“AMERIAN GRAFFITI”
Già da diversi anni, girando per le vie delle città, non si può più trovare una parete di palazzi, di muri, di vetture tranviarie o ferroviarie e, purtroppo, neanche di monumenti, anche di pregio storico od artistico, che non sia letteralmente ricoperta da iscrizioni o disegni che, per la maggior parte, sono di difficile interpretazione, quando non ricalcano le consuete, abusate, becere manifestazioni di stupidità, di erotismo o di rabbia a buon mercato.
I mezzi usati in queste cialtronesche manifestazioni, spesso di pessimo gusto, sono per lo più da attribuire alle tinte di bombolette “spray” e la loro propagazione è andata crescendo di pari passo con il diffondersi di tali contenitori.
Ma, certamente, non possiamo attribuire la colpa al mezzo, se c’è chi malamente lo usa: sarebbe come colpevolizzare di un omicidio l’arma e non chi ne ha fatto partire il colpo.
Intendiamoci, però. Non tutto di questo tipo di esibizioni “pittoriche” è da respingere in blocco. Quelli che, con allocuzione angloamericana, adottata in questa stessa forma dall’italiano, sono stati chiamati “graffiti”, fanno riferimento ad una tendenza pittorica spontanea, popolare, di origine prevalentemente nera, che si diffuse negli USA verso la metà degli anni ‘settanta e giunta successivamente anche da noi ed alla quale, in alcuni casi, non può disconoscersi una qualche valenza artistica.
Ma, per la maggior parte, la foia degli imbrattamuri nostrani ha ben altra origine, assai meno nobile di quella citata sopra. Essa è da attribuirsi per lo più ad una dimostrazione di profonda inciviltà, specialmente se -contenuto artistico a parte- viene a colpire insigni opere del nostro patrimonio monumentale.
Fino a pochi mesi or sono, non potevo che compiacermi che la nostra città fosse totalmente immune da questo fenomeno di malcostume.
Ma da alcuni giorni, durante una passeggiata lungo le mura poligonali del settore sud-ovest, presso il ponte chiamato “del mattatoio” , con mio grande disappunto, ho dovuto constatare che diversi massi erano stati imbrattati, con vernice “spray” rossa e nera, con scarabocchi, frasi senza senso, parole indecenti e disegni osceni.
Non vorrei avere la sventura di incontrare chi si è reso colpevole di una tale infamia, per non rischiare di compromettermi, ma desidererei conoscerne i genitori e gl’insegnanti, per complimentarmi con loro dei brillanti risultati conseguiti nell’ educazione impartita ad un tale soggetto.
Anche se, dalla firma da lui lasciata, che somiglia come due gocce d’acqua alla celebre risposta di Cambronne -che il nostro eroe non sarebbe neppure lontanamente in grado di sapere chi diavolo fosse-, ho idea che si possa avere a che fare con un tipo simile a quello studente cui un noto quotidiano, che vanta un inserto sui nostri capolavori pittorici, con dubbio senso del comico, è uso rivolgere domande come: “Cosa vi piace di più del Carpaccio?”, per sentirsi rispondere “la sottigliezza delle scaglie di formaggio grana”, oppure chiedere “Chi è Leonardo?”, per avere in risposta “forse un qualche nuovo acquisto sudamericano, ingaggiato da una nostra squadra di calcio”.
Così, per merito di gente siffatta, anche Amelia ha avuto i suoi poco invidiabili ed ancor meno edificanti “graffiti”.
(Marzo 1998)