E' TEMPO DI GUARIRE
Non è un segreto per nessuno che gl'Italiani delle ultime due, tre generazioni non sentano che tiepidamente la loro "italianità", mostrandosi abbastanza poco sensibili ad espressioni come amor di Patria, bandiera e inno nazionale.
Soltanto ogni quattro anni, in occasione delle olimpiadi di calcio, il popolo italiano si ritrova coeso nel seguire le manifestazioni sportive della squadra nazionale, pur assistendo allo spettacolo, non del tutto edificante, dei nostri calciatori schierati, prima della partita, durante il suono dell'inno di Mameli, che restano per lo più silenti o, al massimo, muovendo appena le labbra come per recitare una giaculatoria, quasi ci si dovesse aspettare, da un momento all'altro, di vederli battersi il petto pronunciando il "mea culpa".
Ma questa specie di patriottismo a cadenza quadriennale è veramente assai poco, per dimostrare attaccamento al proprio Paese.
Quali potrebbero essere le cause di un simile atteggiamento di indifferenza?
Proviamo ad indagarne qualcuna.
Nel periodo passato alla posterità come il "bieco ventennio", si fece un grande abuso di termini che inneggiavano alla "romanità" delle nostre origini, ai sacri destini della Patria, al primato -peraltro inoppugnabile- della marina e dell'aeronautica del nostro Paese. (Basti ricordare il "Nastro Azzurro" conquistato dal supertransatlantico "Rex" nel 1933, il cosiddetto "volo dei tre continenti", realizzato da Francesco De Pinedo nel 1925 e la trasvolata nord-atlantica eseguita da Italo Balbo e dai suoi equipaggi nel 1933).
La propaganda fascista cominciava a coinvolgere la vita del cittadino fin dai primissimi anni (Figli della lupa, Piccole Italiane, Balilla, ecc.) riempiendo la sua testa di espressioni roboanti, che tendevano ad identificare l'Italia con il regime che la governava, creando con ciò una confusione di valori reali, come patriottismo, orgoglio nazionale, rispetto delle glorie del passato, e fittizi, come purezza dela razza, imperialismo, grandi destini, ore fatali e simili.
Il sogno finì un brutto giorno del Settembre 1943, quando l'Italia si ritrovò, sola, a firmare un atto di resa incondizionata, dinnanzi ai rappresentanti di ben venti nazioni, fra le quali figurava anche il Brasile. A qualcuno risulta che eravano in guerra anche con il Paese dei "carioca"?
La caduta del fascismo e la sconfitta militare ebbero come conseguenza anche la mortificazione dei valori da esso propagandati.
Si disse che un uomo politico di primo piano rinunciasse addirittura a considerarsi italiano, perché, come tale, si sarebbe sentito soltanto "un miserabile mandolinista".
L'Italiano medio si vide costretto a reagire, ridimensionando il proprio modo di pensare, spogliandosi dei falsi orpelli dei quali si era per tanti anni inconsciamente adornato. Ma, insieme ad essi, spesso, era venuto via anche qualche lembo di pelle viva, in modo tutt'altro che indolore.
La guarigione da simili brucianti ferite è stata molto lenta e non può neppure dirsi ancora completamente ultimata.
Basti pensare alle recenti dichiarazioni di un altro uomo politico dei nostri giorni, che avrebbe addirittura pronunciato parole offensive nei confronti della bandiera nazionale.
Ma è ormai tempo che ogni Italiano sappia riappropriarsi di concetti e sentimenti che un qualsiasi membro di una comunità civile ha recepiti nel proprio codice genetico, quali il sentirsi parte viva di essa, rispettando e pretendendo il rispetto di valori inalienabili e perfettamente in linea con la dignità umana.
Il nostro Presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, con la sua saggezza ed il profondo senso di equilibrio che ha in più occasioni dimostrato di possedere in sommo grado, è certamente la persona più qualificata ad appellarsi ai sentimenti di stima che ogni Italiano deve nutrire nei confronti delle sane ed autentiche virtù nazionali.
Recepire il messaggio del Presidente, oltre a cicatrizzare del tutto le vecchie ferite, ci farà crescere, e non soltanto a livello di nazione, proiettati, ormai, come siamo, verso un ambito assai più vasto.
Cerchiamo, per l'avvenire, di non dimenticare più che tali valori traggono sempre origine dal singolo individuo che si senta stabilmente inserito in una comunità, in quanto retaggio di ogni essere umano degno di questo nome.
(Settembre 2002)