LOLLETTO : UNA RARA DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA
Alcuni giorni or sono, andando a Perugia a visitare la straodinaria mostra del Perugino, ebbi occasione di acquistare, presso la locale libreria, un volume pubblicato dall'Editoriale Umbra, dell'Autore Paul Scheuermeier, dal titolo "Parole e cose dell'Umbria contadina (1924-30)", curato da Giancarlo Baronti e Carla Gambacorta.
Lo Scheuermeier, studioso svizzero, padrone della tecnica fotografica e della lingua italiana, nel periodo suaccennato, nel quadro della compilazione dell' "Atlante linguistico ed etnografico dell'Italia e della Svizzera meridionale", si stava occupando della rilevazione dei dati necessari all'allestimento di detta opera, ricercando sul terreno i vari punti d'inchiesta, fra i quali undici interessavano la nostra Regione: Pietralunga, Civitella Benazzone, Loreto di Gubbio, Panicale, Perugia, Nocera Umbra, Marsciano, Trevi, Norcia, Orvieto e la nostra Amelia.
In ciascun centro, l'Autore contattava un informatore, che gli potesse fornire notizie utili per la conoscenza dei dati linguistici ed etnografici necessari all'inchiesta che stava eseguendo.
Grande fu la mia meraviglia, quando, sfogliando il libro, ebbi modo di imbattermi nelle foto dell'informatore amerino, che non era altri che Giacomo Biribanti, il popolare "Lolletto", reso famoso dalle poesie del Signor Augusto Attili, di cui avemmo modo di parlare in più di un'occasione, in diverse pubblicazioni a carattere locale.
Scarsissime, purtroppo, sono le notizie che interessano il nostro personaggio e addirittura nulle quelle attinenti al linguaggio da lui usato nei contatti avuti con l'Autore, il quale si limita a riportare, sotto la data del 24 Aprile 1925, la seguente annotazione: "Dopo una notte temporalesca, mi reco alla povera casetta dell'informatore, dove veniamo continuamente disturbati dalle grida del bambino malato e dalla madre disperata". La notizia fornitaci e la durezza delle parole usate non depongono troppo a favore circa i rapporti di umana cordialità che avrebbe dovuto accomunare l'intervistatore ai suoi interlocutori. E' quanto traspare anche dal tentativo di riprodurre i fonemi rilevati in zona, tipo "ssakwatoro", konke, kanèstra", ecc.
A noi può bastare di aver avuto l'occasione, più unica che rara, di vedere il nostro Lolletto in due pose: lungo le mura, a fianco di un carro trainato da buoi e in piedi, da solo, nel suo caratteristico, genuino, quanto modesto abbigliaento. Ve le riproponiamo entrambe, sperando di far cosa gradita ai nostri Lettori.
Vorrei concludere queste brevi note, fingendo di potermi per un attimo sostituire al poco benevolo Paul Scheuermeier, che nulla ci fece sapere del colloquio avuto con Lolletto, per chiedere al suo "informatore" -di cui il Signor Attili, appellandosi al di lui buon senso di persona semplice, ma dotata di un'arguta vena critica, fece di volta in volta una macchietta ed un Pasquino amerino- cosa penserebbe del mondo di oggi che -fatte le debite proporzioni- fu anche il suo mondo.
Sono certo che la risposta di Lolletto potrebbe ancora una volta ricalcare le parole che il suo portavoce Augusto Attili gli mise in bocca oltre 80 anni or sono:
"Sirà che 'l monno, come dichi tu,
sia propio un gran pallone tonno tonno,
ma comme stà per aria e gira un monno
senza d'un pio, che te lo tène su?
E mò che tutto vane pell'ingiù,
che fallo annane dritto più nun pònno,
dimme, compare mio, dimmelo tu,
che ne farimo nui de testo monno?
E' 'na quistione seria, caro mio,
e che pe' mme areversa tutta quanta
sur una cosa sola: su quel pio!
Pijamo 'n accettone e co' du' bòtte,
t'assecuro facemo cosa santa:
tajamo 'l pio e mannamolo a fà fotte!"
(Giugno 2004)