamente avviato alla carriera ecclesiastica, come suo fratello Bernardino; e ciò può dedursi anche da un breve di Giulio II del 16 Aprile 1504, nel quale il Nostro è chiamato “dilectus filius Petrus Mateus Manfredis, clericus amerinus, familiaris noster”, ed in cui si esorta, fra gli altri, il Vicario del Vescovo di Amelia ad assegnargli il possesso della cappellania del SS.mo Salvatore, istituita dalla famiglia Zuccanti nella chiesa rurale di S. Maria in Monticelli.
Piermatteo, nelle sue non frequenti permanenze in Amelia, figura anche aver partecipato alla vita politica della Città, come risulta dalle riformanze del Comune: il 29 Dicembre 1481, compare nella lista dei membri del Consiglio Generale, eletti per il primo semestre del 1482 ed il 22 Giugno 1487 è presente fra i sei Anziani designati dal Consiglio Generale per il bimestre Luglio-Agosto di quell’anno.
(Notizie fornite dai Proff. Stefano Felicetti ed Emilio Lucci, desunte dall’interessante e prestigioso volume “Piermatteo d’Amelia”, pubblicato dall’Ediart, a cura del Servizio Beni Culturali della Provincia di Terni). (1998)
29 - Per pagare al medico e chirurgo di nuova elezione, Maestro Bartolomeo da Gualdo, il salario per un anno, fissato in 110 ducati, in ragione di 72 bolognini per ducato, da soddisfarsi con scadenza semestrale, nel relativo atto di nomina, che porta la data del 29 Dicembre 1474, è precisato che il denaro necessario verrà ricavato -ben’inteso, senz’alcuna allusione!- dalla gabella del macello. Nello stesso atto sono indicate altre interessanti clausole, fra le quali: che il viaggio del medico per venire ad esercitare la professione in Amelia resta a suo totale carico ed a suo rischio e pericolo; che non potrà farsi sostituire in sua assenza, senza autorizzazione degli Anziani; che, a pena della perdita dell’incarico, non possa stipulare accordi o partecipazioni “cum pharmacopola seu aromatario” con qualche farmacista o speziale; che dovrà prestare le sue cure senza pretendere nulla dai pazienti.
La notifica dell’avvenuta elezione viene affidata dagli Anziani a Pietropaolo Bartocci, con la raccomandazione di provare ad ottenere dal neo-eletto una riduzione del salario, “onerata eius in agendo conscientia” facendo appello alla sua coscienza. (2008)
29 - Nel consiglio generale del 29 Dicembre 1493 Ser Manno, “animadvertens ac diligenter excogitans” considerando e diligentemente indagando che “retroactis temporibus per nonnullos advenas et forenses nec non lenones et huiusmodi nepharios homines multa fuerint commissa enormia facinora homicidia ac nonnulla alia seva et atrocia scandola in dedecus huius Amerine urbis” nei tempi passati, da parte di alcuni stranieri e forestieri ed anche di lenoni e simili uomini scellerati vennero commessi numerosi e smisurati delitti, omicidi ed altri molteplici pessimi ed atroci scandali, con vergogna di questa Città di Amelia, lo stesso consiglio propone “quod ex nunc ex decreto presentis consilij” che da ora in poi, per decisione consiliare, “omnibus et singulis civibus, incolis, comitatinis et districtualibus Civitatis Amerie ac forensibus quibuscumque in ea commorantibus” a tutti i cittadini, contadini e distrettuali della Città ed ai forestieri in essa abitanti “liceat succurrere et auxiliari” sia lecito prestare aiuto a tutti gli ufficiali della Città e venir da essi soccorsi contro “aliquibus forensibus lenonibus et alijs quibus advenis et facinorosis hominibus” alcuni stranieri, lenoni ed altri forestieri e scellerati uomini, che gli Amerini “possunt impune offendere verbis et verberibus cum armis et sine armis” possono impunemente offendere, sia a parole che con percosse, con armi e senza, “cum sanguine et sine sanguine usque ad mortem exclusive” con ferite sanguinolente e non, purché non in modo mortale. Agli stessi soggetti era proibito pernottare in Città e suo distretto, “excepto dumtaxat tempore nundinarum amerinarum” eccettuato soltanto il tempo delle fiere cittadine.”Liceat tamen meretricibus stare et moram facere in dicta civitate in locis tantum solitis et consuetis”. Sia comunque lecito alle meretrici di risiedere in Città, ma nei soli luoghi deputati alla loro attività. Lo stesso giorno, viene presentata altra proposta riguardante queste ultime, cioè che “diebus festis, hoc est diebus ab ecclesia vetitis, teneantur et debeant stare intus domum earum habitationis, adeo quod a nemine transeunte videantur” nei giorni festivi, cioè dalla Chiesa vietati a tale attività, dette “signore” siano tenute a starsene chiuse in casa, sì che non possano esser viste dai passanti, a pena di 20 soldi per ciascuna di esse e per ogni volta che verrà trasgredito. (2009)
29 - Il 29 Dicembre 1493 si fa presente nel maggior consiglio la necessità di adottare drastici provvedimenti di ordine pubblico. Poiché “retroactis temporibus per nonnullos advenas et forenses nec non lenones et huiusmodi nepharios homines multa fuerint commissa enormia facinora, homicidia ac nonnulla alia seva et atrocia scandola in dedecus huius Amerine urbis” poiché recentemente da alcuni stranieri e forestieri, nonché da lenoni e simili uomini scellerati vennero commessi molti gravi misfatti, omicidi e numerosi altri crudeli ed atroci disordini in obbrobrio e vergogna di questa città di Amelia “et potissime que diebus proxime superioribus commissa fuere contra Notarium maleficiorum, Potestatis presentis pretoris Amerini” ed, in particolare, nei giorni testè decorsi, vennero commessi, contro il notaio dei malefici ed il giudice del presente Podestà di Amelia, atti offensivi ed irriguardosi, si chiede che, da parte della Comunità si adottino provvedimenti per far cessare tali scandalose manifestazioni. E, ciò, sia “pro statu Sancte Romane Ecclesie et Sanctissimi D.N. pape” per un riguardo verso la Santa Chiesa ed il papa (nonché del Cardinale Savelli, Legato Apostolico del Ducato di Spoleto ed a salvaguardia dell’onore del suo Luogotenente), quanto “pro quiete ac pacifico vivere populi Amerini” per la tranquillità e la pacifica convivenza del popolo di Amelia. Viene, quindi formulata la proposta “quod ex nunc ex decreto presentis consilij decernatur et reformetur” che, con decorrenza immediata, con provvedimento del presente consiglio si stabilisca e si ordini che, da parte di tutti i cittadini, contadini, distrettuali e forestieri residenti in Amelia “liceat succurrere aut auxiliari omnibus offitialibus dicte Civitatis qui quomodocumque et qualitercumque contemnerent seu certarent cum aliquibus forensibus, lenonibus et alijs quibus advenis et facinorosis hominibus” sia consentito portare aiuto e dare manforte a tutti gli ufficiali della Città, che, in qualsiasi modo e con ogni mezzo, contrastassero e si adoperassero per reprimere le azioni criminose di stranieri, lenoni e di altri forestieri ed uomini facinorosi “et dictos forensees lenones advenas et facinorosos homines possint impune offendere verbis et verberibus, cum armis et sine armis, cum sanguine et sine sanguine usque ad mortem exclusive” e possano liberamente ed impunemente offendere, sia a parole, che con azioni, detti stranieri, lenoni e facinorosi, sia con le armi, che senza, con ferite sanguinolente e non, eccetto che procurar loro la morte. Ed altrettanto sia lecito fare verso dette malefiche persone che contendessero con cittadini e residenti del luogo. Inoltre, “lenones qui omnium scandolorum causa sunt, non possint pernoctare in civitate, comitatu et districtu Amerie, excepto dumtaxat tempore nundinarum amerinarum, sub pena duorum ducatorum pro quolibet tam a receptato quam a receptatore” i lenoni, che sono causa di ogni disordine, non possano pernottare né in città, né nel suo distretto, salvo che nei tempi delle fiere, sotto pena di due ducati per ciascuno di essi, da doversi anche da chi li ospitasse. Quanto, poi, alle meretrici, sia loro lecito “stare et moram facere in dicta Civitate in locis tantum solitis et consuetis” risiedere e vivere soltanto nei locali a loro riservati.
E’ una vera e propria dichiarazione di guerra alla criminalità, alla quale vengono chiamati -non senza rischio che venga commesso qualche arbitrio- anche i singoli cittadini.
In aggiunta a quanto sopra deliberato, si propone “quod omnes meretrices que pro tempore stabunt in Civitate Amerina diebus festis, hoc est diebus ab Ecclesia vetitis, teneantur et debeant stare intus domum eorum habitationis, adeo quod a nemine transeunte videantur, sub pena viginti solidorum pro qualibet” che tutte le meretrici residenti in Amelia, nei giorni festivi, cioè in quelli vietati dalla Chiesa, debbano restare chiuse nelle loro abitazioni, in modo tale che non possano essere vedute da chi passasse davanti ad esse (tanto per rispettare il noto adagio: “occhio non vede, cuore non duole”).
Nello stesso consiglio si decide anche “de petitione horum qui inventi fuerunt per offitialem extraordinariorum ludere ad cartas” circa la supplica presentata da coloro che furono trovati a giocare a carte dall’ufficiale addetto agli affari straordinari. Si propone che, “soluto uno grosso pro quolibet, de reliquo pene in qua venirent puniendi fiat eis remissio et gratia liberalis” pagato un grosso ciascuno, gli si faccia grazia del resto. La decisione viene approvata con 63 lupini bianchi, contro 19 neri.
V’è anche da decidere “de petitione Universitatis castri sancti focetuli” circa l’istanza presentata dalla popolazione del castello di Sambucetole, che vorrebbe sia loro restituita la campana che era un tempo sulla chiesa del detto Castello. Si decide che “si possibile est” se sarà possibile, si restituisca loro la vecchia campana, “quod si locum non habet, assignetur eis campana que fuit lacuscelli, id si minime octineri potest” se ciò non sarà possibile, si conceda loro quella che un tempo appartenne a Lagoscello; ma se anche questo non potesse aver luogo, si dia incarico agli Anziani ed al consiglio decemvirale di trovare “campana condecenti pro dicto castello sumptibus communis Amelie” un’idonea campana per il detto castello, a spese del Comune.
Infine, “de suplicatione Barbitonsorum” su di una supplica presentata dai barbieri, si decide (con 58 voti favorevoli e 14 contrari) che ad essi “liceat prohicere in platea et stradis publicis loturam capitis et barbe impune” sia lecito gettare impunemente nella piazza e nelle vie pubbliche la lavatura dei capelli e delle barbe, si presume comprensiva anche del relativo residuo del taglio e della rasatura. (2010)
29 - Nella seduta consiliare del 29 Dicembre 1527 si esaminano, fra l’altro, alcune suppliche.
La prima è presentata “per parte delli divoti oratori orphani et miserabili figliolj et heredi di bastiano de Stillacca, come che epsi sonno cinque bocche che una non po’ (aiutare) laltra et jnutile sensa alcun guadagno con il quale epsa pauperrima fameglia se potesse in parte governare, adeo (così che) sono costrecti dalla misera povertà andar mendicanno se non vogliono morire di fame, che in bonis (in proprietà) non possedono tanto che di quello ne vivesse meza bocca et quello (che c’è) èssi (è restato) inculto et derelicto jn modo che niente fructano, si che, conseglio pietoso, correndo li annj di penuria pienj, che li ricchi vivono con grande difficultà si come ogniuno prova; li prefati miserabili orphanj ricorrono a questo uberrimo fonte de misericordia, jn mano di quello buctannose (ponendosi) et a quello humilissimamente supplicando vogliate havere per riccomandata tanta miseria et povertà, concedennolj gratia (che) per qualche anno fossero exempti dalle date de Potestà et altre da jmponerse, che dio ve conservj et guardi da morte, che li vostri figliolj mai patino (patiscano) tal disgratie et questo lo haveranno de gratia speciale da questo generoso conseglio che dio lo conservj et prosperi ad vota”.
Altra supplica presenta “jl fidelissimo servitore ... Berardino de Johan grande de Amelia, qualmente luj inseme con jl quondam matthia de melibeo jn lo anno proximo passato condussero (ebbero in appalto) la maior parte de le gabelle de la communità de Amelia et de tucte se trova haver facto male et jn specie de la gabella generale se trova haver facto malissimo si come per le cose (a causa) de la peste et guerre occurse, ogniuno po’ credere et sapere perché la jntrata dela dicta gabella la maior parte procede (dipende) da le merchantie et trafichi che passano da amelia et mectono et cavano dala dicta ciptà, et jn tanto ha facto male che de le cinque sextarie curse non ne sonno cavati li denari de doi et per satisfare ala communità per quello tanto che è pagato (per quel poco che si è riscosso) jl povero homo ce ha facti grandissimi debiti et bisognandolj pagare il resto et questa ultima sextaria et satisfare ali creditori li serria forza de vendere quella pocha facultà che se ritrova et non ce bastarà” Ricorda, inoltre, che nell’anno passato, i Pennesi portarono in Amelia molte loro robe “per paura de li soldati” e quando le riportarono a Penna, gli Anziani prescrissero ai gabellieri “che li lassase andare sensa pagamento alcuno”, con danno dei gabellieri stessi, a causa del mancato guadagno. Si raccomanda, quindi che gli venga concessa “qualche remissione” (abbuono) e non permettere “che jl povero homo in questa sua ultima vecchiezza sia sforzato de andare mendicando”.
E’,infine, la volta di Francesco Clementini, che ricorre “per non havere haute bollecte (retribuzioni) del mese de Juglio, augusto, septembre et octobre”, per l’”adconcio” de “lo arlogio de piaza” ed, inoltre, chiede le sue spettanze “per havere cura ala munitione” cioè per la custodia delle munizioni, per la quale “me fo promesso carlinj cinque per ciasche mese et per li sopranominati mesi non ho haute bollecte”.
Nel maggior consiglio svoltosi lo stesso giorno, si decide che agli eredi di Bastiano si conceda l’esenzione “pro annis quinque ab omnibus gravaminibus” da ogni imposizione per cinque anni. A Berardino di Giovanni Grandi, si concede di abbonargli l’ultima rata della gabella generale e di concedergliela per un altro anno, a patto che non chieda altro per il danno subito. Infine, che Francesco Clementini venga soddisfatto di quanto deve ricevere, per aver conservato e custodito i beni della Comunità.
Da ultimo, compare nel consiglio generale “Lazarus hebreus fenerator jn civitate Amerie” l’ebreo Lazzaro, esercente il credito in Amelia, ed espone che, al tempo in cui erano in carica gli Anziani David Cansacchi, Pompilio Geraldini, Girolamo Nacci, Timoteo Venturelli, Berardino Quadraccia, detto Carta e Massimo Alessandri, nei mesi di Luglio ed Agosto 1527, “mutuo dedisse communitati Amerine” abbia concesso, alla Comunità di Amelia, un mutuo di venti ducati di carlini e, precisamente, il giorno 14 del mese di Luglio e, non avendo ricevuto, di detto prestito, alcuna garanzia scritta, chiede al Cancelliere Angelo de Filijs che venga fatta menzione documentale del prestito “jn libris archivij” nei libri contabili conservati in archivio. Il consiglio e gli Anziani, “videntes predicta petita iuri consona” considerando la richiesta ammissibile e conforme alla legge, autorizzano il Cancelliere “fieri de predictis notam” che proceda alla relativa contabilizzazione. Così l’ebreo Lazzaro potrà dormire sonni tranquilli! (2011)
29 - Il 29 Dicembre 1540, dopo regolare bandimento fattone da parte del “trombetta” Gian Francesco di Marco, viene posto all’asta l’appalto della gabella del macinato e Pietro Simone Petrucci e Marchesino Farrattini, alla presenza dei testimoni, nelle persone dello stesso Gian Francesco e di Marino di Pergola, famiglio di Palazzo, offrono di assumersi detto appalto, per “ducati 400 per cinque annj, pagando un quatrino per quarto de grano che se macinarà jn Amelia et suo contado et destrecto”, presentando i relativi capitoli. fra i quali:
“tucti quelli (che) andarando (andranno) ad macinare ad Narne, Stifone et Montoro debiano rentrare perla Porta Pisciolina et non per altra Porta, et quelli (che) macinarando ale molina de Amelia possano entrare dove li piacerà, lassando el bollectino al Portanaro.
“Jtem che li Portanari siano obligati de stare ale porte et far diligentia de pigliare el bollectino.
“Jtem tucti quelli (che) commettessero fraude da mezo quarto in su, caschi in pena de octo libre, da applicarse ad epsi Gabellieri et sia creso uno (ad un teste) con suo juramento.
“Jtem che tucti religiosi, preti, frati, moneche, bizoche non siano tenutj pagare gabella, ma se li habia ad (si debbano loro) distribuire dodici quarti per bocca.
“Jtem tucti terrazani et forestieri che portassero farina de fora del destrecto de Amelia non habiano da pagar gabella.
“Jtem volemo posser deputare (designare) li gabellieri per le Castella che habiano da coglier (ricevere) dicta gabella sensa venire in Amelia.
“Jtem tucte altre sorte de biadi et legumi che se macinaranno paghino per mezo (la metà) del grano”.
Si presenta, poi, Bernardo Scinchi di Amelia ed offre, per detto appalto e con l’osservanza degli stessi capitoli, 425 ducati. Pietro Simone replica, offrendone 430. Bernardo alza la sua offerta a 450 ducati ed, a questo punto, Pietro Simone porta l’offerta a 460 ducati, aggiudicandosi l’appalto.
Occorre esaminare anche una supplica presentata da Valentino Francesconi, “per quam petit velle cooperiri facere domunculam prope Portam Pisciolini et illam sine pensione frui per octo annos adminus” secondo la quale chiede di poter rifare il tetto ad una piccola casetta di proprietà comunale ed, in cambio, di potervi abitare per almeno otto anni, senza doverci pagare il canone di affitto. In considerazione dell’evidente utilità per la Comunità (“utilitate Communis”) al povero Valentino si concede quanto richiesto a voti unanimi, salvo uno contrario del solito Bastiano. (2012)
30 - Nel Consiglio anzianale del 30 Dicembre 1503 si tratta della necessità di riattare le vie pubbliche. In particolare, i gabellieri chiedono che venga risistemata la strada di S. Francesco delle Donne. Questa chiesa, di cui oggi si è persa ogni traccia, doveva essere ubicata nel settore di sud-ovest, fuori delle mura cittadine. Nella "Visitatio Episcopi Camaiani" eseguita nel 1574 a tutte le chiese della diocesi, fra quelle visitate il 30 Novembre di detto anno, figurano Santa Maria delle Cinque Fonti e le chiese rurali di San Pellegrino di Montenero, San Pietro di Assignano, S. Angelo di Aquilano e quella "Sancti Francisci Donarum"; di dette chiese rurali, si specifica che esse sono "penitus collapsas", cioè quasi totalmente dirute. (2001)
30 - Il 30 Dicembre 1485 nel consiglio decemvirale si discutono diversi argomenti.
Fra questi, necessita provvedere circa “damna que continue per pecudes et alia animalia olivis inferantur, non sine totius populi preiudicio et iactura” i danneggiamenti che provocano di continuo le pecore ed altri animali agli olivi, non senza grave pregiudizio e perdita per tutta la popolazione. Si propone di istituire una penalità per coloro che recano danni con detto bestiame, in modo da costringerli a tenerlo lontano dali oliveti e ben guardato e la prova del danno potrà venir data dal giuramento del danneggiato e l’entità della pena possa arrivare fino a dieci libre di denari “et tantundem pro emenda domino sive laboratorj damnum patienti” ed altrettanto sia dovuto al proprietario o al lavoratore che avrà subito il danno. Tale provvedimento “jntelligatur contra pecudes et alia quecumque animalia olivas comedentia” si intenda valido per tutte le pecore ed altri animali che si nutrissero delle olive.
Si passa ad altro argomento. Da parte degli Anziani, su richiesta di “magistri vici sutoris civis amerinus” mastro Vico calzolaio di Amelia, venne scritto per ben tre volte al Signore del castello di Giove “contra quendam de dicto loco qui dicitur la Parcha, debitorem dicto Magistro vico in certa summa et quantitate granj” contra un tale del detto Castello, chiamato la Parca, debitore del citato mastro Vico per una certa quantità di grano. “Minimeque prefatus Magister vicus quod suum est consequi valuerit” ma mastro Vico non è riuscito nel modo più assoluto a venir soddisfatto del suo credito. “Ne talem iacturam amerinus Civis patiatur” affinché un cittadino di Amelia non debba subire una tale perdita, si chiede quale provvedimento adottare. Si decide, “ad maiorem cautelam et excusationem Communitatis”, di scrivere ancora una volta al Signore di Giove, per avere da parte di mastro Vico, piena soddisfazione dal suo debitore, il quale, “si in solita perseverabit negligentia” se continuerà a mostrarsi negligente, “concedantur represalia contra homines dicti Castri” venga concesso al creditore diritto di rappresaglia contro gli uomini del detto castello.
Nel medesimo consiglio vengono presentate anche alcune suppliche.
Una è quella di Cecco di Calvo, di Amelia, che si definisce “pauperrimus et miserabilis”, gravato da grande povertà e da numerosa e disutile famiglia, che “solo sudore suo gubernare non possit” con le sole sue fatiche non riesce a mantenere: poiché viene insistentemente molestato dagli ufficiali del fisco a pagare le dative sia decorse che in scadenza e “pro debitis contractis propter mala tempora” per debiti contratti a causa delle avverse contingenze, “a creditoribus molestatur ut in patria stare ne dum lucrarj minimum permittant” è altresì molestato dai creditori, tanto che non gli consentono assolutamente di restare nella propria patria a guadagnarsi da vivere, “immo ipsum cum tota familia per diversas mundj partes mendicatum ire compellant” anzi, lo costringono ad andare ramingo per il mondo a mendicare con tutta la sua famiglia. Chiede, quindi, che gli vengano abbonate le dative decorse e gli sia fatta esenzione delle future per 15 anni, “aliter vivere non possit nec familiam in patria quoquo modo gubernare” altrimenti non gli sarà possibile vivere in patria né mantenere la famiglia. Quanto sia stato deciso in merito non risulta annotato.
Altra supplica viene presentata “per parte del vostro figliolo et povero servitore Sanctoro de Johanne bono d’Amelia como gia più tempo è che luj e lonardo et Antonio suoj fratellj gia morti sono condemnati in libre cinque de denari per uno per la Corte del potesta per cascione de certi confini vicinalj et differentia de certa morra; et questo fo per non essere stati defesi per la loro ignorantia et povertà et perciò forono jnjustamente condemnati perche ce hanno chiara et bona rascione”. Chiede, quindi, la remissione della pena. Il consiglio generale del dì seguente delibera che Santoro paghi la sua pena per intero, mentre “cassentur condemnationes late contra fratres ipsius” si annullino le condanne contro i fratelli defunti. (2010)
30 - Sotto la data del 30 Dicembre 1527 nelle riformanze risulta annotato quanto segue:
“Communitas civitatis Narnie scribit communi Amerie in favorem cuiusdam Juliangelj detenti hic ad presens, pro quo etiam scripsit capitaneus Pandulfus” la Comunità della Città di Narni scrive al Comune di Amelia in favore di un certo Giulio Angelo, attualmente detenuto qui in carcere; a favore del quale ha scritto anche il Capitano Pandolfo. “Communitas narnie petit eius liberationem. Videatur quid agendum”. La Comunità suddetta chiede la sua liberazione. Si veda cosa sia possibile fare.
Con molta probabilità, detto Giulio Angelo era stato catturato nel corso di una depredazione collettiva.
“Egregius vir Pompilius geraldinus ex consulentium numero super dicta proposita, petito prius divino numine” Pompilio Geraldini -uomo egregio-, uno dei consultori presenti, in merito al suddetto caso, dopo aver sollecitato l’aiuto divino, “dixit et consuluit quod examinetur jterum et videatur si est in culpa et si interfuit cum alijs in agendo predas” espone che si riesamini la posizione di Giulio Angelo e si stabilisca la sua eventuale colpevolezza, per aver partecipato, insieme ad altri, all’azione predatoria “et si jnterfuit et meretur penam puniatur” e se vi intervenne, meritando la pena, si punisca; “sed si ivisset pro suis negocijs et missus ab alio vel pro ut in litteris missus a capitaneo pandulfo, relaxetur” ma se vi andò per sistemare i suoi affari o inviato da altri o dal capitano Pandolfo, come risulterebbe dalla lettera di quest’ultimo, venga rilasciato e liberato.
Non sarebbe certo il primo caso di persone restate coinvolte in azioni criminali, per essersi trovate nel luogo sbagliato al momento sbagliato! (2011)
30 - E’ il 30 Dicembre 1537. Nelle riformanze risulta trascritto un atto stipulato davanti al Cancelliere, in funzione di Notaio, mediante il quale viene concluso un accordo di pace fra Gian Domenico di Pasquale ed Antonio di Bartolomeo, detto Fratone, entrambi del Castello di Collicello. Se ne riportano alcuni passaggi.
Con detto atto, le sopracitate persone, “sponte et omnes eorum” di loro spontanea volontà ed unanimemente, “remiserunt sibi jnvicem” fecero remissione vicendevole di tutte le “jniurias et offensiones verbo vel facto jnter eos commissas” ingiurie ed offese intercorse fra di loro, sia verbalmente che materialmente “et vicissim osculo pacis interveniente, fecerunt bonam pacem et unionem atque concordiam quam jncorruptam jnviolabiliter observare promiserunt” e si scambiarono reciprocamente il bacio della pace, con promessa di amicizia, unione e concordia, che si impegnarono inviolabilmente ad osservare e conservare, sotto pena di ducati venticinque, da pagarsi da chi contraffacesse e da attribuirsi per una metà al Comune, per un quarto all’ufficio che ne avrà fatta escuzione e, per l’altro quarto, alla parte osservante. Il tutto corroborato e confermato da formali promesse e giuramenti, nonché dalla fideiussione di Salvato Sandri, di Amelia, il quale se ne fece garante “sponte et in forma juris valida” spontaneamente e nelle forme ritenute valide, secondo la legge. A loro volta, Gian Domenico e Antonio di Bartolomeo promisero, anche con giuramento, di “jndemnem conservare” conservare indenne il garante.
All’atto, stipulato “jn Cancellaria Palatij Antianalis” nella Cancelleria del Palazzo degli Anziani, assistettero, in qualità di testimoni, Dardano Sandri e Orazio Bernardini, detto Carta.
Bello ed edificante esempio di riconciliazione cittadina! (2012)
31 - 31 Dicembre 1999. Siamo alla vigilia dell’anno 2000.
Dieci secoli or sono, all’avvicinarsi dell’anno 1000, da molti paventato quale termine fissato per la fine del mondo, in alcuni atti notarili, anche fra quelli rogati in Amelia, non era difficile rinvenire, fra le formule in essi inserite, la dizione: “Appropinquante fine mundi” avvicinandosi la fine del mondo.
Si pensa che pochi ormai possano essere presi da simili timori, allo scadere del secondo millennio, che, per la precisione, verrà poi a coincidere con il 31 Dicembre 2000.
(1999)
31 - Nella seduta plenaria dei Consigli generale e speciale tenutasi il 31 Dicembre 1394, poiché “bonum esset sumptus refrenare”, essendo opportuno porre un freno alla prodigalità, si fa proposta che nessuna donna, di qualsiasi condizione sia, possa portare o si faccia donare ornamenti d’argento o d’oro del peso complessivo di una libbra e ornati di perle, eccedenti il peso di due once. Alle mogli, però, di militari o dottori, sia lecito portare ornamenti d’argento e d’oro del maggior peso di tre libbre e di quattro once di perle.
E se qualche donna trasgredisse in qualsiasi modo a dette disposizioni, incorrerà nella pena di 40 soldi per ogni oncia in più d’argento e d’oro e di 10 libre per ogni oncia di perle.
Affinché dette pene vengano applicate, siano tenuti gli uomini e i mariti delle mogli, che hanno trasgredito, a pagare le pene che avrebbero dovuto pagare le stesse in tali casi. E se queste vivessero con un uomo o non avessero marito, siano tenuti a pagare il padre o il fratello nella cui casa abitassero.
Ed al fine di rendere applicabili tali disposizioni con maggior discrezione e comodità possibili, sia sufficiente dar credito alle relazioni degli ufficiali incaricati, che avranno eseguito indagini in merito. E perché nessuna donna possa addurre pretesti, ogni Rettore, all’inizio del suo officio, sarà tenuto e dovrà far conoscere con un bando tali disposizioni.
Affinché, poi, le donne non osino trasgredirle, due ufficiali vicarii o i rettori facciano e siano tenuti a fare solerte investigazione in merito nella città e nelle case dove si celebrano matrimoni ed anche nelle chiese.
La suddetta proposta, messa ai voti, viene approvata all’unanimità.
E’ questo un ulteriore esempio delle disposizioni di carattere suntuario che vennero adottate dagli Amministratori amerini fra i secoli XIV e XVI. Altre furono emanate nel giugno del 1489, il 7 Gennaio 1490 ed il 2 Giugno 1577. Anche in precedenza, un generico divieto di “trascinare” le vesti era stato sancito dagli statuti del 1330 e del 1346.
Quanto, poi, all’atto pratico, queste tanto drastiche prescrizioni siano state puntualmente osservate, resta tutto da dimostrare. (2000)
31 - Il 31 Dicembre 2000 è l’ultimo giorno del Secolo XX: alla mezzanotte, avrà inizio il Terzo Millennio dell’Era Volgare. (2000)
31 - Il 31 Dicembre 1762 il Consiglio Generale fissa i "Novi et ultimi prezzi per la pizzicaria ad ogni capo di robba, che dovrà tenere il Pizzicarolo", come segue:
"PREZZI DELLE CARNI - Carne salata vecchia di porco la libbra scudi 05; strutto et assogna la lb. sc. 06; salciccie di carne di porco la lb. sc.05; salciccie di fegato di porco la lb. sc.04; fegato fresco di porco, volendolo vendere, la lb. sc.03; lombetto e carne fresca due quattrini più del Macello; salame la lb. sc.08; mortadella la lb. sc. 10.
“DE CASCI - Cascio pecorino romanesco vecchio la lb. sc. 06; cascio fermo suddetto la lb. sc.05; cascio suddetto di primo sale, tenendolo, la lb. sc.04; cascio nostrale vecchio la lb. sc.05; cascio suddetto fermo la lb. sc.04; cascio parmegiano la lb. sc.12.
“DE SALUMI - Tonnina tutt'anno la lb. sc.05; merluzzo tutt'anno la lb. sc.05; tarantello tutt'anno la lb. sc.10; alici tutt'anno quattro al bajocco; Sardoni, tenendoli, cinque al bajocco; saraghe mezzo bajocco l'una sino a Pasqua dal principio di Quaresima, dopo Pasqua, due quatrini l'una; spuntatura tarantello, tenendola, sc.06; pesce marinato et anguille salate, tenendole la lb. sc.06.
“DELL'OGLIO - Oglio chiaro di buona qualità et odore, la foglietta sc.06. E così raguagliatamente tutte le misure, e li rotti siano a vantaggio del Pizzicarolo.
“OBLIGO PER LA QUARESIMA - Caviale la lb. sc.14; salmone la lb. sc.06; mosciumano la lb. sc.10; aringhe sei quatrini l'una". (2001)
31 - Il 31 Dicembre 1404 il Consiglio, preso atto che "post multa bannimenta nullus comparuit proferens se ad rehedificandum et construendum murum dirutum iusta portam Pusciolini" dopo molti bandi effettuati per appaltare i lavori di ricostruzione e riattamento del muro diruto presso la porta Busolina nessuno è comparso ad offrire la sua opera "pro minori pretio" per un corrispettivo minore di quello offerto da Marinuccio di Cecco, avvalendosi delle facoltà già ad esso Consiglio concesse in precedenti deliberazioni (in particolare nella seduta del 9 Novembre, nella quale, con ornate parole: "cum muri huius Civitatis sint ipsius populi presidia et defensiones ac ipsius Civitatis ornamentum et decorum" si faceva presente l'urgenza della loro riparazione), "stabiliverit, concesserit et deliberaverit" stabilì, concesse e deliberò l'appalto dei lavori "dicto Marinuccio pro pretio et nomine pretij quinquagintaquatuor florenorum auri solvendorum eidem per dictum comunem secundum discretionem dominorum Antianorum qui pro tempore erunt", a favore di detto Marinuccio, per il corrispettivo ed a titolo di compenso di 54 fiorini d'oro, da pagarsi a discrezione degli Anziani in carica quando i lavori saranno ultimati, "ita quod completo ipso muro fiat ei integra et libera solutio sine mora" in modo che, completato il muro, gli sia fatto senza alcun ritardo integrale pagamento, "quem murum ipse Marinuccius sub obligatione omnium suorum bonorum promisit dictis dominis Antianis pro ipso comune recipientibus facere et hedificare ad usum boni magistri de bonis lapidibus et calce omnibus suis sumptibus et expensis ad istar alterius contigui muri et illius grossitudinis et altitudinis" ed il detto Marinuccio, obbligandosi con tutti i suoi beni, promise agli Anziani, stipulanti per conto del Comune, di edificare il detto muro secondo l'uso di un buon mastro muratore, con buona pietra e calce e simile in tutto e della stessa grandezza ed altezza del muro contiguo e completamente a sue spese "et per totum mensem Junij proximi venturi, ad penam arbitrij dominorum Antianorum qui pro tempore erunt" ultimando l'opera entro il prossimo mese di Giugno, sotto pena (in caso di inadempienza) da stabilirsi ad arbitrio degli Anziani in carica a quel tempo.
Nella stessa tornata il consiglio generale deve occuparsi di una disavventura capitata agli ambasciatori del Comune, Andrea Andreuccoli e Giovanni di Roberto, di ritorno da Roma: "Cum ambasiatoribus huius communis redeuntibus de Roma fuerunt derobbate certe res que iusta formam juris et statutorum dicte Civitatis eisdem debeant emendari, dicti ambasiatores a dicto comuni dictarum rerum ablatarum eis emendationem exigant et inquirant" poiché ad essi ambasciatori furono rubate alcune cose -cavalli compresi- che, secondo il diritto e gli statuti cittadini, debbono essere loro risarcite dal Comune, gli stessi chiedono e pretendono che vengano da esso giustamente indennizzati.
Il consigliere Ser Giovanni di Ser Filippo propone che vengano eletti quattro uomini per ciascuna contrada, i quali, unitamente al Vicario della Città, esaminino la petizione rivolta al Consiglio dai detti ambasciatori e riferiscano circa l'entità del risarcimento loro dovuto, agendo secondo "juris et equitatis" diritto ed equità.
Lo stesso giorno i 20 cittadini eletti, presenti gli Anziani ed il Vicario, con l'assistenza del giurisperito Giovanni Putij di Spello, "habita notitia de rebus ipsis ambasiatoribus derobbatis" avuta conoscenza di quanto sottratto agli ambasciatori, ascoltano la proposta che, in merito, viene fatta da Pietro Boccarini, uno dei venti eletti, così formulata:
"Quod cum dominus Andreas Andreucolj et Ser Johannes domini Ruberti sint cives notabiles bone condictionis et fame et verisimiliter credatur et credi debeat quod ipse res in dicto consilio lecte et publicate fuerint eis rapte et ablate" poiché Andrea Andreuccoli e Ser Giovanni di Roberto sono cittadini notabili e di buona condizione e reputazione e si possa e debba verosimilmente credere che le cose descritte ed elencate in consiglio siano state loro effettivamente sottratte, "et erant ad necessitatem dictorum ambasiatorum" e che dette cose erano da considerarsi necessarie per l'esecuzione dell'ambasceria, sia, pertanto, "consonum rationi quod qui pro comuni damna recipiunt indempnes a comuni debeant conservari" giusto e ragionevole che chi subisce un danno agendo per la comunità, dalla stessa debba esser indennizzato. Propone, quindi, "quod dicto domino Andree de rebus sibi ablatis pro parte dicti comunis xxx flor. auri sibi emendentur computatis in hac summa equis et omnibus que sibi fuisse rapta et ablata", che ad Andrea Andreuccoli si corrispondano 30 fiorini d'oro, quale indennizzo di quanto sottrattogli, compresi i cavalli. "Item quod de rebus ablatis Ser Johanni domini Ruberti et de valore ipsarum stetur et credatur juramento ipsius et id quod per juramentum declarabit, sibi per comune satisfiat". Ed, inoltre, che, di quanto rubato a Ser Giovanni di Roberto, si creda a quanto da esso dichiarato sotto giuramento.
Paolo Corsini, un altro dei 20 eletti, appoggia la proposta di Pietro Boccarini, precisando che, se qualcuno avesse da avanzare verso Andrea Andreuccoli qualche pretesa di indennizzo per cavalli o per altre cose, (verosimilmente prestatigli) se la veda direttamente con lui.
Dette proposte vengono approvate a grande maggioranza.
E così l'anno può chiudersi "in laetitia"! (2006)
31 - Il 31 Dicembre 1475 il maggior consiglio delibera circa la supplica presentata due giorni innanzi da Giovanni di Meo, detto Covalana, dalla quale si riporta qualche brano, come segue:
“Supplicase humilmente inanti ale vostre S. Signori Antiani Consiglio del dieci et potestà et consiglio generale per parte del vostro ciptadino et servitore Jovanni de meo decto Covalana” , il quale, considerando “che la fortuna volubile che tutto dì vedemo a chi di male et achi di bene” riserva, espone che, essendo vecchio e avendo “casa appescione” chiede che gli venga fatta “gratia per lo advenire della data del foco”, cioè dell’imposta sul focolare, essendo stato sempre disponibile “a tutte richieste et besogni del comune el quale dio prosperi in felice stato”.
Il consiglio decide, in considerazione che “bene et fideliter communitati serviverit tempore preterito dictus Covalana” detto Covalana, nel tempo passato, prestò i suoi servigi alla Comunità con diligenza e fedeltà “eidem vigore presentis consilij fiat immunitas et exemptio prout in dicta supplicatione continetur” allo stesso si concedano l’immnità e l’esenzione, come richiesto nella supplica.
Non è escluso che l’attuale toponimo “Coalana”, in territorio di Porchiano, tragga origine dal povero Giovanni di Meo. (2009)
31 - Carlo VIII di Francia, calato in Italia per impadronirsi del Regno di Napoli quale erede degli Angiò, giunse a Roma il 31 Dicembre 1494, senza trovare resistenza. Nel frattempo, Alessandro VI si era ritirato in Castel S. Angelo, che era stato trasformato in fortezza da Antonio da Sangallo e, per l’occasione, si vide costretto a cambiare il suo atteggiamento ostile e a concedere libero transito alle truppe francesi attraverso lo Stato della Chiesa. Con abile mossa diplomatica, offrì il figlio Cesare, quale cardinale legato, per accompagnare il re ed il suo esercito fino al confine con il Regno di Napoli.
Dell’entrata in Roma del monarca di Francia resta memoria, sotto la stessa data, nelle riformanze, nelle quali risulta annotato quanto segue:
“Carolus jnvictissimus ac Christianissimus Francorum Rex, cum maximo felicissimoque exercitu, die ultima mensis decembris Anno salutis Christiane M°CCCCLXXXXIIIJ°, videlicet die Mercurij, hora quarta noctis, cum maximo apparatu et celebri pompa, Romam ingressus est ac ospitatus in palactio Divi Marci per Fe. Re. Paulum secundum pontificem maximum fundato” Carlo, invittissimo e cristianissimo re dei Francesi, con il suo numerosissimo e felicissimo esercito, con il più grande dispiegamento di forze e la massima solennità, è entrato in Roma l’ultimo giorno del mese di dicembre dell’anno della cristiana salute 1494 e precisamente di mercoledì, all’ora quarta di notte ed è stato ospitato nel palazzo S. Marco, edificato dal pontefice Paolo II, di felice ricordanza. (2010)
31 - Il 31 Dicembre 1530 compare dinanzi agli Anziani, riuniti collegialmente nel palazzo della loro residenza, il nobile cittadino romano Camillo di Ser Roberto, Podestà (Pretore) di Amelia in carica, esibendo il breve di riconferma per altri sei nesi, emesso da papa Clemente VII, da Roma, “apud S.tum Petrum sub anulo piscatoris”, il 6 Novembre precedente, con il quale il pontefice, dopo aver riconosciuto i suoi meriti (“hactenus te laudabiliter gesseris”), spera che nello stesso modo ed anche meglio possa comportarsi per l’avvenire nel medesimo incarico (“Nos sperantes de bono continuabis in melius Te Pretore dicte Civitatis”), e lo invia ai cittadini di Amelia, che esorta a continuare ad obbedire ed a rendere omaggio al loro Pretore (“Mandamus dilectis filiis communitati et hominibus dicte Civitatis ut tibi tamquam Pretori obedientiam et reverentiam continuent”), seguitando a corrispondergli il dovuto salario a tempo debito (“de salariis debitis congruo tempore respondeant”).
Il riconfermato Podestà esibisce, altresì, la ricevuta della tassa da lui pagata all’Ufficio del Segretariato, che vale la pena di riportare per una singolarissima circostanza:
“Noi Bindo Altovitj et compagni de Roma Exactori dele taxe de R.di sig.ri Secretarij habiamo receputo dal Mag.co messer Camillo Ser Robertj Romano Potesta de Amelia ducatj Ventj et Julij Cinque ad Julii x per ducato, quali ne ha pagato per la Tassa de prefatj Signor(i) Secretarij de la dicta Potestaria de Amelia per el secondo semestre che finirà ad ultimo de dicembre presente de quali ne quietamo el dicto messer Camillo et la communità, per il futuro semestre di ... riferma ... siamo contentj dal dicto messer Camillo et che non li sia dato molestia, perché qui in Roma ne ha promesso satisfare et però ne quietamo la dicta Communità, Et in fede se (si è) facto questa de mano de me Benvenuto Ulivieri questo dì xxiij de Dicembre 1530 Jn Roma - F/to: Bindo Altovitj etc. Exactorj”.
In base a numerose coincidenze tanto dei dati anagrafici (nome e cognome), quanto dei luoghi e dei dati cronologici, si ha ragione di credere che il “Bindo Altoviti”, che figura indicato nella superiore quietanza, sia la stessa persona ritratta, in sembianze giovanili, da Raffaello, nel dipinto attualmente conservato nella National Gallery of Art di Washington, che si fa risalire al 1515, durante il periodo di permanenza dell’Artista a Roma, dove poi concluse la sua giovane vita nel 1520.
Lo stesso Podestà, per adempiere all’obbligo incombente su chi esercita tale carica, di offrire alcune tazze d’argento alla Comunità, (“pro satisfactione craterarum”), consegna al Cancelliere verbalizzante una scrittura privata di mutuo a favore della Comunità amerina, per la somma di dodici ducati di carlini, da impiegare nell’acquisto delle dette tazze (“reddidit mihi Cancellario quamdam apocam mutuj per prefatum D. Potestatem Communitatj Amerie factj de ducatis duodecim de carlenis, quod mutuum pro dictis crateribus dedit et consignavit”).
Il Podestà passa, infine, a presentare la sua “Familia”, di cui fanno parte:
-il socio-milite Carlo Giovanni di Collescipoli;
-il Notaio dei Malefizii Ser Gerolamo di Ser Federico, pure di Collescipoli;
-il Notaio “Extraordinariorum” Rosato di Acquasparta;
-i servitori Conte di Collescipoli e Francesco di Schifanoia;
-il nunzio ed auriga Giovan Battista, suo nipote.
Gli Anziani, in considerazione della grande integrità morale e dell’esperienza del Podestà e dopo aver preso atto del pagamento della tassa di Segretariato e dell’impegno da lui assunto per il pagamento delle tazze d’argento e dell’effettuata presentazione della sua “Famiglia”, ammettono al Podestariato Camillo di Ser Roberto “hylari fronte bonisque auspicibus” con lieto viso e con i migliori auspici, nonché “laetitia jgnentissima ac gaudio non mediocrj” con grandissima gioia e con non poco gaudio, che -atteso che si è giunti al 31 Dicembre- andranno presumibilmente ad aggiungersi ai festeggiamenti di fine anno. (2011)
31 - Nel volume 75 delle riformanze, dopo l’ultima registrazione effettuata il 31 Dicembre 1536 dal Cancelliere Lucangelo Palmolini di Magliano Sabina, figurano riportate alcune suppliche presentate al papa “pro homicidio”, cioè da parte di persone ree di omicidi, in epoche diverse, in calce alle quali figura annotata la frase “Fiat ut petit”, cioè, in sostanza, si accetti la richiesta fatta dai rispettivi supplicanti, che chiedono la remissione della pena.
La prima è presentata da Nicola Fusaj, il quale espone che “tam ex relatione sororis, quam cognate sue, accepisset quod quidam olim Franciscus de cesis, tunc habitator Civitatis Ameriae” tanto da sua sorella, che da sua cognata, aveva appreso che il fu Francesco da Cesi, allora abitante in Amelia, “sororem dicti oratoris in eius possessione existente vi stuprare voluerit et quae vix ex eius manibus evadere potuerat” in una sua proprietà aveva provato a stuprare la sorella del supplicante, che, a stento, era riuscita a fuggire dalle sue mani. Detto Nicola, venuto a conoscenza di un tal fatto, “egere ferre in eius honoris et fame vilipendium, presertim per alienigenam in sua patria illata” che recava grave offesa all’onor suo ed alla sua reputazione e, per di più, commessa, da parte di un forestiero, nella sua stessa patria, “die sequente seu alio veriori tempore reperto dicto olim francisco extra et prope dictam Civitatem Amerinam” il dì seguente, o forse in un altro giorno successivo, trovato detto Francesco fuori e nei pressi di Amelia “et de tali facinore obiurgando eundem franciscum alapa seu pugno primo et deinde quodam baculo quem secum in manibus deferebat” e rimproverandolo di un tale misfatto, prima con un pugno e, quindi, con un bastone che aveva in mano “unico tantum ictu sine tamen sanguinis effusione in facie seu alia sui corporis parte percussit” lo percosse in faccia, o in un’altra parte del corpo, con un solo colpo, ma senza spargimento di sangue, “ex qua quidem percussione dictus franciscus paulo post sicut deo placuit expiravit” ed a causa della suddetta percossa, poco tempo dopo, Francesco -come piacque a Dio- spirò. “Et quoniam, pater sancte, dictus orator justo dolore motus, ac etiam ut dictum olim franciscum” e poiché, Padre Santo, il supplicante, mosso da giustificato dolore -come detto a suo tempo allo stesso Francesco- intendeva ammonirlo “et pro futuro admoneret ne deinceps ipsius sororem et alias eius mulieres” affinché, per l’avvenire, non importunasse ulteriormente né sua sorella né le altre donne, “non autem animo ipsum franciscum interficiendi” e non certo con l’intenzione di ucciderlo “et de morte ipsius olim francisci ab continuis dolet” è continuamente preso dal rimorso di averne provocata la morte “dictus olim franciscus alienigena nullos habet consanguineos seu affines in dicta Civitate a quibus pacem petere et habere possit” e il detto Francesco, essendo forestiero, in Amelia non ha né consanguinei, né affini, dai quali il supplicante potesse chiedere ed avere buona pace, “recurrit propterea dictus orator ad pedes S. V. illj humiliter supplicando quatenus ei more pij patris” e, pertanto, ricorre, ai piedi della Santità Vostra, supplicandola che, come un padre pietoso, “specialem gratiam faciendam ipsum ab huiusmodi homicidij reatu etiam ... absolvere et liberare et omnes penas propterea incursas ei remittere et libere condonare ...” gli venga fatta grazia di assolverlo e liberarlo da ogni accusa del reato di omicidio e rimettergli e condonargli ogni pena ad esso relativa.
La seconda supplica è quella presentata da un certo Spontaneo del fu Gabriele del Castello di Montecampano, il quale espone che “cum ... ipse tam ex multorum fidedignorum relatione accepisset quam etiam propriis oculis conspexisset olim Joannam salvatj eius uxorem” essendo venuto a conoscenza, tanto per bocca di molti testimoni degni di fede, quanto per esperienza fatta con i propri occhi, che la fu Giovanna Salvati sua moglie “cum magno eius dedecore et opprobrio”, con grandissimo di lui disonore ed infamia, avesse commesso e di continuo commettesse infedeltà “eandemque pluries verba tantum reprehendisset” e non ostante la avesse più volte ripresa verbalmente, “jdem orator videns monitiones verbales cum ea nihil prodesse” ed avendo lo stesso supplicante constatato che tali ammonizioni verbali non avevano prodotto alcun risultato, “non valens diutius tantam perpetj ignominiam”, non sentendosela di sopportare più a lungo tanta ignominia, “eandem Johannam uxorem secum extra dictam civitatem deambulantem ense quem secum deferebat pluribus vulneribus afferit”, colpì più volte con una spada, che recava con sé, la moglie, mentre camminava con lei fuori città “ex quibus predicta Johanna illius ad duos dies sicut domino placuit expiravit”, in consegunza di che, detta Giovanna, dopo due giorni -come a Dio piacque- spirò “et quoniam, pater sancte, dictus orator delictum huiusmodi perpetravit ne inter eius amicos et socios cum talj infamia et dedecore viveret” e poiché, Padre Santo, il supplicante abbia commesso tale delitto per non continuare a vivere, fra amici e compagni, con tal disonore ed infamia “et de premissis ab intimis dolet et ab inde citra fere semper a patria exulavit” e dolendosi profondamente di quanto accaduto, da allora in poi sia vissuto quasi sempre lontano dalla patria “et fere nihil habet in bonis, jdcirco supplicat humiliter S. V.” e non possieda quasi nulla in proprietà, pertanto supplica umilmente Vostra Santità ... che gli si voglia condonare la pena del commesso omicidio e gli venga annullato il processo, anche in considerazione che “a consanguineis interfectae habuit pacem et heredibus” con i consanguinei e gli eredi della uccisa ebbe buona pace.
La terza ed ultima supplica è presentata da Mario di Caramico, del Castello di Montecampano, il quale “a quampluribus suis amicis etiam iteratis vicibus fuisset advisatus quod olim Cecha silvestrj eius uxor minus pudice vivebat” era stato anche più volte avvisato da numerosi suoi amici che la fu Cecca Silvestri, sua moglie, non viveva pudicamente e lo stesso supplicante “eandem Cicham uxorem pluries blandis verbis rogasset ac demum minis eam monuisset quod vellet ab illicitis abstinere ac inhoneste vivendi modus quem ceperat dimitteret” più volte aveva pregato sua moglie Cecca con parole benevole e, quindi, l’aveva ammonita con minacce, che volesse astenersi da comportamenti illeciti ed abbandonare quel suo modo di vivere disonestamente che essa praticava; ma Cecca continuò a comportarsi licenziosamente “ac laxatis pudicitie habenis in vilipendium honoris et fame ipsius oratoris” e, abbandonate le redini della pudicizia, in spregio dell’onore e della dignità del supplicante, si fece da lui sorprendere con un tal Meco (“Mechum admittere ab ipso oratore repertae fuisset”). “Jdem orator, non volens ulterius tollerare impudicam vitam dicte sue uxoris” il supplicante, non intendendo più a lungo tollerare l’impudica vita di sua moglie, “eandem Cecham uxorem extra dictum Castrum montis Campanj ad locum ubi dicitur el Castello territorium Amerinum ... pluribus vulneribus confossam jnterfecit” fuori del Castello di Montecampano, nel luogo detto “el Castello”, in territorio amerino, la uccise, trapassandola con parecchie ferite. “Et quoniam, pater sancte, dictus orator justo furore motus et ne videret jmmemor suj honoris premissa perpetravit” e poiché, Padre Santo, il supplicante commise quanto sopra spinto da giustificato furore e per non sembrare dimentico dell’onor suo “et de premissis ab intimis dolet et a consanguineis interfectae habuit pacem” ed essendo profondamente dispiaciuto di quanto commesso ed avendo avuto buona pace con i parenti dell’uccisa, “jdeo recurrit ad pedes S. V. illi humiliter supplicando quatenus eius infortunio qui ab inde citra a patria exulavit et pauperrimus extitit, misericorditer compatiendo” pertanto ricorre ai piedi di Vostra Santità, supplicandoLa di volerlo compatire con misericordia per il suo misfatto (eufemisticamente chiamato “infortunio”), dopo del quale ha abbandonato la patria e trovasi in grande povertà, “ipsum huiusmodi uxoricidij ... absolvere et liberare et omnem penam propterea incursam sibi remittere et liberare condonare” assolverlo e liberarlo per l’uxoricidio commesso e condonare e rimettergli ogni pena in cui per lo stesso sia incorso “ac quoscumque processus contra ipsum oratorem propterea forsan formatos et sententias latas cassare et abolere ...” e cancellare ed annullare tutti i processi che fossero stati formati e le sentenze pronunciate contro esso supplicante ...
Da quanto sopra esposto, si può dedurre che, in quel tempo, gli omicidi commessi per motivi d’onore fossero trattati e giudicati con estrema benevolenza, anche in mancanza di flagranza di reato. (2012)
31 - Il 31 Dicembre 1539 il consiglio decemvirale deve interessarsi di svariate questioni. Oltre alle suppliche presentate da Ciuco di Tartaglia, multato con cinquanta libre “quia blasfemavit virginem” per aver bestemmiato la Vergine e di Caproncello di Porchiano, che risulta iscritto quale debitore per un ducato nel libro degli specchi -entrambi graziati dal susseguente consiglio generale con la riduzione alla metà dei rispettivi debiti- occorre decidere su una singolare circostanza: “Jllustris domina Diana uxor Domini Alberti de Sippicciano pluries efflagitavit duodecim scudos quos consequi debet eius vir pro jnteresse 200 florenorum quos mutuavit Communi” Donna Diana, moglie di Alberto di Sipicciano, ha fatto più volte istanza per ottenere il pagamento di dodici scudi che deve avere suo marito quale interesse sulla ragguardevole somma di duecento fiorini, da lui dati a mutuo al Comune. Nel maggior consiglio, Teodoro Mandosi, “vir ignenio (sic) pollens et omni laude dignus” uomo di potente ingegno e degno di ogni lode, propone che “solvantur dicti duodecim scudi de pecunijs salis quos modernus Reipublice Cammerarius habet in manibus” si paghino i dodici scudi con i denari provenienti dalla gabella del sale, che il Camerario in carica si trova ad avere in mano. Si vede che Donna Diana aveva veramente a cuore gli affari del marito, al quale era in grado di fornire la propria attiva collaborazione!
Anche il podestà cessato dalla carica bussa a quattrini: se non sarà soddisfatto dalla Comunità di quanto deve avere, minaccia rappresaglie contro la stessa. Si propone che “de maleficijs que eius opere et industria in Commune pervenerint, habeat quintam partem” di quanto pervenuto nelle casse comunali dalle pene pecuniarie da lui applicate durante il suo esercizio, abbia la quinta parte, “attenta temporum difficultate et Annonae insigni penuria”, in considerazione dei tempi difficili e della notevole penuria dei fondi del pubblico erario. Se lo avesse saputo quando era ancora in carica, c’è da pensare che il podestà emerito avrebbe avuto la mano più pesante nel comminare pene pecuniarie! (2012)
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