IL MISTERO DEL GATTO NERO

 

Si chiama Pallino e, mentre sto digitando questo articolo, lui se ne sta sdraiato sulla parte sinistra della scrivania, pago della mia presenza.

Da circa tre anni, questo bel gatto nero, con una piccola macchia bianca sul petto, divide con me l’esistenza, cioè da quando mio figlio me lo affidò, di appena sei mesi, per ritenere giustamente incompatibile la sua convivenza con il cane Bingo, che, dopo la recinzione apposta attorno alla casa di campagna, aveva portato seco, togliendolo dal giardino di casa, dove, in combutta con l’altro cane Taliarco, detto Arco, ora defunto, aveva rappresenato, per un lungo periodo di tempo, il terrore e la morte per ogni felino che fosse loro capitato a tiro.

Pallino aveva fatto la sua prima comparsa in campagna, da mio figlio, quando non aveva ancora due mesi, accodandosi lungo la strada di accesso al casale ad alcuni familiari, che aveva poi seguito fino a casa. Non si poté saperne la provenienza e non fu possibile conoscere da dove fosse sfuggito alla sorveglianza di mamma gatta.

Il mio primo contatto con lui ebbe luogo in casa di mio figlio: vi era arrivato da pochi giorni, quando me lo vidi correre incontro festoso al cancello di casa. Anche in seguito, spesso, durante le mie brevi visite in campagna, non appena mi mettevo seduto, Pallino mi gratificava delle sue attenzioni, salendomi sulle ginocchia e facendo rumorosamente le fusa. Fu chiaro che fra noi corse subito reciproca simpatia.

Da quando conviviamo, abbiamo sempre stabilito cordiali rapporti: i miei abituali colloqui con lui sono spesso ricambiati da un lento socchiudere dei suoi grandi occhi gialli e dal tranquillo ondeggiare della coda.

Questa bestiola, che durante il giorno se ne sta buona a dormire da qualche parte della grande casa dove abito, dopo essersi saziata a dovere dalla ciotola contenente il suo cibo, quasi tutte le sere, anche durante l’inverno, chiede di poter uscire, per rientrare il mattino appresso e dare così inizio ad una nuova giornata di pacifica convivenza.

Pallino non ha più gli attributi del suo sesso, per essere stato operato a suo tempo su sollecitazione dei figli, anche se questa violenza fattagli ha lasciato in me una certa sensazione di colpa. Ma ciò, pur avendo influito sul suo carattere, non dovrebbe avergli tolto completamente l’estro e, sopra tutto, la voglia e la curiosità di relazionarsi con gli altri felini -i suoi “amicetti”- presenti nella zona.

Questo ritmo di vita si è svolto –e tuttora si svolge- con notevole regolarità, come altrettanto regolarmente debbo cercare di evitare di incontrarlo quando lui non è ancora rientrato ed io debbo uscire, perché immancabilmente tende a venirmi dietro ed io, per ragioni di sicurezza, non voglio condurlo dove il traffico si intensifica. Spesso non è facile seminarlo e debbo faticare notevolmente per far perdere le mie tracce. Più di una volta mi ha seguito anche fino alla porta della chiesa dell’Ospedale, dove mi reco alla messa domenicale: quando ne esco, Pallino è negl’immediati paraggi, pronto a riaccompagnarmi a casa.

Tanto più strana e preoccupante, quindi, mi sembrò la circostanza verificatasi alcuni mesi addietro, quando Pallino non rientrò in casa dopo la notte e si rese irreperibile, malgrado i richiami e le ricerche da me poste in atto in tutte le zone limitrofe al palazzo e fuori della Porta della Valle, dove spesso si reca nei suoi giri “extra moenia”.

La mia preoccupazione crebbe a dismisura quando la sua assenza si prolungò per più di un giorno e giunse quasi alla disperazione, quando toccò il terzo.

Al quinto giorno, mi ero quasi rassegnato alla sua perdita. Mi chiedevo perché la sorte mi avesse riservato di privarmi della presenza di quel piccolo amico, dopo avermene dato il conforto ed il calore per quasi tre anni.

Da questo stato di rammarico e di malinconico rimpianto venne a togliermi una telefonata di mia nuora, mentre mi trovavo al Circolo del bridge a passare un’ora di svago: mi diceva di aver visto Pallino nei dintorni del palazzo e di averlo preso e rinchiuso in un’apposita gabbietta, che aveva, poi, deposto nella serra del giardino.

Non posi tempo in mezzo e, col cuore in gola, corsi a casa a ritrovare l’amico che ritenevo perduto per sempre. Giunto davanti al portone del palazzo, restai esterrefatto nel vedere Pallino comodamnte accovacciato sul tetto di un’auto parcheggiata davanti al portone, com’è sua abitudine fare nei momenti di relax, in attesa di rientrare in casa. Passato un attimo di gioia incredula, ebbi subito a pormi una domanda: ma chi avrà chiuso mia nuora nella gabbietta della serra? Precipitatomi in quest’ultima, trovai la gabbia perfettamente chiusa e ordinatamente disposta sul piancito, ma vuota! Provai a divaricare lo sportello della chiusura, forzandone l’apertura, ma lo spazio che riuscii a procurarmi mi sembrò assolutamente insufficiente a lasciar passare non tanto la testa, ma l’intero corpo del micio e, tuttora, malgrado quanto assicuratomi da più persone circa la straordinaria  capacità dei gatti di penetrare anche attraverso i più minuti pertugi, rimango incredulo circa la prestazione contorsionistica di questo novello Houdini.

Resterà per me un mistero sapere dove sia stato in quei lunghi giorni e come abbia fatto a liberarsi dalla gabbia quel birbante di Pallino, che scorgo tuttora placidamente dormire acciambellato sulla scrivania, ad un palmo dalla mia bocca, mentre sento una voglia matta di stampare un bacio sul suo bel testone vellutato.

 

(Novembre 2007)