L'ULTIMO PRESEPE

 

Dall'età della ragione e del ricordo, il periodo natalizio era per me strettamente collegato al presepe, che mio padre puntualmente allestiva ogni anno, piazzandolo in terra, in un angolo di una stanza di casa.

Era un presepe alla buona, senza alcuna pretesa artistica, composto da pupazzetti di terracotta e gesso colorati, che venivano conservati in una cassetta di legno, involti, con amorosa cura, uno per uno, in carta di giornale.

Nella operazione di allestimento, poteva accadere che si rendesse necessario riattaccare qualche testa o qualche base, forse per un urto subito dalla cassetta contenitrice, durante la conservazione annuale. Mio padre allora procedeva al restauro, usando un tubetto di resina indiana, di cui ricordo ancora il colore giallo con scritte nere e l'intenso, piacevole odore di trementina della resina. Era lui stesso che si cimentava talora ad accrescere qualche figurante, magari una bestiola del gregge, modellandola con un po' di gesso e alcuni pezzetti di filo di ferro e dipingendola poi a mano. Ricordo una specie di cane-pecora di color nero, con occhi e bocca tracciati in rosso, che non era facile assegnare ad una particolare razza animale, ma che a me piaceva lo stesso, perché uscita dalle mani di papà, frutto del suo immenso amore per noi bambini.

Quando mio padre morì, io avevo da poco compiuti gli otto anni, ma il ricordo del presepe natalizio non mi abbandonò mai e, non appena ne fui in grado, io stesso allestivo quel piccolo spettacolo di cui cominciavo a fatica ad intuire il grande significato religioso e culturale.

Nel frattempo, avevo coinvolto nella preparazione del presepe anche il mio carissimo amico Giulio, di due anni più piccolo di me, ma che da quasi un decennio era diventato il compagno prediletto della mia giovinezza, come resterà, per me, l'amico più caro e sincero per tutta la durata della sua ahimè troppo breve vicenda terrena.

 Cacciati da Roma dalla guerra, durante il mese di dicembre del 1943 allestimmo il presepe su due gradini di una stanza chiusa e vuota, alla quale si accedeva tramite l'androne d'ingresso della casa Ciatti, in Piazza Cansacchi.

Ricordo che, quell'anno, anche grazie alla collaborazione dell'amico, il presepe risultò particolarmente ricco e ben riuscito, con dovizia di muschio e di luci -naturalmente fatte con mezzi rimediati, che si accendevano all'occorrenza- e con uno sfondo realizzato con carta azzurra, al quale i due gradini ed il sovrastante piano conferivano un effetto prospettico singolarmente gradevole.

Poi arrivò il 25 Gennaio 1944, con il suo carico di morte e distruzione.

Il presepe era restato ancora "montato" quando sopraggiunse quella fatidica data.

La desolazione e lo spavento provocati dal bombardamento dispersero e sconvolsero le nostre esistenze.

In quella stanzetta solitaria e silenziosa, il presepe -almeno quello che considero l'ultimo "vero" presepe della mia vita- restò dimenticato per molti mesi, conservando, come sospesa in un prezioso ricordo, la spensieratezza della gioventù, con i suoi sogni e le sue illusioni.

La guerra, con un colpo della sue gelida, scheletrica mano, sferrato fin quasi a sfiorare le nostre giovani vite, ci aveva, d'un sol tratto, fatto diventare adulti.

 

(Gennaio 2005)