riflessioni di un essere umano

 

IL RICORDO  E L'OBLIO

 

Se qualcuno di noi provasse a risalire indietro nel tempo per stabilire e conoscere chi furono i propri antenati, certamente, nella stragrande maggioranza dei casi, non sarebbe in grado di spingersi oltre i bisnonni, mentre quasi nessuno potrebbe saper indicare nemmeno i nomi dei trisavoli.

Eppure, ognuno di coloro che ci hanno preceduto nacque, visse e mor“, portando con sŽ un copioso corredo di emozioni, di sensazioni gioiose o dolorose, di esperienze piacevoli o angoscianti, di ricordi, di paure, di conoscenze, di relazioni proprie di ogni essere sensibile e raziocinante.

Di quanti amori eterni, inestinguibili odi, sconvolgenti passioni, faticosi traguardi raggiunti, sforzi vani, gratificanti soddisfazioni, cocenti delusioni non resta pi nemmeno la pi piccola traccia?

Quanti esseri umani sono in grado di resistere all'inesorabile trascorrere del tempo, potendo consapevolmente pronunziare le parole del poeta Orazio "non omnis moriar"?

Cos“, noi e i nostri atti vivremo finchŽ ci sarˆ qualcuno in grado di ricordare, ma tutto verrˆ poi inghiottito dalla voracitˆ del tempo nel volgere di poche generazioni.

E' comunque assai preferibile vivere secondo coscienza, pur sapendo che le nostre azioni verranno prima o poi dimenticate, piuttosto che passare alla posteritˆ, come volle Erostrato, per aver commesso delle ignobili infamie (quali l'incendio del tempio di Diana in Efeso).

Da quando nasce, ogni essere umano porta con sŽ una lampada che illumina il suo cammino attraverso l'arco -pi o meno lungo- della vita: al suo chiarore, esso riesce a distinguere dove poggiare il piede, quali scelte compiere, cosa accettare e cosa respingere, quale direzione seguire, quale comportamento tenere dinanzi alle innumerevoli vicissitudini della vita.

Dipenderˆ soltanto da ognuno di noi alimentare la luce della lampada, perchŽ sia sempre in grado di farci effettuare delle scelte conformi al giusto, senza pretendere ricompense dal nostro retto operare, oltre quella, sublime, che pu˜ derivarci dalla consapevolezza di aver agito secondo la nostra coscienza, "la buona compagnia" ci ammaestra l'Alighieri "che l'uom francheggia, sotto l'asbergo del sentirsi pura".

 

(Aprile 1996)